Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Ecologia e libertà. Bernard Charbonneau precursore dell'ecologia politica

Ecologia e libertà. Bernard Charbonneau precursore dell'ecologia politica

di Daniel Cérézuelle - 14/11/2006

 

Il sistema in azione: la crescita

Grazie alla congiunzione di scienza, tecnica e Stato, la macchina dello sviluppo funziona. Ciò che essa produce, è la crescita economica, divenuta sinonimo di progresso. Ora, questa crescita economica che era all’inizio un obiettivo è diventata un obbligo, di modo che ormai tutte le società del pianeta sono necessariamente impegnate in una corsa alla crescita. Charbonneau sottolinea il carattere irrazionale della logica produttivistica. L’economia moderna non può evitare le crisi, se non crescendo senza sosta:” L’economia dinamica avanza sempre più in fretta, come un cane che insegue la sua coda”[1]. Il culto del progresso economico, identificato con il progresso sociale, conduce ad una situazione paradossale dove non si tratta più di produrre per consumare, ma piuttosto di stimolare il consumo per evitare il crollo  dell’apparato produttivo e mantenere un livello occupazionale costantemente rimesso in discussione dall’innovazione tecnologica. L’economia finisce per essere al servizio principalmente di se stessa.

 

  “Il vero motore dell’economia moderna, a livello degli Stati come delle aziende, non è la felicità, ma la lotta per la vita: la guerra sotterranea o aperta….Non si tratta di riprender fiato, la legge della produzione è quella del fronte: fermarsi equivale a indietreggiare. La pressione della demografia e della concorrenza, e soprattutto la natura di un’economia che può reggere solo tramite il movimento impongono uno sviluppo progressivamente accelerato, pena la catastrofe. L’economia moderna si lancia nel boom per evitare il crach…”[2].

 

La vita economica prende sempre più il carattere di una guerra totale. La politica non ha più per obbiettivo di mediare con la necessità economica, ma di rinforzarla; si assiste così ad una riorganizzazione della società e del territorio in funzione delle esigenze economiche…Il potere pubblico, ormai associato alle grandi imprese, organizza la crescita e, se necessario, ne impone le condizioni alle popolazioni recalcitranti e dunque considerate come arretrate. Gli uomini del XX secolo sono così entrati, nel nome del progresso e della libertà, nell’era dell’espansione forzata. La coscrizione per la guerra economica è ormai obbligatoria…

 

Patologia dello sviluppo: i costi del progresso

…La sola cosa certa è che tutto ha un costo, ivi compreso ciò che noi chiamiamo progresso. Charbonneau ci impegna a fare l’inventario dei costi dello sviluppo, posizionandosi dal punto di vista della persona e della sua esperienza della realtà.

In un primo tempo, Charbonneau sottolinea  i costi materiali dello sviluppo e prima di tutto gli sprechi e ciò che economisti come Mishan, Heilbronner, Passet e molti altri al loro seguito chiamano diseconomie o esternalità negative. Ne consegue che lo sviluppo crea ricchezza, ma anche ne distrugge e, in certi casi, più di quanta ne produce….Così abbiamo la distruzione di attività esistenti per facilitare la creazione di altre attività innovative che si riveleranno senza avvenire. E’ così che per creare un’area di industrie petrolchimiche presso lo sbocco dell’estuario della Gironda, la cui utilità economica era già contestata al momento della sua costruzione, sono state distrutte le zone vocate alle ostriche che da secoli contribuivano alla sopravvivenza delle popolazioni locali. A ciò si aggiungano i costi ecologici che non cessano di moltiplicarsi e di aggravarsi…E’ dunque principalmente dal punto di vista della qualità dell’esistenza che Charbonneau critica il saccheggio della natura da parte della società industriale: fine dei paesi, dei paesaggi, della diversità dei modi di vivere e, di contro, ascesa della burocratizzazione e dell’insipidezza dell’esistenza.

