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La pioggia di denaro nel Kurdistan iracheno è finita in poche mani

di Vauro - 05/12/2006

Libertà, ma non per tutti

 
Villaggi rurali, casupole fatte di fango secco, sparsi sugli altopiani curdi. Lì la gente è costretta a vivere di niente. Intorno, specialmente nella zona del confine con l’Iran, decine di migliaia di mine, proiettili e ordigni inesplosi, eredità micidiali di guerre passate e recenti, sono gli unici doni portati dal ''progresso'' a queste popolazioni, visto che elettricità, strade, scuole, ospedali sono sempre state loro negate e continuano ad esserlo anche ora che nel Kurdistan 'liberato' piovono i soldi della ricostruzione e degli investimenti stranieri.
 
profughi iracheni in un accampamento di fortunaBaraccopoli curde. Denaro che solidi argini fatti di corruzione e speculazione fanno confluire sui centri urbani come Sulemanya o Erbil. Ed ecco che allora, come una frana carsica, dagli altopiani la miseria si riversa sulle città e ne lambisce le periferie. Hanno veramente l’aspetto di una frana carsica le distese di immondizia che circondano, fino quasi a soffocarle, 8mila baracche fatte di blocchetti di cemento accatastati uno sull’altro, coperte con teli di plastica e terra. Sono sorte in pochi mesi in questo vasto affossamento di terreno al confine sud della citta di Sulemanya. Alcune ruspe scavano percorsi tra i cumuli di rifiuti, strade di melma fetida che collegano l’una all’altra le zone di questo immenso agglomerato di squallore. Il colore del fango sembra sommergere tutto, ma qua e là il rosso, il blu brillante dei vestiti tradizionali delle donne curde riescono a tratti a sconfiggerlo, resi più vivaci dal movimento delle figure affaccendate o che si affacciano curiose dal buio degli ingressi delle baracche. Davanti ad una di esse una donna anziana ha appeso un telo di plastica sul fango della strada sopra il mucchietto di spezie ambrate che sta setacciando con gesti antichi. Ne raccoglie un pò con un recipiente di latta e poi lo lascia ricadere sul mucchio, il vento porta via scintille dorate. Uomini fermi, a gruppetti sparsi, infagottati nel larghi vestiti dei peshmerga, chiusi con una fascia alla vita. Ferma anche una pecora spelacchiata legata a un palo, patrimonio prezioso che una famiglia si è portata dal villaggio di provenienza.
 
due donne irachene portano l'acqua alla tendopoliLa clessidra di pietra. Per un momento tutto sembra immobile, bloccato in un tempo che non ha sbocco, animato solo dal volo ottuso di nugoli di mosche, invadenti e onnipresenti. Poi, quasi all’improvviso, frotte di bambini riempiono delle loro voci e delle loro corse gli spazi angusti tra le baracche. Tornano dal loro turno di lezione nella scuola. La scuola che è stata ricavata da quella che era la vecchia struttura di un allevamento di polli. Una costruzione di cemento bassa e lunga, stanze buie una a fianco all’altra, dove la luce filtra solo da alcune feritoie chiuse da sbarre di ferro, sono già piene di altri bambini, quelli del secondo turno. Se proprio questo pollaio non si può chiamare scuola, almeno le divise scolastiche sono tali, camicia bianca e cravatta nera per i bambini, vestito grigio e fiocco blu per le bambine. Non sappiamo perché Shiniar oggi non è andata a scuola. Shiniar ha sette anni, è paffutella e con le gote rosse. Ancora più rosse adesso che è intimidita dalla nostra presenza mentre suo padre ci riceve nella sua abitazione, facendoci accoccolare sul tappeto, unico arredo della stanza. ''Noi, io e la mia famiglia veniamo dal villaggio di Kanispika – ci spiega - là non avevo possibilità di lavoro, non riuscivamo più a sopravvivere, qui in città ho comunque qualche speranza in più''. Poi guarda Shiniar, "c’erano campi minati intorno al villaggio, certo erano segnalati, ma Shiniar aveva solo 5 anni, i bambini corrono qua e là per giocare, anche stando attenti è difficile tenerli sempre sotto controllo. È bastato un attimo..". Scopre con un gesto delicato la gamba destra di Shiniar, alzando il pantaloncino, al suo posto c’è una protesi, il piede di plastica calza come l’altro una ciabattina bianca con un fregio di perline di plastica.