Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Hollywood, la guerra fredda, i servizi nell'epoca Bush jr e le due spy-stories di Robert De Niro

Hollywood, la guerra fredda, i servizi nell'epoca Bush jr e le due spy-stories di Robert De Niro

di Roberto Silvestri - 29/12/2006


Le avventure di 007, agente dell'M-10 di sua maestà britannica, furono le più micidiali bombe d'immaginario sganciate contro i «comunisti» durante la fase anni 60/70 della guerra fredda. Perché sancirono la superiorità dell'Occidente rispetto all'Impero Rosso, del right contrapposto al wrong (non al left) prima ancora del match militare a Kabul. E non in Pil, o in beni di consumo accessibili alle masse, o in «superiorità cinico-politica». Ma in tecnologia favolosa (gli ufo che terrorizzarono i farmer del Kansas erano aerei spia SR-71 Lockheed), in design del desiderio romantico, in triplicazione del quoziente ludico dell'immagine. Mosfilm s'arrese per primo. Come spiega il critico di Chicago Roger Ebert nel dizionarietto dei clichés e luoghi comuni del cinema (Ebert's Bigger Little Movie Glossary) la novità fu riuscire a calamitare il pubblico, anche femminile e gay, verso un eroe dello schermo proprio differente, rosa e tagliente: «A nessun baldo giovane è permesso, in un film, il bacio romantico, a meno di non scoprire poi che è il cattivo. O che è Sean Connery».

Hollywood, sempre allergica al genere «cinema politico» cioé alla propaganda diretta (fa incassare meno), fu solo capace, «Condor» a parte, tra il '70 e il '77, di realizzare due ottime spy-stories old fashion, The Kremlin Letter di John Huston e Telefon di Don Siegel, molto, «troppo» rispettose degli agenti del Kgb, equiparati alle spie americane in sensibilità, etica, intelligenza, umanità e scienza del gesto esatto e artistico (nel primo, Richard Boone è contro il seducente Bresnavich, ovvero Orson Welles; nel secondo Charles Bronson è il « maggiore comunista Grigory Borzov», occhio e cuore veloce e dinamico, da allenatore olimpionico di hockey su ghiaccio: se tradirà sarà per amore). Certo. Era il canto del cigno della democratica cultura «new deal» che riaffiorava grazie all'insorgente «movement» (massacrato dall'Fbi, spiega The Usa vs John Lennon di Leaf e Scheinfeld, uccidendo o minacciando di morte ogni dissidente pericoloso). Poi arrivò l'orda teo e neocon: Reagan, Ollie North, i due Bush. E l'imbastardimento, la propaganda becera, il «cattivismo» nazistoide producono noiosi, oltre che criminali stereotipi, esibiti dalla Hollywood della guerra permanente, costretta a coprire o dare il make-up via via a: colpi di stato a raffica in America latina, Brasile di Medici, Videla, Pinochet, spettri del Vietnam e Cambogia, Panama, Nicaragua, Grenada, Moro, Palme, Beirut (il fallito attentato dell'85 al palestinese Mohammed Hossein Fadlallah, raccontato in Spy Game, 2001), Bosnia, Iraq... Tanto il conto lo paga il complesso militar-industriale. E Michael Moore (ricordate Canadian Bacon?) si tollera, perché è «il solo». Allora la Cia, messa da parte perché esperta solo in rossi, terroristicamente scaduti, scalpita. Critica la crociata avventurista (nei doc di Greenwald, Karel e Goetschel) e dal 2002 manda a Hollywood Chase Brandon, spia per 25 anni. Escono cose sui nuovi nemici globali (il potere mediatico e «islamista»), e poi Syriana (da Robert Bear, ex Cia), The Machurian Candidate, Bad Company, Al vertice della tensione ...Ora la seconda regia di De Niro, dopo The Bronx ('93), The good shepherd (Il buon pastore) in quasi tre ore 20 anni di storia segreta Usa, dalla concepimento, nel '39, e dal battesimo dei servizi segreti «autonomi» (Oss, poi dal '46 Cia, ovvero «Central Intelligence Agency», infarcita per ordine di Truman di ex agenti nazisti e ex comunisti antistalinisti drastici), fino al 1961, Baia dei Porci e Muro di Berlino. Il buon pastore, 110 milioni di dollari di budget, ricezione critica modesta in patria («come 'Padrino della Cia' è un fiasco», sentenzia il Seattle Post; è «troppo lungo», Hollywood Reporter o «Non ha ritmo», Rolling Stone), a febbraio in gara a Berlino, è basato sui libri di Milton Bearden, ma il suo seguito, The Main Enemy (Il nemico principale), altra produzione Tribeca-Universal, promette di meglio: è tratta dalla sua autobiografia di dissidente che si confessa in prima persona singolare.