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Il bene comune della Terra (estratto)

di Vandana Shiva - 16/11/2006

IL BENE COMUNE DELLA TERRA
di Vandana Shiva

Feltrinelli, 2006, 212 pp., euro 14

Vandana Shiva è una scienziata ambientalista nota in tutto il mondo, tra gli esponenti di spicco del movimento democratico globale. In questo libro, Shiva fa il punto su quelle battaglie che anche grazie al suo contributo hanno assunto un rilievo internazionale - la lotta contro la privatizzazione delle risorse naturali, i brevetti sul vivente e l'impiego di organismi geneticamente modificati in agricoltura e nella produzione alimentare riconducendole a un progetto politico, economico e culturale di democratizzazione della globalità. L'autrice delinea dunque una alternativa alla globalizzazione economica, che giudica responsabile non soltanto della catastrofe ecologica imminente, ma anche dell'avvento dei fondamentalismi politici e religiosi. Vandana Shiva considera i brevetti sul vivente e la privatizzazione delle risorse naturali come l'ultima frontiera di un colonialismo che aveva cominciato a manifestarsi già nel Sedicesimo secolo con la recinzione delle terre comuni britanniche. La privatizzazione delle risorse comuni, insieme alla progressiva erosione dei beni e dei servizi pubblici e all'indebolimento dei meccanismi democratici di controllo dell'economia, costituiscono una grave minaccia in termini di sostenibilità ecologica e di sopravvivenza sociale.

Per gentile concessione della casa editrice pubblichiamo l'introduzione e le conclusioni di "Il bene comune della terra".

INTRODUZIONE
di Vandana Shiva 

Il progetto democratico ed ecologista che ispira questo studio ha origini antiche, ma costituisce anche l'obiettivo di fondo di un movimento politico emergente che difende la pace, la giustizia e la sostenibilità. Concepire il pianeta come una grande comunità e come un bene comune inalienabile a tutte le forme di vita che lo popolano significa porre in correlazione il particolare e l'universale, le diversità specifiche e gli aspetti comuni, le dimensioni del locale e del globale, richiamandosi a quella che in India viene descritta come vasudhaiva kutumbkham, la "famiglia terrestre", l'insieme di tutti gli esseri viventi che traggono sostentamento dal nostro pianeta. I nativi americani, al pari di tutte le culture indigene del mondo, concepivano la vita come un conti nuum che vincola le sorti dell'essere umano a quelle di tutte le altre specie, attraverso un  condizionamento reciproco che coinvolge tutte le generazioni passate, presenti e future. Il discorso che capo Seattle, della tribù dei Suquamish, pronunciò nel 1848 evoca bene tale continuità del vivente:

Come si può pensare di vendere o di acquistare il cielo, o il calore della terra? Quest'idea è davvero strana per noi.
Se la brezza dell'aria e la luminosità dell'acqua non ci appartengono, come potete pensare di comprarle da noi?
Anche la più piccola parte di questa terra è sacra al mio popolo. Ogni ago di pino lucente, ogni riva sabbiosa, la bruma che si diffonde nell'oscurità dei boschi, ogni insetto che ronza sereno è santo nella memoria e nell'esperienza di vita della mia gente. La linfa che scorre negli alberi porta con sé i ricordi dell'uomo rosso.
Questo sappiamo: la terra non appartiene all'uomo; è l'uomo che appartiene alla terra. Questo sappiamo. Ogni cosa è correlata come il sangue che unisce la nostra famiglia. Ogni cosa è correlata.

Il movimento democratico globale prende forma dal riconoscimento  di queste correlazioni, dei diritti e delle responsabilità che ne derivano. La protesta di capo Seattle: "La terra non appartiene all'uomo", trova eco in altre e più recenti forme di contestazione: "Il nostro mondo non è in vendita", "La nostra acqua non è in vendita", "I nostri semi e la nostra biodiversità non sono in vendita". Queste forme di resistenza alle privatizzazioni imposte dall'ideologia insensata della globalizzazione economica costituiscono le fondamenta del nuovo movimento democratico.

Le multinazionali concepiscono il mondo in termini di mero possesso e il mercato in termini di mero profitto. Ma dopo quanto è accaduto a Bangalore nel 1993, quando mezzo milione di contadini indiani insorsero per opporsi alla classificazione dei semi come proprietà privata sancita dal Wto (World Trade Organization, Organizzazione mondiale del commercio) con l'accordo TRIPs (Trade Relate Intellectual Property Rights) relativo agli aspetti attinenti al commercio dei diritti di proprietà intellettuale, dopo che gli incontri ministeriali sono stati interrotti due volte dalla protesta popolare, dapprima a Seattle nel 1999 e successivamente a Cancun nel 2003, l'agenda delle multinazionali ci appare sempre più contrastata dall'apporto creativo, dall'intelligenza e dal coraggio di milioni di persone che concepiscono la terra come una famiglia, come una comunità che lega tutte le forme di vita e tutti gli esseri umani senza distinzioni di razza, classe sociale, culto o nazionalità.

