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Wal-Mart e i nostri bambini

di Nicholas von Hoffman - 30/11/2006

 

L'ultima decisione di Wal-Mart – trasferire ad impiego part-time il 40% dei suoi dipendenti, mettere un tetto ai loro stipendi e obbligare molti di loro a rendersi disponibili 24 ore su 24 – è solo l'ultima conferma dell'incontrollato potere che da tempo le corporation hanno assunto nel delineare la vita familiare. Sul tema, tuttavia, le posizioni critiche sono divise

Forse è perché ci abbiamo fatto l’abitudine; alle ultime notizie sulla più grande e temuta corporation a stelle e striscie, Wal-Mart, non c’è stato seguito.

Le reazioni sono state minime anche dopo che il New York Times ha pubblicato un articolo, ben documentato, sulla decisione del gruppo di trasferire ad impiego part-time il 40% dei suoi dipendenti e di mettere un tetto ai loro stipendi. Inoltre, Wal-Mart sta obbligando i propri subordinati a rendersi disponibili a qualsiasi ora, giorno e notte, presso i suoi quasi 2.000 centri, aperti 24 ore su 24. Il gruppo vuole assicurarsi personale a disposizione in particolare la sera e i fine settimana, quando la frenesia all’acquisto è massima, ma, nel nome della più estrema flessibilità, non vuole fornire ai lavoratori un piano di lavoro. Semplicemente, devono essere disponibili ogni volta che suona il telefono. Dato che Wal-Mart conta un milione e 250mila dipendenti, tutto ciò che l’azienda decide di fare porta ad importanti e di ampia portata conseguenze.

Gli effetti che questo provoca alle famiglie con bambini non hanno bisogno di tante spiegazioni. Come si può passare un po’ di tempo con i propri figli se si è continuamente in attesa di una chiamata? Questo, però, non è un problema che i cinque eredi di Sam Walton [il fondatore di Wal-Mart, NdT], tanto per fare un esempio, devono affrontare. State certi che possono vedersi garantiti una baby sitter in poco tempo; anche dopo essere stati colpiti dalla tassa di successione, i Walton sono riusciti a salvaguardare 75 miliardi di dollari – secondo quanto riportato dalla rivista Forbes nell’ultimo elenco dei 400 americani più ricchi.

Organizzazione domestica della famiglia Walton a parte, quest’ultima decisione da parte dell’azienda è un promemoria dell’enorme potere che le imprese hanno nel delineare la vita familiare. Wal-Mart sostiene che le nuove regole e le tabelle salariali sono le stesse degli altri, anche se minori, retailer, come Sears e Target. Se è vero, l’effetto è senz’altro peggiore.

Le aziende che impediscono ai genitori di prendersi cura dei loro figli rappresentano un vero e proprio flagello – se non per loro stesse di certo per la società in generale. Conosciamo tutti le più o meno recenti statistiche secondo cui un bambino trascurato sarà un adulto che avrà problemi. Che periodo per intensificare la politica anti-familiare da parte di Wal-Mart!

Personalmente dubito che Wal-Mart consideri simili problemi; ma come può aver trascurato il rischio che la prossima sia una generazione con un’alta percentuale di individui trasandati, pigri, zoticoni, intontiti e cleptomani? Il fatto non sembra turbare il processo decisionale dei dirigenti di Wal-Mart. Che i figli degli attuali dipendenti possano costituire un giorno la popolazione da cui Wal-Mart dovrà reclutare i propri futuri subalterni appare come un problema lasciato ai posteri. L’idea, come al solito, è quella di fare più soldi possibile ora e subito, e al diavolo il futuro.

Dai tempi dei padri fondatori, gli affari hanno sempre avuto un notevole ruolo nel condizionare le scelte delle famiglie americane. I primi cotonifici nel New England reclutavano manodopera tra le ragazze di campagna; per queste si apriva una vita più ricca ed eccitante rispetto a quella dei paesini sperduti del New Hampshire. Per oltre un secolo gli affari hanno fornito agli americani lo strumento per riscattarsi da un’esistenza fondata unicamente sul modello 'sudore e sangue'.

Da Andrew Carnegie, che rese accessibile il tubo di ferro grazie al quale abbiamo acqua corrente in casa, passando per John D. Rockfeller, le cui lampade al cherosene hanno sconfitto l’oscurità, fino ai computer di Bill Gates, non c’è fine ai benefici prodotti da queste attività. Peccato per qualche piccolo effetto indesiderato: questi business hanno, infatti, ridisegnato e deformato le famiglie e le comunità.