La riflessione sui costi ecologici conduce Charbonneau a enunciare un principio di filosofia della tecnica:”Lo sviluppo indefinito della potenza in uno spazio-tempo finito è impossibile”. In effetti, la conoscenza umana è molto limitata, ma la conoscenza di alcuni meccanismi ci permette una capacità d’intervento considerevole sulla natura; e più questa potenza cresce, più i suoi effetti vanno a perturbare gli equilibri del contesto in cui essa si esercita, equilibri di cui noi non possiamo che sospettare la complessità. E’ sempre a cose fatte che noi percepiamo che il mondo è più complicato di quanto ne sappiamo: “Il Leviatano tecnico è un bruto coi muscoli troppo grossi per la sua testa. Ossessionato dal risultato immediato, la vittoria o il profitto, va a fondo, senza registrarne gli effetti sulla vita, sulle società e sulle persone, se non a posteriori e generalmente troppo tardi: da qui le crisi e le guerre”[3].

 

I costi umani

Ne ricorderemo qui solo alcuni. Lo sviluppo accelerato ci condanna alla precarietà. Certo, ci procura a minor costo – e non è poco! – macchine più efficaci e beni di consumo più abbondanti, ma, ciò facendo, sovverte anche in profondità, ma surrettiziamente, tutti i modi di vivere che gli uomini consideravano essenziali. L’uomo dello sviluppo deve abituarsi al fatto che nulla può durare. Questo è vero per i suoi valori e per ciò che dà un senso alla vita, ma anche per le sue conoscenze, per i mezzi di sussistenza, per il quadro della sua vita quotidiana, per le istituzioni stesse…Tutto è rapidamente obsoleto, comprese le persone: “In questo mondo in movimento, noi siamo degli sradicati o dei superstiti…Il nostro mondo non è che un cantiere, e non si può vivere in un cantiere, tutt’al più si può sopravvivere; per vivere, occorre una casa che duri”[4]. Nella società dello sviluppo, vivere tra le macerie è diventata una nuova categoria esistenziale.

Certi ritengono il fatto di vivere in un mondo in perpetuo cambiamento come una condizione emancipatrice dai vincoli delle società tradizionali sottomesse alla consuetudine. Charbonneau ci rammenta che questa condizione contribuisce a sottomettere l’individuo a nuove forme d’autorità: burocratiche, economiche, tecnocratiche; di modo che, legittimata dall’invocazione dell’uguaglianza e della responsabilità, la ricerca dello sviluppo accelerato suscita nuove forme d’ineguaglianza e di privazione. In una società troppo complessa, in cui ogni uomo dispone ormai di una quota di potenza tale per cui ogni azione può avere contraccolpi catastrofici, bisogna organizzare tutto, prevedere tutto, controllare tutto. Lo sviluppo contribuisce a rendere inevitabile una modalità di organizzazione sociale riassumibile nella formula “tutto per il popolo, nulla tramite il popolo”: il che è lontano dai nostri ideali democratici! Lo sviluppo ci condanna a vivere in un mondo di cui noi fatichiamo a seguire le trasformazioni permanenti, sulle quali noi non esercitiamo alcuna presa concreta.

 

   “Lo sviluppo in sé non può pienamente soddisfare che una categoria di uomini: gli uomini d’azione, o piuttosto di potere: scienziati, ingegneri, politici o imprenditori; essi sono a loro agio; essi misurano, ritagliano, scompongono, costruiscono, distruggono. Ma quelli che sono fatti per vivere oltre che per fare? Gli uomini portati alla meditazione, o più semplicemente alla felicità? Questi non trovano un loro spazio in un tale cantiere. Quanto alla massa degli individui, la società industriale gli assicura il pane; essa però gli sottrae ogni potere, e gli assicura il circo, ciò che essa chiama l’organizzazione delle comodità. Ciò che l’uomo non sperimenta più: la natura, l’avventura, la vita, viene offerto sotto forma di spettacolo. L’uomo non compie alcun sforzo per divertirsi, lo si fa divertire”[5].

 

D’altra parte, il mondo dello sviluppo si caratterizza per via dell’uniformazione, poiché lo stesso modello di organizzazione tecnica ed economica si impone ovunque. La diffusione dei nazionalismi, che vogliono fare di ogni società uno Stato autonomo, contribuisce fortemente alla banalizzazione delle patrie, ciascuna con una armata, una industria e una amministrazione organizzata in modo identico in tutti i paesi. Nel mentre gli Stati-nazione si moltiplicano, la diversità delle società e degli stili di vita arretra ovunque, di modo che l’individuo ha sempre più la percezione di non poter più uscire da una società unica in via di mondializzazione.

