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Boscimani: un epilogo già visto?

di Francesco 33 - 21/12/2006



 



Oggi, finalmente, in data 13 dicembre l’Alta Corte del Botswana ha emesso la sua sentenza sul diritto dei Boscimani a far ritorno alle loro terre. La sentenza è stata, grazie a Dio, dato che non era affatto scontato, pressoché completamente favorevole ai Boscimani.

Ora non starò a raccontare gli antecedenti remoti della vicenda, che per chi segue questo forum sono già ben conosciuti dal momento che ne ho parlato in un altro articolo (cfr in archivio di Settembre 2006 il post: "BOSCIMANI: OGGI E, FORSE, MAI PIU'..." ndr); mi limiterò invece ad aggiungere qualche dato e a fare qualche breve considerazione.

Bisogna in primo luogo dire che in questi ultimi tre mesi era cresciuta la mobilitazione intorno al caso, all’interno del Botswana e fuori, dei sostenitori dei Boscimani. Innanzitutto il 22 settembre, dopo aver compiuto una missione investigativa nella Central Kalahari Game Reserve (CKGR) e nei campi di reinsediamento dove sona stati «rilocati» i Boscimani, il Partito del Congresso del Botswana (BCP) ha deciso di sostenere la loro causa: questo fatto è stato molto significativo dal momento che il BCP, a differenza dell’International Socialist Organization (il piccolo partito trotskysta che già da tempo aveva preso posizione a loro favore), è un partito che in Botswana, pur essendo all’opposizione,ha un certo peso disponendo del 16% circa del voto popolare. Successivamente, l’11 di ottobre i sostenitori americani dei Boscimani hanno violentemente contestato il presidente del Botswana Mogae nel corso di un incontro tenutosi a New York sul tema "Diamanti per lo sviluppo"(quale?probabilmente quello delle sue tasche). Il 10 novembre anche il vescovo Desmond Tutu ha condannato lo sfratto dei Boscimani, mentre già il 17 ottobre 2006 il comitato di controllo africano sui diritti umani aveva criticato il trattamento del governo verso di loro; il 10 dicembre c’è stata anche una marcia in loro favore a Gaborone, capitale del Botswana, a dire il vero non molto partecipata (circa 200 persone).D’altro canto va detto che mentre cresceva questa mobilitazione la TH Drilling metteva in atto per conto della Petra Diamonds tutta una serie di espolorazioni diamantifere nelle terre dei Boscimani. Poi, finalmente, il 13 dicembre la corte ha emesso il suo verdetto, che è stato quasi completamente favorevole ai Boscimani, e dico «quasi» perché ovviamente non poteva mancare un neo che maculasse almeno in parte questo quadro in apparenza idilliaco: certamente lo sfratto a cui sono stati sottoposti è stato definito “illegale e incostituzionale”, è stato sancito il loro diritto a tornare a vivere nella loro terra,sono stati riaffermati i loro diritti a cacciare e raccogliere liberamente nella riserva,senza dover chiedere permessi di sorta; tuttavia è stato anche stabilito che il governo non avrà l'obbligo di fornire servizi e assistenza ai Boscimani che vorranno vivere nella riserva.

Ora bisogna sapere che circa il 12% dei Boscimani che avevano intentato la causa sono morti prima del pronunciamento della sentenza, che tra i Boscimani trasferiti nel campo di reinsediamento di Kaudwane si sono diffusi alcolismo e prostituzione, prima sconosciuti, e in conseguenza di ciò molti di loro sono stati colpiti dall’AIDS, senza parlare del fortissimo trauma psicologico di essere stati strappati al loro ambiente ancestrale ed essere stati gettati in un altro per loro alieno e ostile, trauma difficilmente superabile (un po’ come accadde,su scala molto più vasta,ai nostri antenati che subirono a partire dalla fine estrema del ‘700 gli effetti della Grande Trasformazione); solo questi fatti dovrebbero bastare per permettere di considerare servizi e assistenza da parte del governo come un risarcimento minimale per i danni subiti; così però la corte non ha pensato; d’altra parte si può ritenere che i Boscimani si arrangeranno come hanno sempre fatto.