La globalizzazione imposta dalle multinazionali concepisce il pianeta in termini di proprietà privata. Al contrario, i nuovi movimenti difendono le risorse locali e globali del territorio perché lo intendono come bene comune. Le comunità che insorgono in ogni continente per contrastare la distruzione delle loro diversità biologiche e culturali, dei loro mezzi di sostentamento e delle loro stesse vite costituiscono l'alternativa democratica alla trasformazione del mondo in un gigantesco supermercato, in cui beni e servizi prodotti con costi ecologici, economici e sociali estremamente alti vengono rivenduti a prezzi stracciati. Opponendosi a questa globalizzazione liberista e suicida che inquina il pianeta, dilapida ogni risorsa e impone la dislocazione forzata di milioni di contadini, lavoratori e artigiani, le comunità si impegnano a sviluppare delle economie alternative che proteggono la vita e promuovono la creatività individuale.

La globalizzazione economica si configura come una nuova forma di "enclosure of the commons", la recinzione delle terre comuni britanniche, come una privatizzazione imposta attraverso atti di violenza e dislocazioni forzate. Anziché generare abbondanza, questa privatizzazione subordinata al profitto produce nuove esclusioni, nuove espulsioni e maggiore povertà. Non solo, ma trasformando in merce ogni risorsa e forma di vita, essa depriva anche i popoli e le specie viventi dei loro fondamentali
diritti in termini di spazio ecologico, culturale, economico e politico. La proprietà privata dei ricchi torna così a fondarsi su una rapina ai danni dei poveri. Le privatizzazioni si traducono in un esproprio delle risorse pubbliche e dei beni comuni dei soggetti più poveri, che si ritrovano a essere economicamente, politicamente e culturalmente depauperati.

I brevetti sulla vita e la retorica di un mondo fondato sulla proprietà privata, in cui qualsiasi cosa, dall'acqua alla biodiversità, dalle cellule ai geni, dagli animali alle piante, viene considerata in termini di merce, si traducono in una visione del mondo che non riconosce il valore intrinseco, l'integrità e la sovranità di ogni forma di vita. Secondo questa ideologia, il diritto dei contadini a disporre dei semi, dei malati a ricevere le loro medicine a prezzi accessibili, dei piccoli produttori a una ripartizione equa delle risorse terrene possono essere liberamente violati. La retorica della proprietà privata nasconde la filosofia di morte di chi, pur scandendo slogan a favore della vita,
cerca di impadronirsi di tutte le risorse del pianeta e della creatività umana per controllarle e monopolizzarle. In Inghilterra, le recinzioni delle terre comuni trasformarono milioni di contadini in forza lavoro disponibile sul mercato. Se queste prime recinzioni si limitavano a sottrarre delle terre, l'attuale privatizzazione si spinge fino a mercificare ogni aspetto della vita, dai saperi comuni alle tradizioni culturali, dall'acqua alla biodiversità, inclusi servizi pubblici quali la sanità e l'istruzione.

A fronte di tale situazione, la difesa dei beni comuni costituisce l'espressione più alta di una concezione democratica dell'economia.
La privatizzazione dei beni e dei servizi pubblici e la mercificazione dei mezzi di sostentamento dei poveri altro non sono che un vero e proprio furto ai danni della sicurezza economica e culturale dei popoli. Milioni di persone deprivate della loro identità e della possibilità di provvedere dignitosamente alla loro esistenza vengono indotte a ricorrere all'estremismo, al terrorismo e al fondamentalismo religioso. Queste ideologie identificano l'altro con il nemico e rivendicano un'identità esclusiva per poter sfuggire a una realtà alla quale rimangono invece ecologicamente, culturalmente ed economicamente connesse. Il loro tentativo di sottrarsi si traduce in un comportamento antagonistico e cannibale. L'ascesa dell'estremismo e del terrorismo è un fenomeno direttamente imputabile alle nuove forme di recinzione o privatizzazione introdotte dal colonialismo della globalizzazione economica. Così come il cannibalismo di polli e maiali soggetti a un allevamento intensivo si sconfigge con il ricorso a metodi più naturali, anche il terrorismo, l'estremismo e le ideologie che invocano la pulizia etnica e l'intolleranza religiosa vanno affrontati come aberrazioni prodotte dalla globalizzazione economica, patologie che si possono sanare soltanto democratizzando la realtà globale.

