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Il tappeto verde... che non vola

di Abu Yasin Merighi - 07/12/2006





In un clima contraddistinto da numerosi conflitti su base regionale, nel controverso mutamento di uno scenario in cui il rapido e inglorioso declino del modello unipolare porterà comunque con sé qualche cadavere eccellente, l'interrogarsi se vi siano in questo momento venti di guerra può sembrare stravagante, frutto di arbitrio o chissà di disarmante ingenuità. Eppure, proprio perché sempre più voci sembrerebbero dare per scontato un attacco militare ( più o meno imminente ) all'Iran, ragionare a voce alta può servire quantomeno a chiarirsi le idee.

Che un simile evento possa costituire il regalino d'addio dello sconsolato ed incapace Bush Jr. appare sempre più improbabile, non solo e non tanto per l'interessante tutela paterna materializzatasi nell'immediato dopo-voto del 7 novembre scorso, quanto per evidenti titubanze del Pentagono e per una serie di altri ragioni che cercherò di introdurre gradualmente nel presente ragionamento.

La stessa apparente spavalderia con cui il regime di Teheran sfida gli Usa ed Israele dovrebbe far riflettere al riguardo: è del tutto evidente infatti che il primo a perdere ( e molto ) da una campagna di bombardamenti ( di bassa intensità nucleare? ) sarebbe proprio la Repubblica Islamica, e dunque perché rischiare, al di là di peraltro comprensibili valutazioni di legittimazione interna? Da un lato, Teheran si è resa conto da mesi dell'evidente impotenza di Washington, ben sapendo che se solo volesse potrebbe trasformare in pochissime ore il già orribile pantano iracheno in un inferno di dimensioni spaventose, per l'esercito ed i mercenari americani ( e di qualche piccolo paese limitrofo ). Se Teheran alza la voce è verosimile che ritenga ( o forse sappia ) di poterselo permettere, almeno nel breve- medio termine. Tolti dunque gli Stati Uniti dalla breve lista dei possibili aggressori, rimane dunque, anche nelle valutazioni geopolitiche ricorrenti, lo stato di Israele. Esponenti militari di un certo livello, quotidiani come Ha'aretz, danno infatti per presa la decisione di bombardare l'Iran, ma viene da chiedersi: perché Israele dovrebbe farlo, che interesse ha ( o avrebbe ) nel prendere una simile, delicata e rischiosissima decisione?

Lasciamo da parte la questione della rincorsa atomica di Teheran, utile per le aperture dei Tg, in quanto Tel Aviv conosce piuttosto bene l'evoluzione del programma nucleare iraniano, può seguirne senza particolari apprensioni le tappe salienti, pur se finge di sorprendersi dell'entità di un'esercitazione militare iraniana incentrata sul lancio simultaneo di vari vettori e razzi di differente tipologia e gittata. Che cosa, in fondo, Israele dovrebbe temere o aspettarsi da Teheran? A ben vedere, i punti di somiglianza o gli aspetti in comune tra i due stati non sono poi così pochi o di scarsa rilevanza; ma proviamo a vederne alcuni:

a) Pur essendo un paese a maggioranza islamica, a differenza delle varie realtà arabe regionali l'Iran dimostra e mantiene un interessante profilo di pragmatismo politico, una concretezza che certo non manca di interessare ( se non proprio affascinare ) l'entità sionista e che condivide con la medesima;
b) Seppur con differenti discontinuità territoriali, sia Israele che l'Iran ( più il primo che il secondo, per la verità ) si trovano alle prese con paesi arabi ostili, sempre nelle opinioni pubbliche, in alcuni casi anche a livello di governo centrale. In ambito sunnita la recente collocazione e palese avversione saudita per il regime di Teheran ed i suoi satelliti regionali ( il recente conflitto israelo-libanese docet, anche se chiamarlo così può essere improprio ) è emblematico di un clima e di un atteggiamento peraltro non inedito a quelle latitudini. Teheran stessa guarda con estremo disprezzo alla monarchia di Ryad e ad altre realtà locali, in un rapporto di mutuo sospetto laddove non addirittura di aperta ostilità politico-dottrinale.
c) Le proficue e mutue relazioni a livello di intelligence e nel settore degli armamenti che Tel Aviv e Teheran intrattengono da decenni, senza voler per forza rievocare i tempi dello scandalo Iran-Contras, oltre al ruolo di non secondaria importanza che la nutrita componente ebraica di origine iraniana, residente in Europa e altrove, riveste in un intricato gioco delle parti, di sostegno o controllo delatorio dell'opposizione esterna al regime sciita a seconda dei casi.
d) Il presumibile interesse a creare nell'area una situazione di relativa stabilità, con equilibri e rapporti di forza mutati, in parte inediti, da cui entrambi, ma Israele in primis, trarrebbe evidenti vantaggi.

