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India. Da antica civiltà a superpotenza dell’Asia

di redazionale - 18/12/2006

Un miliardo di abitanti, di cui la metà con meno di 26 anni, un tasso di crescita superiore al 10%, un primato crescente nel campo dell’informatica. Sono alcuni dati della nazione che, da uno stato di arretratezza, punta ad agganciarsi subito alla rivoluzione postindustriale

 

L’elevata fertilità (25 milioni di bambini all’anno, più che nell’intera Africa subsahariana) porterà probabilmente la popolazione indiana a superare quella cinese (oggi a 1,3 miliardi) verso la metà del secolo

Quella di oggi è un'India dalle molte anime che non ne rinnega nessuna, ma fatica ad abbracciarne una in particolare. «La più grande democrazia del mondo» dei tre obiettivi che i padri fondatori le affidarono e che si ritrovano nella Costituzione del 1950, ovvero indipendenza, armonia e sviluppo, ha saputo realizzare pienamente la prima e vivere in modo discontinuo e ambiguo la seconda (basti pensare alla divisione in 28 stati su base etnico-linguistica, oltre a 7 territori dell'Unione, direttamente amministrati da Nuova Delhi per la loro importanza strategica) che si è andata accentuando nel tempo e che può essere vista come un omaggio alla partecipazione democratica, ma anche un cedimento ai particolarismi e alla loro gestione politica... Infine, lo sviluppo ha dovuto attendere oltre cinquant'anni per concretizzarsi, anche se ancora in modo non compiuto.
Oggi l'economia dell'India è caratterizzata da una grande diversificazione, com'è lecito aspettarsi da un paese su scala continentale (oltre 3,2 milioni di chilometri quadrati), dalla grande varietà di condizioni ambientali, climatiche, umane, frontiere e opportunità. Da un lato la campagna spesso arretrata e illetterata, dove batte il cuore della "vera India" gandhiana, che dà da vivere ai due terzi degli indiani, ma convive con un'agricoltura moderna, con una ricca produzione artigianale e una moltitudine di professioni di servizio; dall'altro l'India delle alte tecnologie, della ricerca di un ruolo di primo piano nell'economia globale che fatica a imporsi su un "paese profondo" tradizionalista e scettico, immerso in un sogno di antica grandezza troppo spesso deluso ma ancora tenacemente presente.
Ovvio che in una condizione di diffusa e spesso acuta povertà, la popolazione stenti a lasciare la terra, spesso ingrata. Tuttavia a volte neppure la sua popolazione ha la percezione della realtà e delle potenzialità di questo immenso paese. La produzione industriale cresce a ritmi elevati e con essa la ricchezza prodotta annualmente, superiore al 10%; la Borsa di Bombay (ora Mumbay) è non solo il maggiore mercato finanziario del subcontinente, ma è porta degli investimenti e spia dello stato del paese. Il sospetto con cui le potenze asiatiche, Cina, Giappone e Corea del Sud in testa (ma buona parte del resto del mondo industrializzato non è da meno) guardavano al colosso indiano è superato dalle potenzialità del suo mercato e delle iniziative congiunte. Se oggi la Cina esporta abbondantemente in India prodotti a basso contenuto tecnologico (l'interscambio tra i due paesi è cresciuto del 38% nel solo 2005, portandosi a 16 miliardi di euro), l'apertura a Pechino e in altre metropoli cinesi delle filiali di aziende informatiche indiane racconta una storia ben diversa rispetto a quella del sottosviluppo e dell'elefantiaca burocrazia, getta nuova luce sul futuro di un'Asia in prospettiva bipolare.

In questa nuova visione, l'antica India ha una risorsa da far valere su tutte, la sua popolazione. Oggi oltre la metà degli indiani ha meno di 26 anni. Per mantenere una occupazione ottimale, l'India dovrebbe fornire almeno otto milioni di nuovi posti di lavoro ogni anno, obiettivo ancora ben lontano dall'essere raggiunto. Di fatto - e il paragone è d'obbligo con il suo immediato concorrente su scala continentale - mentre la Cina popolare, a causa della politica del figlio unico, ha ora una forza lavoro più anziana, che attrae meno gli investitori stranieri, per l'India le sue bocche da sfamare e le sue braccia giovani rappresentano una ricchezza dal potenziale esplosivo. Per i prossimi decenni l'elevata fertilità (in India nascono ogni anno più bambini che nell'intera Africa subsahariana, 25 milioni) porterà probabilmente la popolazione indiana (attualmente 1 miliardo e 100 milioni) ad operare il sorpasso su quella cinese (oggi a 1,3 miliardi) alla metà del secolo. La sfida sarà garantire benessere e motivazioni a una popolazione tanto vasta, e stabilire nuove regole del gioco.
A nzitutto, per rendere possibile, se non certo, uno sviluppo in settori ad alto contenuto tecnologico (quelli che più generano oggi occupazione e ricchezza a livello mondiale). Però all'India manca un passaggio importante: transitare dallo stadio di potenza agricola a quello di potenza industriale. Questo spiega perché, nonostante aree produttive d'eccellenza, la forte crescita economica complessiva del continente asiatico nel decennio 1995-2005 abbia scavalcato l'India dove, secondo dati dell'Organizzazione nazionale per le indagini-campione, a fronte di una crescita media del 6%, la povertà è scesa solo dello 0,8%. Il settore manifatturiero è l'unico per ora in grado di contribuire alla crescita occupazionale, con quattro milioni di nuovi posti di lavoro ogni anno.
«Infosys», fornitore di software aziendale su scala mondiale - con sede a Bangalore ma con filiali e uffici di rappresentanza in tutto il mondo e con clienti tra decine dei colossi mondiali delle comunicazioni, dell'alimentazione e dell'informatica - è stato giustamente definito «uno dei più grandi eventi nel mondo degli affari indiano» ma anche, come sottolinea un analista finanziario di Bombay, una realtà che «sta rendendo cosciente la nostra gente di come sia possibile emulare il meglio del mondo in un'area legata alla conoscenza». Narayana Murthy ha lasciato la guida dell'azienda da lui fondata nel 1981, cresciuta nel frattempo di valore di quasi trecento volte, ma l'esempio di «Infosys» ha fatto scuola.

Non si contano le imprese indiane che propongono un modello basato sulla flessibilità dei prodotti, la qualità e il prezzo concorrenziale. Le leggi del mercato fanno il resto, e proprio sul mercato globale le aziende indiane stanno dimostrando nei fatti di giocare ad armi pari. Da ogni parte del mondo, le multinazionali hanno preferito investire capitali su aziende indiane piuttosto che mettersi in gioco direttamente nel grande paese asiatico, lasciando così ampi spazi alle iniziative locali. E l'India sta dimostrando di saperne approfittare, con ricadute non solo di carattere economico. Oggi, più che l'adesione al dettato costituzionale e lo sforzo di quanti lottano per la parità di diritti e di opportunità, ad allentare i vincoli castali sono l'urbanizzazione e l'industrializzazione che rendono necessaria una maggiore mobilità e una necessaria interazione tra tutte le componenti sociali, oltre che una vicinanza fisica tra membri di caste diverse, un tempo e ancora oggi nelle aree rurali impensabile. Sono proprio le professioni che uniscono capacità speculativa e iniziativa individuale con neutralità rispetto alla tradizione (come la tecnologia o la produzione di software) a proporre oggi all'attenzione e al rispetto del mondo la grande e variegata India.