La privatizzazione genera esclusione, e l'esclusione è il prezzo che la globalizzazione economica cerca di occultare. Le nostre azioni di protesta contro la biopirateria del neem, del riso basmati e del grano hanno saputo raggiungere l'obiettivo che si erano preposte, ottenendo un riconoscimento del nostro patrimonio biologico e intellettuale come bene comune. La lotta vittoriosa delle donne di Plachimada, una piccola comunità tribale dello stato indiano del Kerala, contro la più grande multinazionale del mondo, Coca-Cola, costituisce un esempio tra i più significativi delle potenzialità dei movimenti democratici emergenti.I nuovi diritti sulla proprietà intellettuale privatizzano un patrimonio comune di natura biologica, intellettuale e digitale. La privatizzazione ci depriva anche delle nostre risorse idriche. Ogni bene comune privatizzato comporta la dislocazione e la perdita d'autonomia di molti soggetti umani, l'arricchimento di una minoranza a scapito di un generale aumento della povertà. La dislocazione forzata produce precarietà, e nelle sue forme più estreme può arrivare a negare anche i più elementari diritti alla vita. Con la diffusione delle sementi geneticamente modificate e degli aborti indotti per selezionare il sesso dei nascituri, assistiamo alla progressiva scomparsa di un numero crescente di piccoli agricoltori e di donne. L'entità e il tasso di sviluppo di questo fenomeno sono direttamente proporzionali alla "crescita economica" imposta dai promotori della globalizzazione neoliberista.
Per fortuna però, queste forme di genocidio brutale non costituiscono l'unica e incontrastata tendenza della storia contemporanea.

Un futuro diverso ha preso forma per le strade di Seattle e Cancun, nelle case e nelle comunità agricole di tutto il mondo.
Un futuro che si basa sul principio di inclusione, anziché di esclusione; sulla non violenza e sulla difesa del pianeta come bene comune, anziché come territorio da recintare; su una libera condivisione delle risorse terrene, anziché sulla loro privatizzazione e monopolizzazione. Il movimento democratico globale deriva da un'esperienza collettiva di dialogo e solidarietà, di pluralismo e cooperazione, di confronto e di scambio tra le diversità. Questa è l'alternativa democratica a piani economici quali il "Progetto per il nuovo secolo americano"(1), un piano di sviluppo definito a porte chiuse e condizionato dalla mentalità angusta delle multinazionali.

Le nostre proposte si qualificano infatti come portato della nostra autonomia organizzativa, di identità profondamente radicate nello specifico delle realtà locali, della nostra molteplicità e diversità. Il nostro intervento non si limita a prendere in considerazione gli interessi del genere umano, ma si estende alla tutela di tutte le forme di vita che popolano il pianeta. È qualcosa di più dell'organizzazione della prossima protesta o del prossimo Social forum: è quanto intendiamo fare quotidianamente, nella vita di tutti i giorni, per modificare la realtà globale attraverso un impegno individuale e radicato nel tessuto delle nostre realtà locali. I cambiamenti che riusciamo a ottenere possono sembrare di poco conto, ma l'impatto che producono sarà determinante per le sorti del pianeta e dell'umanità. Essi mirano infatti a contrastare la logica violenta e autodistruttiva perpetrata dalle culture, dalle economie e dalle politiche di morte, per sostituirla con nuovi modelli di sviluppo economico, politico e culturale fondati sulla non violenza e sulla creatività che promuovono, valorizzano e sostengono la vita.

Il progetto di costituire una democrazia della comunità terrena non deve essere inteso come un'astrazione, ma come l'insieme delle pratiche specifiche dei popoli che reclamano i loro beni comuni, le loro risorse e il diritto di vivere liberi e in pace, preservando la loro identità e la loro dignità. Poiché si tratta di una realtà multiforme e composita, ho scelto di soffermarmi su alcuni esempi significativi dei progetti politici, economici e culturali che concorrono a costituirla. Queste tre dimensioni della politica, dell'economia e della cultura sono ovviamente inseparabili.

I modelli economici che adoperiamo per produrre e scambiare beni e servizi sono condizionati dai valori della nostra cultura e dal nostro sistema politico. Anche lo sviluppo di un modello economico alternativo si verifica pertanto in sinergia con l'elaborazione di una nuova cultura e di nuove istituzioni più democratiche.
Le economie che apportano la vita sono i luoghi e le pratiche in cui le risorse comuni vengono condivise equamente, per provvedere al fabbisogno di cibo e di acqua e per conferire un senso all'esistenza dei singoli e della comunità. Il movimento democratico globale sorge dalla consapevolezza di essere radicati nello specifico di una realtà locale che tuttavia interagisce con la realtà globale del pianeta, per non dire dell'universo intero. Si tratta di un modello di sviluppo planetario che non può fondarsi sulla speculazione finanziaria o sul trasferimento immotivato di beni e servizi, ma sui principi dell'ecologia e della solidarietà.

