Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / ''Sorry''. Altra strage Nato in Afghanistan

''Sorry''. Altra strage Nato in Afghanistan

di Enrico Piovesana - 27/10/2006

Afghanistan: ancora stragi di civili compiute dalla Nato. Che si scusa, e continua a bombardare
Martedì pomeriggio i superbombardieri statunitensi B-1 hanno sganciato i loro ordigni da una tonnellata sulle case di fango di alcuni villaggi del distretto di Panjwayi, lungo il fiume Arghandab, una trentina di chilometri a ovest di Kandahar. Sotto le macerie di decine di abitazioni rase al suolo sono rimasti corpi senza vita di sessanta, forse novanta civili. Anziani, donne e bambini. “Nessuno dei morti era talebano”, ha dichiarato all’Afp un abitante di uno dei villaggi colpiti.   
 
Bombardiere Usa B-1La Nato scarica la colpa sui talebani. I comandi Nato hanno riferito che i raid “mirati” di martedì hanno ucciso solo combattenti talebani, almeno 48. Pur ammettendo la “credibilità” delle notizie di “danni collaterali”, ovvero della morte di civili innocenti. Mark Laity, rappresentante civile della Nato in Afghanistan (non è un caso che abbia parlato lui, invece dei soliti generali in mimetica) si è detto dispiaciuto (“sorry”), ma ha però tenuto a precisare che non è colpa della Nato se “i talebani continuano a usare i civili come scudi umani”, nascondendosi nelle aree abitate.
 
Vittime afgane di bombardamentiZona vietata: impossibile indagare. Che la notizia di ingenti perdite civili sia attendibile non c’è alcun dubbio, visto che è stata confermata da più fonti, divergenti solo sul numero dei morti: 90 secondo fonti locali dell’agenzia Pajhwok; 85 secondo un membro del consiglio provinciale di Kandahar, Bismallah Afghanmal; 70 secondo Karim Jan, abitante di uno dei villaggi colpiti; 60 secondo un funzionario del governo che ha voluto rimanere anonimo “per timore di ripercussioni”.
Le autorità afgane locali hanno inviato la polizia sul posto per investigare, ma gli agenti si sono visti sbarrare la strada dai soldati Isaf canadesi che hanno sigillato la zona.
 
Un afgane piange un familaire uccisoCondanne e rabbia crescente. L’Unama (la Missione Onu in Afghanistan) si è detta “molto preoccupata” per “il gran numero di civili” uccisi dalla Nato. “La salvaguardia e il benessere dei civili devono sempre venire per primi e ogni vittima civile è inaccettabile, senza eccezioni”, si legge nel documento diffuso dalla Missione.
All’interno del governo filo-occidentale di Kabul i malumori per questi “incidenti” stanno lasciando il posto a una rabbia diffusa. Se il presidente Hamid Karzai, per non irritare Washington, si limita ogni volta a rinnovare il suo invito alla Nato affinché “usi più cautela per evitare perdite civili”, molti politici, magari in forma anonima, esprimono la loro collera nei confronti della Nato. “Non basta chiedere scusa! Questi incidenti stanno diventando troppo frequenti”, ha dichiarato un anonimo funzionario afgano.
 
Una casa danneggiata dalle bombeNon si può più parlare di “incidenti”. In effetti, la frequenza di casi di civili uccisi nei raid della Nato è ormai tale che risulta difficile chiamarli ancora “incidenti”. Il 18 ottobre, 8 civili sono morti in un raid nello stesso distretto di Panjwayi. Il giorno prima, 17 ottobre, altri 9 civili sono morti sotto le bombe Nato nel vicino distretto di Zhari e 13 sono stati uccisi in raid aerei nel distretto di Grishk, in provincia di Helmand. Nella stessa provincia, il 15 ottobre altre bombe sono cadute su Musa Qala, nella provincia di Helmand provocando molti feriti tra i civili (v. “Gli incubi di Hamida”). Uno stillicidio che va avanti ormai da mesi: 50 civili uccisi a Pnjwayi il 9 settembre; altri 21 nella stessa zona il 5 settembre; 10 a Musa Qala il 27 agosto e altri 13 il 25 agosto; 15 civili morti a Zhari il 22 agosto; e così via. Decine, centinaia di morti civili che – secondo affidabili fonti militari di PeaceReporter – vengono spacciate per talebani con il vecchio sistema delle armi messe accanto ai cadaveri (v. “La fabbrica dei talebani”).