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Palestina: sulla strada della guerra civile

di Christian Elia - 14/12/2006

Sale la tensione nella Striscia di Gaza, dove lo scontro tra Hamas e Fatah è sempre più evidente
La vendetta attesa nella Striscia di Gaza non ha tardato ad arrivare. Il giorno dopo la ‘strage degli innocenti’ di Gaza City, l’omicidio dei tre figli di Baha Balousheh, ufficiale dei servizi di sicurezza palestinesi fedele a Mahmud Abbas, un commando ha ucciso Bassam al-Fara,  a Khan Younis, un comandante dell'ala militare di Hamas nonché giudice di un tribunale civile. Sangue chiama sangue e Balousheh, durante il funerale dei suoi bambini, uccisi in un agguato di fronte alla loro scuola assieme all’autista, aveva giurato vendetta. Sangue chiama sangue nella Striscia, ma mai come adesso la situazione è davvero appesa a un filo.
Quanto manca alla guerra civile? Difficile rispondere a questa domanda, ma la sensazione è che gli stessi leader di Hamas e Fatah (il partito di Arafat prima e di Abbas ora) stiano perdendo il controllo dei miliziani.
 
mahmoud abbas e il premier di hamas hanyiehLo sgombero di Gaza.  Dovendo indicare una data che segni l’inizio delle ostilità tra i militanti di Hamas e di Fatah, molti indicherebbero lo sgombero della Striscia di Gaza, avvenuto ad agosto 2005. Le truppe israeliane si ritirano dopo 40 anni di occupazione, per la decisione unilaterale del governo all’epoca presieduto da Ariel Sharon, e sgomberano tutti i coloni dagli insediamenti illegali nella Striscia. All’improvviso, senza essere preparati, i palestinesi hanno un territorio da amministrare e sul quale esercitare, con tutte le limitazioni del caso, il potere. Questo fa emergere le contraddizioni e le divisioni interne al fronte arabo del conflitto israelo – palestinese. Hamas, dal giorno dell’annuncio del ritiro dato dal governo Sharon davanti alla Knesset (il parlamento d’Israele), si appropria del successo: “E’ la nostra vittoria: vanno via grazie alla lotta dei martiri di Hamas”. Il movimento islamista comincia subito una campagna mediatica e tra la popolazione civile della Striscia per far passare un messaggio chiaro: la lotta armata ha portato al raggiungimento dell’obiettivo, non la diplomazia della gerontocrazia di Fatah, capace di farsi imporre accordi punitivi dalla comunità internazionale senza saper reagire e buona solo a rubare, costruendosi le case in Cisgiordania con i fondi dell’Unione europea e lasciando la gente a morire nei campi profughi. Abbas si prodiga per sconfessare le accuse di Hamas, ma la popolazione civile non è insensibile alle bordate degli islamisti e, a gennaio 2006, la rottura con il passato si consuma fino in fondo: alle elezioni di gennaio 2006 Fatah non è solo sconfitto: è umiliato. Hamas trionfa aggiudicandosi 73 seggi in parlamento contro i 43 degli eredi di Arafat. Solo un anno prima Abbas, alle elezioni presidenziali, aveva ottenuto una larga maggioranza e veniva eletto al posto di Arafat, ma Hamas non si era esposta, lasciando all’anziano leader la presidenza dell’Autorità Nazionale palestinese e puntando tutto a vincere le elezioni politiche. Ma durante la campagna elettorale per le presidenziali, a novembre 2004, si era verificato un episodio senza precedenti: Abbas si reca a Gaza per la campagna elettorale e, mentre si appresta a tenere un comizio, scoppia una sparatoria tra gli spettatori. Muoiono due guardie del corpo di Abbas che, assieme al suo entourage, si affanna a negare che sia lui il bersaglio dell’attentato, eppure qualcuno comincia a parlare di guerra civile.
 
