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Il grande gioco del greggio nel Delta del Niger

di Silvestro Montanaro - 14/12/2006

 
Anche se il rapimento dei quattro dipendenti Agip dovesse risolversi in breve tempo, della Nigeria e dei ribelli del Delta del Niger sentiremo parlare a lungo. Apparentemente, ma solo apparentemente, la vicenda è un classico. Allo strapotere delle multinazionali, in questo caso quelle petrolifere, al loro saccheggio di risorse e ambiente, alla loro alleanza con élite di potere corrotte a scapito di una popolazione eternamente in miseria, si oppone un movimento di resistenza.

All'inizio, con gli Ogoni e Ken Saro Wiwa questo movimento aveva caratteristiche non violente, ma poi, con il passare del tempo e, soprattutto, a causa della repressione sanguinosa di quel movimento, la rivolta si arma. Le compagnie, dopo l'indignazione internazionale per le condanne a morte di Ken Saro Wiwa e di altri leader non violenti, hanno risposto con una politica paternalistica di concessioni ad alcune comunità e con l'alimentare, sottobanco, una guerra tra queste e quelle escluse, financo prestando i propri mezzi per l'esecuzione di rappresaglie sanguinose. Al mondo si poteva così raccontare un volto buono delle compagnie, anzi desolato per la corruzione governativa, accusata di malversazione e non distribuzione sociale della rendita petrolifera, e per il tribalismo banditesco che non permetteva la pace sociale e il progresso delle comunità locali. Le grandi regie informative occidentali propagavano questa lettura dei fatti, imputandola ad una democrazia giovane, appena nata dalle ceneri di una dittatura decennale.

Negli anni successivi, poi, Banca mondiale e pressione delle Ong, avevano prodotto anche alcuni meccanismi di trasparenza e controllo sulle entrate petrolifere, per altro di dubbia efficienza. E, per altri versi, di recente, si è lavorato a impedire la terza elezione del presidente «democratico», costretto al ritiro nelle prossime elezioni presidenziali in nome di un allargamento della democrazia. Ma nel frattempo era successo successo qualcosa di grosso, di veramente grosso.

La Nigeria è la nazione più popolosa d'Africa ed insieme un difficile miracolo multietnico e multireligioso, un complesso esercizio di convivenza tra popoli diversi e religioni cristiana ed islamica. Una potenziale polveriera, insomma, specie tenendo conto che questo è un paese fra i maggiori produttori di petrolio e potenzialmente fra i primi di gas, finora non sfruttato. Le geopolitiche concorrenti in Occidente su questo immenso patrimonio energetico hanno rischiato più volte, in passato, di provocare la deflagrazione. Ma le novità che oggi rischiano di incendiare quest'area del mondo sono legate soprattutto a due fattori: gli alti prezzi del petrolio e l'entrata in scena, nella competizione energetica, della Cina.
In Nigeria sono arrivati grazie agli alti corsi del petrolio centinaia di miliardi di dollari e la guerra per la spartizione di questa enorme torta all'interno delle élites al potere è divenuta sempre più una confusa resa dei conti soprattutto in vista delle prossime presidenziali. Negli Stati del Delta, poi, la voglia di separatismo è crescente, visto che qui ha origine questo fiume di denaro e lo scontro tra il governo centrale e i governatori locali ha già mietuto delle vittime. Bande di potere politico-mafioso, sia locali che centrali, hanno poi organizzato il «rifornimento», cioè il furto organizzato del 10, 15% della produzione petrolifera con tanto di proprie navi cisterna.

Il loro livello di organizzazione e di armamento ha del sorprendente; le loro azioni hanno capacità mediatiche mondiali e più volte hanno singolarmente alimentato i rialzi frenetici del prezzo del petrolio sulle piazze finanziarie occidentali. I loro attacchi, i loro proclami, poi, mettono in seria difficoltà le compagnie petrolifere e le loro attività e qualcuna ha persino ipotizzato il proprio ritiro dalla Nigeria. E qui, guardate che cosa strana. Le compagnie sotto assedio, invitate ad andare via, sabotate, sono tutte compagnie occidentali. Direte voi, che c'è di strano? Tanto, veramente tanto. Da alcuni anni lungo i mille canali del Delta del Niger sono arrivate anche tante compagnie asiatiche, indiane, coreane, per esempio, ma soprattutto cinesi. E il loro modo di procedere è assolutamente simile a quello delle compagnie occidentali. Ed allora, non è strano che queste compagnie non siano mai presenti negli elenchi di quelle invitate ad andar via? Non è singolare che mai una compagnia cinese sia stata messa sotto attacco?

Un dato sopra tutti. In questi ultimi anni la Cina ha investito in Nigeria la bazzecola di 9 miliardi di dollari. La Cina quando investe e presta denaro, poi, non pone clausole, per altro ipocrite, di diritti umani e governance come fanno i governi occidentali e le loro istituzioni finanziarie, innanzitutto Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale. E la Cina ha scelto, vedi il recente Forum sino-africano di Pechino, l'Africa come suo interlocutore privilegiato in quanto a materie prime, innanzitutto energetiche.
È dall'Africa che già ora arriva in Cina quasi il 30% del rifornimento petrolifero di cui il gigante asiatico ha bisogno per mantenere ad alta velocità la sua locomotiva. E i paesi africani sono inondati di investimenti e prestiti cinesi, esenti da condizioni «umanitarie», tanto che Banca mondiale e Fondo monetario da queste parti hanno perso gran parte del proprio potere. Ad acquisirne tantissimo, invece, sono alcune elite al potere, vogliose di mantenersi eternamente al potere e di poter continuare a fare gli affari di sempre. A queste elite corrotte, autentiche petrocrazie, l'occasione Cina permette di liberarsi dalle mille catene del dominio occidentale e di mantenere inalterato il proprio rapporto di rapina nei confronti delle proprie popolazioni, visto il rispetto cinese del principio di non ingerenza negli affari interni dei paesi amici. Un «nazionalismo» petrolifero, sull'esempio russo, che fa alzare la voce a tanti potenti africani, che mette all'uscio il Fondo monetario, come in Angola subito dopo le accuse mosse dall'istituzione finanziaria al locale presidente di furto della ricchezza nazionale per più di due miliardi di dollari l'anno. Una tentazione anche per la Nigeria, soprattutto se ben sollecitata, che potrebbe portare anche qui ad una redistribuzione in chiave «asiatica» delle risorse energetiche?

La tragedia è però che anche l'Occidente, soprattutto le mayors petrolifere americane, visti i guai mediorientali, hanno scommesso sull'oro nero africano che è tanto, di buona qualità ed appena di fronte casa. Gli Usa hanno dichiarato l'Africa occidentale zona strategica di proprio interesse e sicurezza, stanno impiantando a Sao Tome una base navale, visto che da qui gli arriva circa il 22% del proprio fabbisogno energetico. E visti i tanti guai in corso in altre aree strategiche non possono certo mollare l'osso. In sintesi quello che si profila è un grande scontro tra gli interessi energetici cinesi e americani con teatro l'Africa petrolifera. Uno scontro foriero di grandi problemi per tutti, ma innanzitutto per le popolazioni residenti.