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Enigmi sauditi

di Miguel Martinez - 04/12/2006

 

Chi sta dalla parte dei movimenti di resistenza e liberazione nel mondo, trova sempre sulla propria strada qualche imbecille che gli chiede conto di quello che succede in Arabia Saudita.

L'Arabia Saudita è quella cosa sabbiosa per cui uno che viene dal Marocco non avrebbbe il diritto di pregare a Saronno, perché alla Mecca non c'è una cattedrale.

L'Arabia Saudita è anche la sede del mitico complotto dei beduini wahhabiti (termine scritto in una decina di modi, ma noto oggi anche alle commesse dell'Upim) per conquistare il mondo e sterminarci tutto.

In realtà, l'Arabia Saudita è un paese terribilmente complesso. Dicono che sia ricco, ma il petrolio, ovunque si trovi, è anche una maledizione.

Prodotto per sua natura sterile, che richiede pochissima manodopera, concentrato in pochi luoghi e ancor meno mani, dipendente dai mercati stranieri, con prezzi che fluttuano ogni giorno, e trasformabile solo in denaro che a sua volta viene gestito in piazze straniere.

Ecco che possono esistere paesi come la Nigeria, o la Venezuela prima di Chavez, dove il petrolio ha fatto più male che bene.

Certo, l'Arabia Saudita non è la Nigeria, né tutto va su conti più o meno privati nelle banche americane o londinesi. Anzi, ha saputo creare un discreto stato sociale, ma l'era dell'abbondanza è finita da un pezzo.

E' un paese percorso da conflitti di ogni sorta - culturali, politici, economici, etnici e regionali -, dove ci sono dieci quotidiani e 350 case editrici (anche con scrittori e scrittrici di talento), e il 55% dei laureati sono donne.

Prima di parlarne, dovrebbe essere obbligatorio leggere il testo del sociologo francese, Pascal Ménoret, Sull'orlo del vulcano. il caso Arabia Saudita (Feltrinelli, 2004), che giustamente definisce questa nazione una "periferia dell'Occidente".

E' un paese, poi, che nasce schiacciando i beduini e la loro cultura, in nome di un forte potere urbano e borghese, che si spaccia per rigore islamico, un rigore - in gran parte immaginario - che i nostri media prendono poi alla lettera.

Infine, il termine wahhabita è impreciso: quella di Muhammad bin Abdul-Wahhab (Abdul-Wahhab, quindi, non era il nome suo, ma quello di suo padre) era infatti un'interpretazione dell'Islam diffusa da quelle parti ai tempi di Napoleone, ampiamente superata dall'importazione di forme sunnite dall'Egitto nel Novecento, e nessun saudita si è mai dichiarato "wahhabita".

Certo, Muhammad bin Abdul-Wahhab ha lasciato una profonda traccia nella cultura saudita, perché aveva in sostanza ripreso l'antica tradizione semitica dei Maccabei: coloro che nell'antica Giudea respinsero insieme l'occupazione straniera, la tirannide e il politeismo, in nome dei "diritti di Dio" che vanno al di là del diritto di qualunque sovrano.

Proprio per questo, la stessa fede che garantisce i Maccabei sauditi - corrotti quanto lo diventarono i discendenti dei Maccabei storici - è la fonte permanente della contestazione del potere dinastico: ecco che anche il femminismo in Arabia Saudita si presenta come femminismo islamico, e quindi rivoluzionario. Ma una cosa del genere, ovviamente, supera di parecchio la possibilità di comprensione del giornalista medio italiano.

Parliamo di questioni internazionali. Abbiamo visto dove sta l'Arabia Saudita in Libano - dove il protetto degli Stati Uniti, il piccolo Hariri, è in una posizione curiosamente simile a quella di bin Laden: il padre di Hariri, era, infatti, il più potente imprenditore dell'Arabia Saudita, e aveva cominciato nell'edilizia, prima di comprarsi il Libano.

Nel 2002, l'Arabia Saudita, in una conferenza a Beirut, propose, come soluzione al conflitto israelo-palestinese, quello che da noi chiedono anche Prodi e Berlusconi: che i palestinesi dicessero addio per sempre all'ottanta percento delle proprie terre, e che gli israeliani permettessero la nascita di un microstato per i nativi di quei luoghi; in cambio, tutti i paesi arabi avrebbero dovuto riconoscere pienamente Israele.

Questa proposta è stata lasciata cadere nel silenzio (Israele non permise nemmeno ad Arafat di andare alla conferenza), visto che Israele non ha assolutamente intenzione di accontentarsi dell'ottanta percento di ciò di cui si è appropriato, ma questa è un'altra storia.

Insomma, non chiedete conto dell'Arabia Saudita né a me, né all'operaio marocchino di Saronno.

Grazie.