Un'economia globale che tiene conto dei limiti imposti dall'ecologia non può che valorizzare la produzione locale, per ridurre gli sprechi di risorse umane e naturali. E solamente quelle economie che adottano un modello di sviluppo ecologico possono diventare delle economie che apportano la vita, in grado di assicurare un futuro sostenibile. I nostri piani di sviluppo non possono essere condizionati dalla logica aziendale dei profitti trimestrali, come pure dalle scadenze quadriennali o quinquennali dei politici. Occorre considerare ben altro, perché il futuro coinvolge l'evoluzione di tutte le forme di vita terrene e il benessere di tutti gli individui che compongono la nostra famiglia, la nostra comunità e l'intera società umana. La tutela dell'ecologia costituisce un obiettivo prioritario perché la nostra identità principale è proprio quella ecologica.
Noi siamo ciò che mangiamo, l'acqua che beviamo, l'aria che respiriamo. La nostra libertà non può prescindere dal diritto a un controllo democratico del cibo, dell'acqua e della nostra sopravvivenza ecologica.

Le democrazie che tutelano la vita sono gli spazi e gli strumenti politici necessari per riconquistare le nostre libertà fondamentali, per difendere i nostri diritti e per espletare i nostri doveri e le nostre responsabilità comuni: proteggere la terra, difendere la pace e promuovere la giustizia sociale. I fautori della globalizzazione economica sostengono che il libero mercato promuove uno sviluppo della democrazia. In realtà, le multinazionali distruggono la democrazia in ogni sua forma, a ogni livello.

La privatizzazione delle risorse comuni rappresenta l'effetto negativo più evidente, perché cancella le democrazie di base proprio come la recinzione delle terre provocò la scomparsa delle comunità contadine in Inghilterra. Ma anche gli stessi accordi economici che promuovono la globalizzazione non vengono decisi democraticamente, poiché sono sanciti e imposti da organizzazioni come la Banca mondiale, il Wto o il Fondo monetario internazionale a prescindere dalla volontà delle comunità e dei paesi direttamente coinvolti. Le multinazionali che controllano la globalizzazione indeboliscono le istituzioni democratiche dei paesi in cui operano, perché le loro decisioni vengono prese scavalcando le istituzioni parlamentari e i singoli cittadini. Qualsiasi governo appena eletto, indipendentemente dall'orientamento politico, si trova costretto ad approvare una serie di riforme economiche di stampo neoliberista. L'attuale processo di globalizzazione rende impossibile lo sviluppo di un'economia democratica, configurandosi come una vera e propria dittatura economica delle multinazionali.

Quando una dittatura economica indebolisce le istituzioni democratiche di una nazione, si assiste anche alla crescita di pericolosi fenomeni quali il fondamentalismo  religioso e l'estremismo di destra. Ecco allora che la globalizzazione non provoca soltanto una crisi della democrazia, ma anche l'avvento di una democrazia di morte che ricorre all'odio, al terrore e alla discriminazione sociale per ottenere voti e potere.

Impegnarsi in un progetto di democratizzazione ecologica e sociale significa, al contrario, concepire e progettare delle democrazie che tutelino la vita assicurando a tutti la possibilità di esprimersi su questioni fondamentali come il cibo, che mangiamo o che ci viene negato, come l'acqua, che beviamo o che ci viene sottratta perché è stata inquinata o privatizzata, come l'aria, che respiriamo o che forse ci avvelena. Le democrazie che tutelano la vita si fondano sul riconoscimento del valore intrinseco di tutte le specie, di ogni popolo e di ogni cultura, sull'equa ripartizione delle risorse terrene e sulla comune gestione di tali risorse.

Le culture che valorizzano la vita sono spazi in cui possiamo configurare ed esprimere valori, convinzioni politiche o religiose, pratiche e tradizioni diverse, pur restando in sintonia profonda con la nostra identità comune e universale di esseri umani che condividono la terra, l'acqua e l'aria con tutte le altre specie. Tali culture si fondano sulla non violenza e sulla solidarietà, sul pluralismo e sull'uguaglianza, sul rispetto della giustizia, della diversità e della vita in tutte le sue forme.

Una cultura che cresce in seno a un'economia che protegge la vita trova spazio per tutti gli esseri viventi, senza distinzioni di sesso, etnia, religione o specie. Essa esprime un radicamento profondo alla terra e alle specificità del luogo in cui si origina, ma anche un sentimento di solidarietà per tutto il genere umano, una coscienza universale che nasce dal sentirsi parte di un'unica famiglia terrena. Le culture che valorizzano la vita si fondano sulla compresenza di molte identità. La nostra identità terrena è data al tempo stesso dall'esperienza concreta della realtà in cui viviamo - della quotidianità del lavoro e del riposo, del gioco e del pianto - e dalla globalità delle pratiche che ci correlano al resto del mondo.

"Ogni cosa è correlata," come insegna capo Seattle. Noi esistiamo in rapporto con la terra, localmente e globalmente. Le culture che valorizzano la nostra identità terrena ci insegnano a seguire dei criteri di sviluppo ecologicamente compatibili. Soltanto ricordandoci di essere cittadini della terra e figli di questo pianeta possiamo riscoprire la nostra identità comune e superare le scissioni profonde, l'intolleranza, l'odio e il terrore provocati dalle privatizzazioni, dalla polarizzazione del mondo e dagli sconvolgimenti introdotti dalla globalizzazione economica.