In questa nuova società dello sviluppo, gli individui, frustrati quanto a libertà e privi di riferimenti stabili, sono facilmente preda di nevrosi collettive, e la diffusione di mezzi tecnici potentissimi offre ormai ad un qualsiasi nevrotico la possibilità di minacciare l’umanità di olocausto nucleare.

 

La dialettica del sistema e del caos

…Incapace di distinguere tra la libertà e i mezzi, l’uomo trasforma la potenza in fine in sé e rinuncia ad imporsi dei limiti. Da questa rinuncia, discende una accelerazione dello sviluppo che trascina una disorganizzazione ecologica, sociale, politica e culturale; alla fine si mette in piazza il contesto ideale di una apocalisse tecnica…

Così una organizzazione sociale fondata sull’idea di uno sviluppo indefinito ci espone a due rischi dialetticamente collegati e che Charbonneau riassume in due principi:

  Uno sviluppo indefinito in uno spazio-tempo finito è impossibile. Lo sviluppo accelerato conduce dunque al caos.

  Più la potenza cresce, più l’ordine deve essere rigoroso: lo sviluppo accelerato richiama una organizzazione totale, se non totalitaria, della vita sociale, collettiva e personale.

Queste due logiche apparentemente contrarie sono, in pratica, unite in una relazione dialettica. Ogni avanzamento di uno dei due fattori esige un rafforzamento dell’altro. Così, di fronte ai rischi del caos ecologico e sociale dovuto allo sviluppo a tutto gas, le nostre società non sanno rispondere che in un modo: più scienza, più tecnica per meglio organizzare la società, vale a dire, alla fine, per controllare l’individuo.

Così la potenza delle nostre installazioni tecniche (aerei, fabbriche, centrali nucleari, treni a grande velocità, laboratori di genetica, etc.) le rende potenzialmente molto pericolose in caso di incidente o di sabotaggio: una politica di prevenzione dei rischi deve dunque moltiplicare i controlli e individuare in anticipo tutti gli elementi potenzialmente inadatti o devianti. Ma questo processo che rinforza il carattere sistematico dell’organizzazione sociale crea condizioni favorevoli per un nuovo balzo in avanti della ricerca e dello sviluppo di nuove tecniche. Si creano così rischi di nuove disfunzioni, ancora più gravi delle precedenti, poiché risultano dalla messa in opera di saperi più potenti, certamente, ma sempre assai incompleti e che avranno effetti diretti e soprattutto indiretti ancora più importanti e imprevedibili…Questa dialettica può durare a lungo, ma ad ogni ciclo la forza dell’organizzazione sociale ridurrà immancabilmente i margini di libertà, nel mentre si tratterà di evitare dei rischi di disorganizzazione sempre più gravi :”Allora, risistemando le tecniche si abbozza una tecnica dell’organizzazione capace di inventariare e coordinare tutte le organizzazioni particolari: quella dello stato totalitario”[6].

…Così per Charbonneau la logica dello sviluppo ci conduce presto o tardi in un vicolo cieco. Se per colui che ama il suo prossimo l’incendio nucleare è una fine inaccettabile, la spersonalizzazione dell’esistenza, la quale può continuare indefinitamente, è anch’essa del tutto inaccettabile :

 

     “Se l’uomo, per sfuggire alle fiamme dell’incidente atomico, deve seppellirsi vivo in una organizzazione totale, allora la fine del mondo potrebbe essere forse una grazia”[7].

 

 

* Traduzione ricavata dal capitolo VII del libro di Daniel Cérézuelle Ecologie et liberté. Bernard Charbonneau précurseur de l’écologie politique. Testo pubblicato dalle Edizioni Parangon, 2006, nella collana L’Après-développement diretta da Serge Latouche.



[1] B. Charbonneau, Le Système et le chaos. Anthropos, 1973, riedizione economica 1990, pag. 75 VERSIONE ITALIANA, Arianna Editrice.

[2] Ibid., pag. 76.

[3] Ibid., pag. 128.

[4] Ibid., pag. 130-131.

[5] Ibid., pag. 136.

[6] Ibid., pag. 49.

[7] Ibid., pag. 191.