Proprio quest'ultimo punto sembrerebbe il più importante e forse decisivo. Che Israele sia abituato a giocare su più tavoli non è certo cosa che possa stupire nessuno, e chi conosce un pochino le abitudini di Tel Aviv sa perfettamente come quei signori si preparino per tempo ai cambi di stagione, mantenendo al contempo l'intelligente abitudine di mettere i cappotti vecchi in naftalina ( tipica parsimonia ebraica ) e non di buttarli via come si fa con un vecchio paio di guanti o con un capo fuori moda. Contrariamente agli Stati Uniti che con la consueta ed avvilente arroganza sono soliti disfarsi frettolosamente dei loro vecchi "compagni di merende" ( Noriega, Saddam Hussein, Chalabi, per Osama bin Laden il discorso ci porterebbe molto lontano ) Israele non disdegna di sfruttare fino in fondo anche il più piccolo alleato o fornitore, salvo poi mantenerlo nella lista dei debitori in attesa di eventuali o sporadici revival. Il fatto che Vittorio Dan Segre, che in Israele non è certo una persona qualunque, abbia dichiarato pubblicamente che in Iraq << gli Stati Uniti hanno perduto la faccia >>, ( e questo molto prima dell'8 novembre, quando è cominciata la patetica rincorsa a cospargere di cioccolata Bush Jr.) non credo vada letta come un'affermazione estemporanea o causale, bensì come un segnale piuttosto interessante. Del resto, che Israele, più che presente in Iraq, avesse già messo in preventivo l'eventuale defaillance e perdita di prestigio di Washington, anche questo non deve sorprenderci più di tanto, anche se evidentemente le cose non sono poi così semplici, immediate o banali come potrebbero trasparire da una lettura frettolosa degli eventi.

Il nuovo scenario su cui verosimilmente Israele avrà tutto l'interesse di muoversi, il tavolo a cui si appresta a puntare ( magari all'inizio qualche fiche nemmeno troppo grossa o colorata ) è quello che vede in tre soggetti i principali attori: Russia, Cina e Iran. Non solo a livello energetico questa nuova realtà garantisce importanti prospettive di continuità e gestione geo-strategica, ma presenta interessanti elementi di novità che certo non sono sfuggiti ad Israele. La Cina ad esempio, che in più di un'occasione si è fatta beffe della superiorità tecnologica a stelle e strisce, con la consueta discrezione sta facendo banco regio nelle principali aree africane di approvvigionamento energetico, per di più inaugurando un profilo di mutua e soddisfacente collaborazione più che apprezzato nel contesto del suddetto continente; laddove, a fronte di importantissimi contratti per lo sfruttamento delle risorse petrolifere, si impegna contestualmente, e con evidente successo, a costruire infrastrutture ( ospedali, scuole, ponti e così via ) e servizi di pubblica utilità ben lontano dalla consuetudine predatoria anglosassone ( petrolio in cambio di inquinamento e miseria ). Della Russia e del suo interessante ruolo di primattore energetico si sta parlando molto, in questi ultimi mesi, ed esso rimane fuori discussione nonostante i problemi e le pressioni internazionali agitate ad arte sull'onda emotiva di alcuni omicidi più o meno eccellenti, attribuiti sbrigativamente allo zar di Mosca, ben oltre criteri di logica verosimiglianza. Rimane inoltre il nodo afgano, paese strategico, militarmente inespugnabile, nonostante le prevedibili ( e previste, da autorevoli commentatori ) richieste Usa di aumentare i rispettivi contingenti Nato da parte dei singoli pesi coinvolti, tra cui il nostro. Ma tutti sanno, in primis la Nato ed Israele, che il problema afgano non si risolve con le armi, e se la produzione oppiacea rimarrà ancora per lunghi anni ( e dovrà purtroppo farlo, per ragioni macro-economiche ) una delle principali voci nel motore economico mondiale, esso potrà avvenire proficuamente nel quadro di una normalizzazione del paese, in cui ancora par di capire che il ruolo cinese sia imprescindibile. Esclusa la Russia ( per evidenti ragioni "storiche" ), né la Nato né altri soggetti più o meno credibili potranno raggiungere risultati significativi in Afghanistan, con l'esclusione di Pechino che, al contrario, sembrerebbe avere tutte le carte in regola per conseguire un ennesimo risultato diplomatico di prima importanza. L'India stessa, che mantiene tuttora un profilo regionale piuttosto basso ( presumibilmente in attesa di vedere che destino potrà avere nell'intera vicenda il suo rivale storico, il Pakistan ), è di fatto il quarto tra i partner di cui sopra. Tel Aviv mantiene con New Delhi proficue ( ed ufficiali ) relazioni diplomatiche e questo elemento, che non è certo la quadratura del cerchio, perlomeno rende più credibile un simile scenario.