Le culture indigene che credono in una convivenza pacifica delle specie e dei popoli, nel rispetto delle differenze biologiche e culturali dei singoli percorsi evolutivi, sono ancora vive nella nostra memoria collettiva e ci aiutano a concretizzare il progetto di una democrazia della comunità terrena. Il principio di interconnessione e inseparabilità su cui si fonda questa antica visione viene ribadito anche, in maniera significativa, dalla scienza contemporanea: si pensi alla teoria dei quanti, al continuum spazio-temporale della relatività generale, o alla complessità delle strutture degli organismi viventi.

In tempi più recenti, questa visione del mondo si è espressa attraverso i valori, le prospettive e le azioni dei movimenti impegnati a perseguire la pace, la giustizia e la sostenibilità. Viviamo in un'epoca in cui l'asservimento della democrazia agli interessi del capitalismo globale ha generato nuove paure, nuove insicurezze, nuovi fondamentalismi e nuove manifestazioni di violenza.

In India e negli Stati Uniti, le elezioni del 2004 hanno evidenziato come la disoccupazione e il diffondersi della povertà possano costituire un terreno fertile per l'ascesa del fondamentalismo religioso, un'ideologia che semina discordia e fa leva sulle differenze culturali per distogliere l'attenzione da quei valori che invece possono unirci: il lavoro, l'ambiente, i diritti umani, la nostra comune appartenenza all'umanità.

Concepire la Terra come una grande comunità democratica ci aiuta invece a riappropriarci della nostra identità di esseri umani e delle correlazioni che ci uniscono a tutte le altre specie. Questa visione del mondo rispetta la sacralità della vita in tutto il vivente, senza distinzioni di classe, casta, genere o religione, e ci insegna a sconfiggere l'avidità e la violenza subordinando i nostri interessi individuali a quelli della famiglia terrena. Privatizzare l'acqua o introdurre dei brevetti sulla vita diventa allora impensabile, perché tutti gli esseri viventi hanno il diritto di vivere e sostentarsi. Se la famiglia terrena riconosce, come capo Seattle, che "ogni cosa respira all'unisono, l'albero, l'animale e l'uomo" e che " l'aria condivide il suo spirito con tutte le creature viventi", essa non consentirà più a una parte della comunità internazionale di alterare il clima, di impadronirsi delle risorse atmosferiche comuni e di produrre il 36 per cento dell'inquinamento da anidride carbonica mondiale, a scapito dei diritti delle altre specie e degli altri popoli.

Conservare gli equilibri ecologici necessari per la sopravvivenza del nostro pianeta e difendere i diritti umani fondamentali come quello all'acqua, al cibo, alla salute, all'istruzione, al lavoro e a un'esistenza dignitosa: questo è l'impegno di una visione democratica e comunitaria che riconosce l'importanza della vita e la rispetta in tutte le specie e in tutti i popoli.

Negli ultimi trent'anni, la mia adesione a questa concezione del mondo si è tradotta in un impegno concreto all'interno dei movimenti che lottano per un'affermazione universale dei diritti umani e di quei movimenti ecologisti e animalisti che riconoscono il valore intrinseco di tutte le specie. La difesa dell'umanità non può prescindere da quella delle altre specie, perché soltanto una comunità terrena unita e solidale può costituire un'alternativa reale a una globalizzazione economica che riconosce soltanto i diritti delle multinazionali e trasforma gli esseri viventi in materie prime da poter sfruttare o in rifiuti facilmente eliminabili.

Sentirsi parte della comunità terrena significa entrare in sintonia con la fluidità della vita, che si rinnova e si rigenera costantemente. Significa percepire la continuità del vivente, dalla nostra esistenza quotidiana a quella dell'universo, e comprendere il significato universale della nostra epoca, della simultanea interazione di diverse realtà. La comunità terrena deve pulsare in armonia con le potenzialità infinite di un universo in continua espansione, anche quando si trova ad affrontare minacce che mettono a rischio la sopravvivenza stessa della nostra specie. Essa custodisce le nostre speranze nei momenti più critici; ci lascia intravedere la pace in un mondo di guerre senza fine; ci induce ad amare la vita appassionatamente e con coraggio nonostante i messaggi di odio e morte veicolati dai media e dai gruppi di potere.

Principi costitutivi di una democrazia della comunità terrena

1. Tutte le specie, tutti gli esseri umani e tutte le culture possiedono un valore intrinseco
Tutti gli esseri viventi sono soggetti dotati di intelligenza, integrità e di un'identità individuale. Non possono essere ridotti al ruolo di proprietà privata, di oggetti manipolabili, di materie prime da sfruttare o di rifiuti eliminabili. Nessun essere umano ha il diritto di possedere altre specie, altri individui, o di impadronirsi dei saperi di altre culture attraverso brevetti o altri diritti sulla proprietà intellettuale.