Il nuovo assetto sociale generato dalla prima industrializzazione e la sua successiva commercializzazione hanno favorito enormi cambiamenti nella vita familiare. Anche indesiderabili. Il pranzo, il grande pasto del mezzodì, è sparito. Poi è stata la volta della colazione. E oggi, in milioni di case, la famiglia che si riunisce a cena è un lusso. Le antiche storie nate tra una portata e l’altra non esistono più nell’era in cui non si fa altro che tirare fuori il cibo da una scatola piuttosto che cucinarlo. Case più grandi, televisori e computer in ogni stanza sono subentrati. In famiglie in cui ogni membro sopra i 16 anni possiede un’auto, le relazioni interpersonali non sono nemmeno il pallido ricordo di quelle di 50 anni fa – per non parlare di quelle del passato più remoto.

Le trasformazioni indotte dagli sviluppi commerciali nel XIX secolo hanno spodestato il capo famiglia, nel XXI secolo lo hanno quasi emarginato. Lo stesso sembra stia accadendo con le madri. Oggigiorno, in generale, è quasi uscita di scena l’istituzione casa, intesa come il luogo intimo e riservato in cui le famiglie possono decidere che forma, che sostanza e che ritmo dare alla vita; le corporation sono entrate in competizione con i genitori sull’istillare valori, standard e preferenze nei figli.

La pubblicità da tempo è penetrata nelle scuole, un luogo da sempre ritenuto immune dal commercio. Ora, con l’avvento di iPod, possono raggiungere facilmente le giovani menti in ogni istante. I genitori con idee e valori diversi lottano invano contro questa tendenza. Una famiglia che insista per crescere i propri figli a modo proprio ha ben poche scelte di fronte a sé, e vivrebbe comunque all’insegna di una costante eccentricità.

C’è voluto mezzo secolo per cominciare a comprendere che le corporation avevano qualche responsabilità in tutto questo. Ma tuttora, come spiegano la recente ricerca ambientale di BP o il resoconto di Merck con Vioxx, queste enormi organizzazioni non sono di certo regolamentate in modo adeguato.

Il danno sociale non conta, tranne per rare eccezioni quali il lavoro minorile o le leggi sui permessi parentali. La nuova politica di Wal-Mart contro le famiglie è grossolana, ma la tendenza generale non va in una direzione diversa: l’idea che un’azienda debba impegnarsi per “tirare su una famiglia” – aspetto che una volta vantava una certa influenza sulla gestione commerciale – è completamente svanita.

Al di là dei milionari, tutti gli altri nel mondo del lavoro si trovano sotto costante pressione per lavorare di più e percepire di meno. La facoltà di instaurare un ambiente sociale avverso alla famiglia e ai bambini attraverso l’incursione pubblicitaria continua indisturbato, chi fa eccezione viene estraniato.

Se Wal-Mart è nemico dei giovani, lo è anche, sembra, degli anziani. Il gruppo è accusato di pressioni sui dipendenti di lungo corso affinché diano le dimissioni, a causa delle loro maggiori retribuzioni rispetto ai dipendenti più giovani di uguale produttività. I mezzi utilizzati per mettere alla porta gli anziani sono meri raggiri. Su scala sufficientemente vasta, ciò può contribuire a gettare un enorme numero di individui ancora produttivi tra le braccia dell’assistenza pubblica in ogni sua varia e sfuggente forma. Tuttavia, le “controindicazioni” generate da Wal-Mart a malapena suscitano qualche alzata di spalle nella stanza dei bottoni.

D’altra parte, eredi di Walton a parte, Wal-Mart è un’azienda privata, che realizza servizi di qualità. Ricorrere al potere pubblico per condizionarne l’operato comporta evidentemente rischi ed eventualità spiacevoli. In ogni caso, se gestendo i propri affari le corporation gestiscono anche i nostri, la situazione diventa non più tollerabile.

Ciononostante, non si farà molto in proposito. Così come per il riscaldamento globale, le persone rimangono confuse e non collegano cause ed effetti tra loro fintanto che il processo non diventa ormai irreversibile. Nessuno è d’accordo sul da farsi, e quando finalmente di giunge a un accordo, la volontà e la capacità di metterlo in pratica vengono a mancare.

Una consolazione, magrissima: così come coloro che con le proprie azioni compromettono gli equilibri ambientali soffocheranno nella calura e nell’aria avvelenata, i businessmen di cui sopra avranno a che fare e dovranno confrontarsi un giorno con una generazione (a dir poco) smarrita.

Nicholas von Hoffman è stato opinionista per il programma cult negli Stati Uniti '60 Minutes' e ha curato per anni una rubrica sul 'Washington Post'. Attualmente è editorialista del 'New York Observer' e di 'The Nation'.
Di Nicholas von Hoffman Nuovi Mondi Media ha pubblicato Il dizionario diabolico del business.

Fonte: The New York Observer
Traduzione a cura di Elena Mereghetti per Nuovi Mondi Media