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Contando le vittime in Iraq

di Nicholas von Hoffman - 19/12/2006


Si può morire a causa di un cecchino, fronteggiando il nemico, per un colpo di mortaio, per uno di carro armato; si può morire nel tentativo di salvare l’amico del cuore, si può morire a causa di un colpo sparato da un compagno impazzito a causa del PTSD (disturbo da stress post-traumatico). Ci sono molti modi diversi di perdere la vita in Iraq. E, a quanto sembra, ci sono modi diversi di contare le vittime

Velocemente, troppo velocemente, stiamo raggiungendo la macabra cifra dei 3.000 morti americani in Iraq.

Ma non è detto che il dato sia corretto: la politica del governo Usa, infatti, è quella di tenere le cattive notizie fuori dalla portata dell’opinione pubblica. È possibile quindi che i 3.000 siano in realtà 4.000 – difficilmente ne verremo a conoscenza.

Ciò sarebbe in linea con l’oculata politica del Presidente George Bush di proibire la diffusione delle fotografie delle bare contenenti i resti di coloro che hanno dato la propria vita per noi. È sempre meglio non sapere, no?!

Persino la famosa commissione Baker-Hamilton fa notare come la Casa Bianca non sia incline a rendere pubbliche le notizie spiacevoli.

“Esiste un significativo deficit informativo riguardo alle violenze in Iraq. Il modo in cui vengono riportati gli attacchi tradisce la sua natura di filtro rispetto alla libera circolazione di ciò che realmente succede e dovrebbe essere archiviato come dati di fatto”. L’assassinio di un iracheno non viene necessariamente conteggiato alla voce “morte per attacco”. Se non si riesce a stabilire con precisione l’origine di un’offensiva settaria, questa non entra a far parte dei database relativi. Le bombe di strada, i razzi o i colpi di mortaio che non feriscono i membri dello staff militare Usa vengono trascurati. Ad esempio, in una giornata del luglio 2006 vennero riportati 93 tra attacchi e significativi atti di violenza. Una più attenta rilettura ne rivelò in seguito 1.110. Diventa complicato impostare una buona politica quando il complesso informativo si pone come obiettivo la minimizzazione delle discrepanze rispetto agli obiettivi della politica stessa”.

Se la notizia è che c’è stata la morte numero 3.000, il governo potrebbe decidere di mettersi in moto per prevenire l’indignazione e la reazione che ne scaturirebbero, in qualche modo. Ad esempio, cosa accadrebbe se tre di quattro persone a bordo di un Humvee fossero uccise da una bomba fatta esplodere nello stesso momento? Quale sarebbe in questo caso la notizia del momento? Cosa rappresenterebbe il numero 3.000?

Conoscendo le logiche del Pentagono, non ci si stupirebbe se i suoi ufficiali dichiarassero che se il numero 3.000 non può essere determinato con precisione, allora non è detto che la morte numero 3.000 ci sia stata. Quindi, come essi sono soliti ribadire, invece di pensare al passato, andiamo oltre.

Gli stessi potrebbero inoltre eludere il decesso numero 3.000 ove non gradissero il modo in cui la 3.000esima vittima abbia trovato la morte.

Ad esempio, è il caso di Pat Tillman, il giocatore di football che, dopo l’11 settembre, firmò per entrare nell’esercito e perse la vita in Afghanistan. Inizialmente fu riportato che Tillman morì dopo aver combattuto contro i talebani; poi regnò il silenzio; infine, a seguito di diverse forti pressioni, si venne a sapere che il giovane perì sotto i colpi del fuoco amico – che non ne ha fatto un eroe, bensì ha reso la sua morte politicamente meno utile.

Esistono altri modi per la vittima numero 3.000 di incontrare la propria morte. Ad esempio, da un cattivo studente durante un insegnamento all’esercito iracheno.

Oppure, da un cecchino, fronteggiando il nemico, da un colpo di mortaio, da uno di carro armato; si può morire nel tentativo di salvare l’amico del cuore, si può morire a causa di un colpo sparato da un compagno impazzito a causa del PTSD (disturbo da stress post-traumatico, NdT).

Ci sono molti modi diversi di morire in Iraq. E non ci sono buone notizie.


Nicholas von Hoffman è stato opinionista per il programma cult negli Stati Uniti '60 Minutes' e ha curato per anni una rubrica sul 'Washington Post'. Attualmente è editorialista del 'New York Observer' e di 'The Nation'.
Di Nicholas von Hoffman Nuovi Mondi Media ha pubblicato Il dizionario diabolico del business.


Fonte: Common Dreams
Fonte originaria: The Nation
Traduzione a cura di Luca Donigaglia per Nuovi Mondi Media