2. La comunità terrena promuove la convivenza democratica di tutte le forme di vita
Siamo membri di un'unica famiglia terrena, uniti gli uni agli altri dalla fragile ragnatela della vita del pianeta. Pertanto è nostro dovere assumere dei comportamenti che non compromettano l'equilibrio ecologico della Terra, nonché i diritti fondamentali e la sopravvivenza delle altre specie e di tutta l'umanità. Nessun essere umano ha il diritto di invadere lo spazio ecologico di altre specie o di altri individui, né di trattarli con crudeltà e violenza.

3. Le diversità biologiche e culturali devono essere difese
Le diversità biologiche e culturali hanno un valore intrinseco che deve essere riconosciuto. Le diversità biologiche sono fonti di ricchezza materiale e culturale che pongono le basi per la sostenibilità. Le differenze culturali sono portatrici di pace. Tutti gli esseri umani hanno il dovere di difendere tali diversità.

4. Tutti gli esseri viventi hanno il diritto naturale di provvedere al loro sostentamento
Tutti i membri della comunità terrena, inclusi gli esseri umani, hanno il diritto di provvedere al loro sostentamento: hanno diritto al cibo e all'acqua, a un ambiente sicuro e pulito, alla conservazione del loro spazio ecologico. Le risorse vitali necessarie per il sostentamento non possono essere privatizzate. Il diritto al sostentamento è un diritto naturale perché equivale al diritto alla vita. È un diritto che non può essere accordato o negato da una nazione o da una multinazionale. Nessun paese e nessuna multinazionale ha il diritto di vanificare o compromettere questo genere di diritto, o di privatizzare le risorse comuni necessarie alla vita.

5. La democrazia della comunità terrena si fonda su economie che apportano la vita e su modelli di sviluppo democratici
La realizzazione di una democrazia della comunità terrena presuppone una gestione democratica dell'economia, dei piani di sviluppo che proteggano gli ecosistemi e la loro integrità, provvedano alle esigenze di base di tutti gli esseri umani e assicurino loro un ambiente di vita sostenibile. Una concezione democratica dell'economia non prevede l'esistenza di individui, specie o culture eliminabili. L'economia della comunità terrena è un'economia che apporta nutrimento alla vita. I suoi modelli sono sempre sostenibili, differenziati, pluralistici, elaborati dai membri della comunità stessa al fine di proteggere la natura e gli esseri umani e operare per il bene comune.

6. Le economie che apportano la vita si fondano sulle economie locali
Il miglior modo di provvedere con efficienza, attenzione e creatività alla conservazione delle risorse terrene e alla creazione di condizioni di vita soddisfacenti e sostenibili è quello di operare all'interno delle realtà locali. Localizzare l'economia deve diventare un imperativo ecologico e sociale. Si dovrebbero importare ed esportare soltanto i beni e i servizi che non possono essere prodotti localmente, adoperando le risorse e le conoscenze del luogo. Una democrazia della comunità terrena si fonda su delle economie locali estremamente vitali, che sostengono le economie nazionali e globali. Un'economia globale democratica non distrugge e non danneggia le economie locali, non trasforma le persone in rifiuti eliminabili. Le economie che sostengono la vita rispettano la creatività di tutti gli esseri umani e producono contesti in grado di valorizzare al massimo le diverse competenze e capacità. Le economie che apportano la vita sono differenziate e decentralizzate.

7. La democrazia della comunità terrena è una democrazia che tutela la vita
Una democrazia che tutela la vita si fonda sul rispetto democratico di ogni forma vivente e su un comportamento democratico da adottare già a partire dalla quotidianità. Ogni soggetto coinvolto ha il diritto di partecipare alle decisioni da prendere in merito al cibo, all'acqua, alla sanità e all'istruzione.
Una democrazia che tutela la vita cresce dal basso verso l'alto, al pari di un albero. La democrazia della comunità terrena si fonda sulle democrazie locali, lasciando che le singole comunità costituite nel rispetto delle differenze e delle responsabilità ecologiche e sociali abbiano pieni poteri decisionali riguardo all'ambiente, alle risorse naturali, al sostentamento e al benessere dei loro membri. Il potere viene delegato ai livelli esecutivi più alti applicando il principio della sussidiarietà. La democrazia della comunità terrena si fonda sull'autoregolamentazione e sull'autogoverno.

8. La democrazia della comunità terrena si fonda su culture che valorizzano la vita
Le culture che valorizzano la vita promuovono la pace e creano degli spazi di libertà per consentire il culto di religioni diverse e l'espressione di diverse fedi e identità. Tali culture lasciano che le differenze culturali si sviluppino proprio a partire dalla nostra umanità e dai nostri comuni diritti in quanto membri della comunità terrena.