Ma tornando al Medio Oriente, che interesse avrebbe Israele al raggiungimento di una relativa stabilità regionale con un Iran in posizione preminente? Nel breve termine magari nulla di troppo evidente, ma Israele sa benissimo di non potere contare vita natural durante sul sostegno finanziario e militare statunitense né su un'arbitraria copertura, in sede Onu, delle sue ripetute malefatte. Per quelle che sono le sue esigenze di espansione economica, prima ancora che territoriale, una permanente situazione di crisi e di conflitto risulterebbe ben più pericolosa che rassicurante, ed il fatto che negli ultimi anni società israeliane si siano, di fatto, comprate mezza Giordania, non sembrerebbe casuale; un riequilibrio regionale che garantisca, da un lato, il contenimento e la mancata egemonia sciita di Teheran, ma al contempo, proprio per l'ascesa iraniana, un evidente ridimensionamento alle aspirazioni dei Paesi del Golfo ( Arabia Saudita in testa, mai come ora con le casse piene di petrodollari ) potrebbe risultare più che interessante per Israele, magari nel medio termine. L'asse russo-cinese limiterebbe di molto anche la portata della politica estera francese, che mantiene interessi e collegamenti nell'area e nei cui confronti Israele dimostra una particolare insofferenza; altre sortite o sporadiche aperture diplomatiche di singoli paesi europei ( tra i quali anche il nostro ) non sembrerebbero al momento preoccupare troppo Tel Aviv. Quanto al rapporto con la Russia, Putin sa benissimo di non potersi fidare di Israele ma al contempo non sembrerebbe avere troppe alternative; e Israele, nell'evidente necessità ed urgenza di conseguire una maggiore maturità socio-politica, difficilmente potrà prescindere dal rafforzamento delle proprie componenti interne, di cui quella russofona non ha certo un peso irrilevante.

Allora forse possiamo leggere in maniera diversa le strane disavventure che vanno accadendo negli ultimi mesi a vari personaggi più o meno scomodi ed il cui mandante si dice essere il Cremlino: nell'ipotesi di un attacco imminente da parte israeliana allora potrebbero anche essere il frutto di una vendetta israeliana per il sostegno russo a Teheran1, e il tutto avrebbe pure una sua logicità; ma se in quanto scritto fin qui vi è una parvenza di verosimiglianza, allora potremmo vedere il tutto come il naturale ( per certi ambienti ) e non certo inedito accomodamento sul tavolo da gioco, con tutto quel che comporta l'esservi seduto.

La posta in palio peraltro è decisamente allettante e, chiunque sarà il mazziere, possiamo esser certi che Israele non mancherà certo di prendervi parte; perché allora dovrebbe sparare su uno dei principali giocatori, ben sapendo, tra l'altro, che questi conosce piuttosto bene le regole del gioco?

Resta da vedere che intenderà fare l'America, scornata e ai minimi storici di credibilità e popolarità internazionale, oltre che sull'orlo di una pericolosa crisi economica; difficilmente potrà continuare ad usare la carta di Al Qaeda, talmente consumata che nel nuovo mazzo la si riconoscerebbe subito...

D'altronde, è indubbio che Israele non abbia nessuna intenzione, nell'immediato, a ché gli si trovino ( a Bush & Company ) gli assi nascosti nel risvolto delle maniche, per cui nessuno impiccherà il baro all'uscita del saloon. Prepariamoci dunque a lunghe notti fumose, sperando davvero che nessuno voglia farci un pessimo "Regalo di Natale".