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Dal Rapporto Baker sull'Iraq

di James A. Baker III & Lee H. Hamilton - 08/12/2006





Non c'è una formula magica per risolvere i problemi dell'Iraq. Comunque, ci sono azioni che possono essere intraprese per migliorare la situazione e proteggere gli interessi americani.
Molti americani sono insoddisfatti, non soltanto per la situazione in Iraq ma per lo stato del nostro dibattito politico riguardo all'Iraq. I nostri dirigenti politici devono assolutamente assumere un atteggiamento bipartisan per giungere ad una conclusione responsabile di quella che è diventata una guerra lunga e costosa. Il nostro paese si merita un dibattito più orientate alla concretezza e meno alla retorica, una politica adeguatamente finanziata e sostenibile. Il Presidente e il Congresso devono lavorare insieme. Il nostri leaders devono essere espliciti e diretti nel rivolgersi al popolo americano per ottenere il suo sostegno.

Nessuno può garantire che qualunque azione intrapresa in Iraq a questo stato delle cose possa arrestare la guerra tra le fazioni, l'aumento della violenza, lo scivolamento verso il caos. Se prosegue l'attuale tendenza, le conseguenze potrebbero essere gravi. Per il ruolo e responsabilità degli Stati Uniti in Iraq, e gli impegni presi dal nostro governo, il paese ha obblighi particolari.
Dobbiamo fare il massimo possibile per affrontare i molti problemi dell'Iraq. Gli Stati Uniti hanno relazioni di lungo termine e interessi in gioco in Medio Oriente, e devono proseguire nel loro coinvolgimento.

In questo rapporto unitario, noi dieci membri dell' Iraq Study Group proponiamo un nuovo approccio perché riteniamo che esista una via migliore. Non sono state ancora esaurite tutte le possibilità. Crediamo sia ancora possibile perseguire politiche diverse, tali da dare all'Iraq l'occasione di un futuro migliore, combattere il terrorismo, stabilizzare una regione cruciale per il mondo intero, proteggere la credibilità dell'America, i suoi interessi, i suoi valori. Il nostro rapporto esplicita anche come il governo e il popolo iracheno debbano agire per ottenere un futuro stabile e di speranza.

Quanto raccomandiamo richiede una enorme volontà politica e cooperazione fra le branche esecutiva e legislativa del governo americano. Richiede un'attuazione accorta. Richiede unità di impegno da parte delle agenzie governative. E il suo successo dipende dall'unità del popolo americano in un momento di polarizzazione politica. Gli americani possono e devono poter contare sul diritto a un onesto dibattito in un quadro democratico. Ma la politica estera degli Usa è destinata al fallimento – insieme a qualunque azione intrapresa nel caso dell'Iraq – se non ha il sostegno di un ampio consenso. Obiettivo del nostro rapporto è di spostare il paese in direzione di tale consenso.

Vogliamo ringraziare tutti gli interpellati, e chi ha contribuito con informazioni e assistenza al Gruppo di Studio, sia all'interno che all'esterno del governo Usa, in Iraq, e in tutto il mondo. Ringraziamo i componenti del gruppo di lavoro di esperti, e il personale delle organizzazioni coinvolte. In modo particolare, ringraziamo i nostri colleghi dello Study Group , che hanno lavorato con noi su queste difficili questioni, con generosità e spirito bipartisan .

Nel presentare il nostro rapporto al Presidente, al Congresso, e al popolo americano, lo dedichiamo alle donne e agli uomini – militari e civili – che hanno prestato servizio in Iraq, alle loro famiglie in patria. Hanno dimostrato uno straordinario coraggio, e compiuto difficili sacrifici. Ogni americano è il debito con loro.
Onoriamo anche i molti iracheni che si sono sacrificati per il bene del loro paese, e i componenti della Forza di Coalizione che si sono schierati insieme a noi e al popolo dell'Iraq.


di James A. Baker e Lee H. Hamilton
Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini per Eddyburg

Da The Iraq Study Group Report, James A. Baker, III, and Lee H. Hamilton, Co-Chairs
Lawrence S. Eagleburger, Vernon E. Jordan, Jr., Edwin Meese III, Sandra Day O'Connor, Leon E. Panetta, William J. Perry, Charles S. Robb, Alan K. Simpson, Vintage Books, A Division of Random House, Inc., New York


Nota

Seguono le schede informative sui due co-presidenti Baker e Hamilton, proposte dal manifesto il 7 dicembre 2006 (f.b.)

James A. Baker III da piccolo era un democratico. Passa con i repubblicani a quarant'anni per militare nella campagna che nel 1970 cerca di portare al Senato, senza successo, il suo più vecchio amico: Bush padre. Nasce da quella fallita campagna elettorale l'intera vita successiva di Baker, spesa a fare il capo dello staff di Reagan, poi il suo ministro del tesoro, quindi al consiglio per la sicurezza nazionale, infine capo dello staff e segretario di stato di Bush padre. In quegli anni trova anche il tempo e i miliardi per salvare dalla bancarotta un'azienda in crisi: la Arbusto , la ditta di Bush figlio. Nel '93 esce dalla scena governativa, fonda il James Baker Institute e si dedica al super-lobbismo: è tra i padri della coalizione della prima guerra del Golfo, entra nel consiglio d'amministrazione di diverse società (come il Carlyle group) e si arricchisce immensamente, nel 2000 è fra i protagonisti della battaglia legale in Florida che regala a Bush figlio la presidenza. E' un vetero-con, temporaneamente accantonato dalla travolgente onda neo-con e ora riportato al centro della scena proprio dal loro fallimento.

Lee H. Hamilton è un campione moderato, un cacciatore del compromesso, un professionista del bipartisan. La biografia politica dell'uomo che insieme a James Baker ha firmato il rapporto del parlamento americano sull'Iraq è quella di un oliatore professionista: figlio di un pastore metodista della Florida, 74 anni dei quali ben 34 passati alla Camera - in cui entrò poco più che trentenne al seguito di Lyndon Johnson - Hamilton entrò nell'allora Foreign affairs comittee della Camera (che oggi si chiama Comitato per le relazioni internazionali ed è il luogo in cui il parlamento americano decide la politica estera dal paese), scegliendo di restarci anche quando, anni dopo, gli venne offerta una prestigiosa candidatura al Senato. E' conosciuto per avere rapporti particolarmente stretti con la Casa Bianca , anche quando è guidata dai repubblicani. Negli anni '80 frenò gli attacchi democratici a Reagan durante lo scandato Iran-Contra. Si è opposto più volte a obbligare l'ex ministro della difesa Rumsfeld a deporre sotto giuramento davanti alla commissione che indagava sull'11 settembre.