9. Le culture che valorizzano la vita promuovono lo sviluppo della vita stessa

Le culture che valorizzano la vita si fondano sul riconoscimento della dignità e sul rispetto di ogni forma di vita, degli uomini e delle donne di ogni provenienza e cultura, delle generazioni presenti e di quelle future. Sono culture ecologiche che non producono stili di vita distruttivi o improntati al consumismo, basati sulla sovrapproduzione, sullo spreco o sullo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Le culture che valorizzano la vita sono molteplici, ma ispirate da un comune rispetto per il vivente. Riconoscono la compresenza di identità diverse che condividono lo spazio comune della comunità locale e danno voce a un sentimento di appartenenza che correla i singoli individui alla terra e a tutte le forme di vita.

10. La democrazia della comunità terrena promuove un sentimento di pace e solidarietà universale
La democrazia della comunità terrena unisce tutti i popoli e i singoli individui sostenendo valori quali la cooperazione e l'impegno disinteressato, anziché separarli attraverso la competizione, il conflitto, l'odio e il terrore. In alternativa a un mondo fondato sull'avidità, sulla diseguaglianza e sul consumismo sfrenato, questa democrazia si propone di globalizzare la solidarietà, la giustizia e la sostenibilità.

CONCLUSIONE
di Vandana Shiva


David Pearce, un economista della Banca mondiale che considera la mercificazione del nostro patrimonio naturale ormai precario come un rimedio per garantirne la conservazione, ha ammesso in un recente dibattito che la crisi ecologica che stiamo attraversando è profonda, e che continua ad aggravarsi. Eppure, Pearce continua a difendere la privatizzazione dell'acqua, la mercificazione della vita e la globalizzazione dell'agricoltura. "I problemi di ampio raggio," ha dichiarato, "si risolvono con soluzioni altrettanto globali."

Al contrario, come ci insegna l'esempio di Gandhi e come conferma la nostra esperienza all'interno del movimento democratico emergente, i regimi totalitari e dittatoriali si combattono a partire dalle realtà locali, perché i processi e le istituzioni su larga scala sono controllati dal potere dominante. I piccoli successi sono invece alla portata di milioni di individui, che insieme possono dare vita a nuovi spazi di democrazia e libertà. Su larga scala, le alternative che ci vengono concesse sono ben poche. Per converso, la realtà quotidiana ci offre mille occasioni per mettere a buon frutto le nostre energie.

Gandhi non sconfisse l'Impero britannico con un esercito delle stesse dimensioni, bensì con una presa di sale e un arcolaio. Quando gli inglesi decisero di tassare il sale, il popolo indiano marciò su Dandi, raccolse il sale e disse: "È un dono della natura, una risorsa necessaria per la nostra sopravvivenza. Continueremo a produrre il nostro sale. Disobbediremo alla legge britannica". E quando gli inglesi smantellarono l'industria tessile indiana, Gandhi non cercò di convincerli a ritornare sui loro passi. Mostrando un arcolaio, egli si rivolse al popolo indiano e disse: "Ogni azione diventa potente se a compierla sono milioni di persone". L'arcolaio è diventato un simbolo di questo potere della collettività.

I semi, i fiumi, il cibo quotidiano costituiscono un punto di partenza imprescindibile per riconquistare le nostre libertà politiche, economiche e culturali, perché è proprio impadronendosi di questi ambiti che le grandi imprese esercitano il loro monopolio sulla vita. Siamo pienamente consapevoli del fatto che lo sviluppo di economie alternative autogestite e forme di organizzazione democratica, che rivendicano un'autonomia decisionale, è una scelta che richiede impegno e coraggio, perché si tratta di resistere e disobbedire alle leggi inique che vietano ogni forma di governo, approvvigionamento e sostentamento autonomo.

Proibire la conservazione dei semi significa assoggettare i contadini al giogo delle multinazionali. Con i contratti di privatizzazione, anche l'acqua dei poveri si trasforma in merce. Infine, le leggi che distruggono la produzione alimentare locale impongono una dittatura del cibo che opprime l'umanità intera. Accettare questi vincoli, queste normative e procedure illegali, significa rinunciare ai nostri diritti democratici, alle nostre culture di vita e alla nostra libertà. Come ci insegna Gandhi, la libertà si riconquista rifiutando di sottoporsi a leggi ingiuste e immorali. La lotta per la verità, perseguita attraverso i principi della disobbedienza civile, della non violenza e della non cooperazione,
è al tempo stesso un diritto che ci appartiene in quanto liberi cittadini di società libere, e un nostro fondamentale dovere come abitanti della Terra.

La globalizzazione economica e il militarismo procedono di pari passo, propagandati da una retorica che occulta la verità e li trasforma in fautori di benessere e sicurezza sociale. Per poter vendere le sue sementi geneticamente modificate, che sono inutili e dannose, Monsanto non può fare altro che ricorrere alla menzogna. E con altre menzogne, Coca-Cola si appropria della nostra acqua, il governo americano ci depriva dei nostri diritti civili in nome della "sicurezza della madre patria" e la Banca mondiale continua a incrementare il debito dei paesi e dei cittadini più poveri. Si tratta di una vera e propria guerra condotta ai danni della verità. La nomina di Paul Wolfowitz a presidente della Banca mondiale non fa che rendere più evidente il nesso tra interessi economici e militari.