A questo punto dunque uno potrebbe cominciare ad essere ottimista e si potrebbe citare il famoso proverbio «tutto bene quel che finisce bene»; tuttavia io non sono così ottimista, sarà che sono di natura guardingo e sospettoso, ma tendo a mantenere tuttora una certa prudenza. Mi sovviene infatti a questo proposito una vicenda analoga occorsa negli Stati Uniti d’America a partire dal 1830. In quell’anno il neo-presidente Andrew Jackson, che per usare un eufemismo si può dire che non amava gli indiani, riuscì a far approvare dal Congresso l’Indian Removal Act, con cui si «rilocavano» a ovest del Mississipi le tribù indiane che vivevano a est dello stesso. Precedentemente nel 1828 lo stato della Georgia aveva già emanato delle leggi per forzare gli indiani Cherokee a lasciare le loro terre, nelle quali tra l’altro era stato scoperto l’oro. Nello stesso 1830, dopo una serie di tentativi andati a vuoto per tutelare i loro diritti presso il Congresso e l’amministrazione i Cherokee decisero di rivolgersi alla Corte Suprema degli Stati Uniti, che in questo caso diede loro torto.Tuttavia in una successiva sentenza del 1832,Worcester v. Georgia, diede loro implicitamente ragione,stabilendo, in una vicenda che riguardava alcuni missionari che avevano rifiutato di ottemperare a una legge della Georgia che imponeva ai bianchi che volevano vivere nel territori Cherokee di ottenere una licenza dallo stato, che le leggi dei singoli stati non avevano valore all’interno dei territori indiani,che costituivano una “comunità distinta”, soggetta solo alla giurisdizione federale (va da sé che i missionari,tra cui vi erano Samuel Austin Worcester and Elizur Butler, rifiutarono di obbedire alla legge poiché essendo conosciuti come sostenitori degli indiani non avrebbero mai ottenuto i permessi). Ebbene questa sentenza,che avrebbe implicitamente protetto i Cherokee dall’aggressione che stavano subendo, non fu mai fatta applicare per l’ostilità dell’amministrazione Jackson e di gran parte del Congresso, e i Cherokee vennero forzatamente trasferiti oltre il Mississipi.

D’altra parte è purtroppo vero che senza la volontà, e soprattutto la forza di farle rispettare legge e giustizia diventano,se non intrinsecamente,almeno agli occhi dell’opinione pubblica vani «flatus vocis», come dimostra «a principio» tutta la storia dell’umanità. Non è detto ovviamente che la vicenda dei Boscimani abbia lo stesso esito di quella dei Cherokee, sebbene questo pericolo sia ben presente: dalla prima metà dell’800 è passata molta acqua sotto i ponti e soprattutto è radicalmente cambiata, per fortuna, la disposizione d’animo dell’opinione pubblica, oggi decisamente favorevole ai diritti dei popoli indigeni; specialmente nell’ultimo ventennio del secolo scorso l’atteggiamento nei confronti dei popoli tribali è mutato a tal punto che, per esempio, in Brasile molti che prima avevano occultato la propria ascendenza «india» sono tornati a rivendicarla con orgoglio, e lo stesso è successo negli Stati Uniti, dove addirittura si è anche tentato di ottenere il riconoscimento di entità tribali considerate estinte da decenni o anche più. Inoltre la causa vinta dai Boscimani è stata la più costosa di tutta la storia del Botswana sebbene sia stata intentata dai suoi abitanti più poveri, e non sarebbe neanche potuta iniziare se i Boscimani non fossero stati in questo aiutati da “Survival” (mi permetto ancora di suggerire di visitare il sito dell’organizzazione: //survival-international.org//); e proprio il sostegno di cui gode “Survival” è un segno tangibile della crescita dell’interesse in occidente per le sorti di questi popoli minacciati.

Tuttavia,nonostante questi segnali positivi,la minaccia all’esistenza dei Boscimani non è ancora svanita all’orizzonte: la sentenza deve essere ancora attuata, e non sappiamo ancora se il governo ha intenzione di attuarla, e d’altra parte a una dichiarazione d’intenti formale di adeguamento alla sentenza potrebbe corrispondere invece una nascosta volontà di eluderla con metodi surrettizi. Bisogna quindi vigilare affinché questo verdetto favorevole non si trasformi in una vittoria di Pirro: a questo ovviamente pensano già “Survival” e altri organismi interni ed esterni al Botswana (sebbene in questi ultimi io non nutra particolare stima e fiducia), ma ognuno può portare il suo contributo a proprio modo a sostegno della loro causa,dato che in questi casi l’appoggio dell’opinione pubblica è sempre fondamentale. Penso che tutti debbano ricordare che qualora anche non sentano come un dovere dettato da esigenza di giustizia quello di aiutare questo popolo in difficoltà dovrebbero sempre ricordare che il venir meno della varietà genetica e culturale dell’umanità costituirebbe una perdita forse irrimediabile e sarebbe la sanzione definitiva della vittoria di quelle forze impersonali del mercato che dominano sovrane oggi sulle nostre vite e fin nell’intimo della nostra essenza, a volte senza che neanche ce ne rendiamo conto: le conseguenze di ciò sono difficilmente prevedibili e potrebbero essere tali da generare una catastrofe che coinvolga l’umanità tutta; io vedo nella varietà del mondo un’espressione della mano creatrice di Dio, ma penso che un uomo possa apprezzare questa varietà anche come frutto del lavoro millenario della natura o più semplicemente nella sua valenza intrinseca ed estetica, fosse pure frutto del caso.

Concludendo penso si possa dire, per ribadire un concetto che ho già abbozzato nel mio post precedente, che se se non si vuole aiutare i Boscimani perché si ha pietà di loro li si dovrebbe aiutare perché si ha pietà di sé stessi, affinché il loro caso non diventi «un epilogo già visto».