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La globalizzazione della povertà

di Marzio Paolo Rotondò - 06/12/2006

 


La povertà, il dramma della disoccupazione mondiale, può essere risolto attraverso il processo di globalizzazione? Secondo i fautori del liberismo ovviamente sì, ma per più di un miliardo di persone quest’ultima non ha risolto proprio niente, anzi, ha aumentato le differenze sociali fra le classi creando addirittura nuovi poveri.
“La Banca mondiale ha stimato che, se il processo di globalizzazione non si fosse verificato, il numero di poveri sarebbe aumentato dai 300 milioni di persone di dieci anni fa a 650 milioni, anziché essere ridotto ai 150 milioni attuali”. È quanto sottolinea Giorgio Vittadini, che anticipato le riflessioni contenute nel prossimo numero di Atlantide, da lui diretto.
Secondo la Banca mondiale dunque, oggi i poveri nel mondo sarebbero 150 milioni. Ma per l’Unicef, un organismo sussidiario delle Onu altrettanto quanto la Banca mondiale, ha stimato che oggi sono più di 600 milioni i bambini poveri nel mondo, e più di 1 miliardo e 200 milioni gli esseri umani sul nostro pianeta che vivono con meno di un dollaro al giorno. La povertà, invece di diminuire cresce, così come le malattie e l’ignoranza. Da questo punto di vista, la globalizzazione non ha per niente aiutato i più poveri, anzi. I volumi delle economie sono sicuramente incrementati ma la ridistribuzione dei proventi economici è nulla, ed i benefici che potrebbe in teoria creare la mondializzazione sono divisi tra pochi individui che non contribuiscono affatto alla riduzione della povertà.
“Le politiche di buona governance aiutano i Paesi poveri a fuoriuscire dalla
Povertà”. Lo afferma il presidente della Banca Mondiale, Paul Wolfowitz, individuando come segreto della lotta alla povertà la gestione dei governi. “Il nostro obiettivo -dice Wolfowitz- è un coinvolgimento più ampio e profondo con i Partner, al fine di sostenere i loro sforzi per migliorare le istituzioni e la governance. A volte queste politiche mancano, oppure le istituzioni sono deboli e ci troviamo a dover affrontare la sfida della lotta alla corruzione”. Migliorare la governance è un “elemento chiave contro la povertà”. Secondo il presidente della Banca mondiale, dunque, se oggi la povertà è ancora diffusa non è a causa di obiettivi mancati da parte della globalizzazione, ma più per il cattivo governo di quei Paesi che oggi sono poveri. Queste sono le parole di un personaggio che nella sua vita ha fatto sicuramente tanto per il suo Paese, ovvero gli Stati Uniti, ma meno di niente per il benessere mondiale e la lotta alla povertà. Fra i padri fondatori di ‘Project for the New American Century’, Paul Wolfowitz, diverse volte insignito di cariche importanti al pentagono, è stato uno dei maggiori fautori della guerra preventiva e di molte delle politiche che gli Usa hanno attuato e vogliono attuare per mantenere nelle loro mani il predominio globale. Molte di queste politiche sono del tutto contrastanti con il concetto di eliminazione della povertà o di buon governo degli Stati poveri e Wolfowitz sicuramente non adatto alla carica che rappresenta.
Più che gettarsi nell’efferatezza del mercato globale e della sua cinica concorrenza, i Paesi Poveri dovrebbero invece chiudere le porte della globalizzazione e creare un mercato interno chiuso. Questa è l’unica vera governance che riuscirà a fare molto per lottare contro la povertà e lo sfruttamento che la globalizzazione non fa altro che accentuare.