In un'epoca in cui la schiavitù ci viene imposta attraverso varie forme di propaganda mistificatoria, la nostra satyagraha, la lotta per la verità, dovrà estendersi anche a queste strategie di colonizzazione della mente.

Una visione democratica della globalità ci offre nuove opportunità di agire liberamente, ma anche di coltivare la nostra libertà di pensiero. Possiamo dunque ridefinire il concetto di sicurezza nazionale in funzione della nostra vera patria, che è l'intero pianeta, e della nostra sicurezza reale, ovvero di una sicurezza ecologica che soltanto il pianeta può offrire e di una sicurezza sociale che soltanto la comunità, le pubbliche istituzioni e la tutela dei beni comuni possono assicurare. L'esperienza del movimento democratico emergente insegna a guardare oltre la logica del mercato e delle guerre, delle monoculture e del riduzionismo meccanicista, per concepire il mondo come un insieme di forme di vita diverse e correlate che si cocreano e che coevolvono pacificamente.

La mercificazione della vita - imposta da un'economia che al tempo stesso genera povertà - e la strategia del terrore - frutto di una politica che fa leva sulle insicurezze e sulle divisioni - sono strategie di potere complementari. Per contrastarne l'effetto, la diffusione di una povertà indotta e di paure frutto di manipolazioni e menzogne, dobbiamo dunque evidenziare le connivenze tra politica ed economia: le responsabilità dei governi al servizio delle multinazionali e le connessioni tra interessi economici e militari, tra i profitti delle grandi imprese e la povertà dei popoli, tra la globalizzazione economica e il fondamentalismo religioso. Per converso, analizzando queste connivenze scopriamo anche il legame profondo che ci unisce gli uni agli altri e che ci correla alla Terra. Denunciando le responsabilità dei gruppi di potere dominanti riusciamo anche a sviluppare la nostra coscienza democratica e a rinvigorire le nostre deboli democrazie.

La nostra capacità di correlare gli ambiti dell'ecologico e del sociale ci permette di intraprendere dei progetti economici e culturali che salvaguardano il pianeta e i suoi abitanti, e al tempo stesso di formare una rete di solidarietà che può sconfiggere le alleanze del potere globale. Se ci sentiamo poveri, insicuri e impotenti è soltanto perché ancora non siamo riusciti a rifiutare una logica di potere che ci divide, che ci intrappola in una realtà atomizzata e ci rende ciechi di fronte alle infinite potenzialità che abbiamo in quanto cittadini del mondo. In realtà, ognuno di noi può contribuire creativamente a costruire delle alternative a un sistema che mira soltanto al controllo totale e a profitti senza limiti.

Il progetto democratico che ci unisce ci aiuta dunque a liberarci dei nostri paraocchi, a immaginare delle alternative possibili e a concretizzarle nella realtà. Per converso, la globalizzazione perpetrata dalle multinazionali annienta i nostri diritti fondamentali e minaccia di compromettere la sopravvivenza stessa di buona parte degli esseri umani e delle specie che popolano il pianeta. In un'epoca segnata dai genocidi, liberarsi significa innanzitutto rivendicare la libertà di rimanere in vita. È un conflitto di dimensioni epiche, in cui le varie forze schierate in difesa della vita combattono contro i fautori di morte. Il movimento democratico globale prende forma da una rete di realtà variegate e attive in molti ambiti, dalla sfera del politico e del sociale a quella ecologista. Ma ogni contributo è importante, nella sua specificità, e fa parte di un'unica battaglia per conseguire giustizia, sul piano economico e sociale, sostenibilità ecologica, pace, democrazia e libertà d'espressione per le diverse culture.

Nella nostra epoca la dittatura tende a globalizzarsi, a controllare ogni aspetto della vita economica, politica e culturale di ogni nazione o società. Conseguentemente, anche la libertà deve essere  perseguita e difesa su scala globale. Impegnarsi per realizzare i propri specifici obiettivi all'interno di un progetto democratico globale permette di unire le forze per rivendicare i propri specifici diritti, insieme a quelli dell'intera comunità terrena. L'imperialismo si esprime da sempre attraverso un'ottica globale. Il movimento democratico emergente è ancora agli inizi, comincia appena a prendere coscienza delle proprie potenzialità liberatorie e trasformatrici, ma ha già raggiunto una portata e una rete di collegamenti di importanza mondiale. Non siamo giunti alla fine della storia, bensì agli albori di una nuova era.

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Note
(1) * Il Pnac è un think-tank americano con sede a Washington, fondato negli anni novanta, al centro dell'elaborazione delle strategie "neocons" di politica estera statunitense.