yasser arafatLa morte del rais. Lo sgombero di Gaza ha quindi accelerato un processo che, fin dal 2004, era già in atto. Il fattore scatenante del confronto aperto tra Hamas e Fatah è allora da cercare prima, e secondo molti coincide con la morte di Yasser Arafat, padre padrone dell’Anp e dello stesso popolo palestinese. Il rais, dopo il ricovero in un ospedale di Parigi, muore l’11 novembre 2004. In quel momento, dopo il cordoglio e il dolore, si apre la vera lotta di successione al suo trono. Fino a quando Arafat è stato in vita, infatti, nessuno si sarebbe permesso di mettere in discussione il potere assoluto dell’uomo che, con mille contraddizioni, aveva imposto la causa palestinese all’agenda della comunità internazionale. L’uomo che tutti ritenevano un padre, l’uomo che amava pagare gli stipendi con le sue stesse mani, il mito. Hamas, per quanto scettica sulla linea seguita da Arafat e spesso in contrasto con gli accordi accettati dal rais (il movimento islamista non ha mai accettato gli Accordi di Oslo del 1993) , non si permetteva di criticare apertamente colui che, per tutti i palestinesi, era un’icona. Inoltre, nel giro di pochi mesi nel 2004, l’esercito israeliano aveva eliminato con due omicidi mirati il leader di Hamas, lo sceicco Ahmad Yassin, e il suo braccio destro, Abdel Aziz al-Rantissi. L’organizzazione era quindi in un periodo di transizione, e ha preferito riorganizzarsi prima di lanciare la scalata al potere.
Una volta serrate le fila e lasciata passare l’onda emotiva della morte del rais, Hamas ha attaccato apertamente la nomenklatura del Fatah, accusandola di corruzione e incapacità politica. Non a caso, poco dopo la morte di Arafat, sono state fatte circolare ad arte una serie d’insinuazioni sul presunto ‘tesoro’di Arafat, nascosto in conti all’estero. Indiscrezioni che, in parallelo, si scontrano con la capillare opera d’investimento nel sociale che Hamas ha saputo fare negli anni, costruendo scuole, ricoveri per nullatenenti, programmi di sostegno economico per le vedove e gli orfani e ricevendo in cambio l’imperitura gratitudine dei beneficiari.
 
miliziani di hamas durante una manifestazionePressioni dall’esterno. A gennaio 2006 Hamas raccoglie quello che ha seminato per anni. Stravince le elezioni e si appresta a governare. Ma la comunità internazionale, preoccupata dall’ascesa di un movimento islamista al potere in Palestina, decide che bisogna bloccare l’organizzazione che non ha mai davvero rinunciato all’opzione della lotta armata. L’Unione europea e gli Stati Uniti bloccano i fondi all’Anp. Contestualmente le cancellerie occidentali e il governo israeliano si affannano a indicare Abbas come unico interlocutore possibile per riaprire un negoziato di pace e, per rafforzarlo,  si arriva al punto di potenziare l’apparato di sicurezza che protegge la vita del presidente palestinese. Hamas si trova in un angolo: impossibilitata a pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici, vede crescere la rabbia popolare, mentre a Gaza si diffonde lo spettro della fame. Israele, dopo un periodo piuttosto calmo, lancia operazioni pesanti sulla Striscia di Gaza e Hamas si trova in un vicolo cieco: rispondere alle offensive per riguadagnare la credibilità popolare significherebbe dire addio per sempre alla levatura politica internazionale di un partito che nessuno reputa in grado di governare. La tensione cresce e, tra le fila del Fatah e tra quelle di Hamas, il nervosismo serpeggia. Le scaramucce sono quotidiane e i nodi vengono al pettine. Il premier palestinese Haniyeh e il presidente Abbas, da mesi, tentano inutilmente di trovare un accordo per un governo di unità nazionale, ma sono divisi e il riconoscimento dello Stato d’Israele resta un limite che pare invalicabile. Mentre i capi discutono, però, la base dei due partiti comincia a perdere la pazienza. La strage dei figli di Balousheh è, per esempio, un regolamento di conti in sospeso, essendo il padre dei bambini uccisi uno degli uomini che Arafat incaricò, all’indomani degli Accordi di Oslo, di ‘eliminare’ i miliziani di Hamas che non accettavano il trattato. La situazione è esplosiva e, con tutti i distinguo del caso, finisce per essere la rappresentazione di una tensione che percorre tutto il Medio Oriente: la contrapposizione tra i movimenti islamisti, che in tutto il mondo arabo guadagnano consenso, e le vecchie classi dirigenti laiche. Come sempre, negli equilibri della regione, il conflitto palestinese riveste un ruolo centrale, e un’eventuale guerra civile tra palestinesi sarebbe l’ultima cosa della quale si sente il bisogno in Medio Oriente.