Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Cile, il cattivo odore del salmone

Cile, il cattivo odore del salmone

di Fulvio Gioanetto - 30/12/2006

 
L'argomento infastidisce i pianificatori dello «sviluppo sostenibile» cileno. Chi si oppone o dissente è tacciato di retrogrado e di voler bloccare con critiche inadeguate lo sviluppo di una redditizia attività economica che dà tanto all'economia del sud del paese. Stiamo parlando del nuovo business dell'industria dell'acquacoltura in Cile, l'allevamento industriale del salmone. I beneficianti sarebbero i 35.000 lavoratori impiegati, secondo gli ultimi dati forniti dal ministero dell'economia. Perché quindi dare spazio alle voci dissenzienti, quando tanta gente lavora felice e il tasso di dissocupazione del paese australe disminuisce.

Secondo statistiche officiali, il Cile é passato quest'anno a essere uno dei principali produttori mondiali di salmone, secondo solo alla Norvegia, soppiantando i concorrenti commerciali canadesi, scozzesi e statunitensi. Questo allevamento è già diventato la principale attività economica nel sud del paese. Principale destinazione è il mercato orientale, soprattutto Giappone, Taiwán e Singapore, dove quest'anno sono state esportate 20.000 tonnellate di pesce, per oltre 100 milioni di dollari Usa.
Peccato però che per quest'industria, tanto redditizia per gli investitori europei, canadesi e giapponesi, si distruggano gli ecosistemi costieri. E che per nutrire un singolo salmone light servano almeno 9 chili di piccoli pesci pelagici, unica fonte di reddito dei pescatori della regione. inoltre, la contaminazione ambientale di quest'industria è enorme. Nelle due principali province produttrici, la prima e la decima regione, questo allevamento industriale contamina quattro volte di piú dei rifiuti urbani, domestici e industriali prodotti dagli abitanti di queste regioni.

La contaminazione è causata dall'uso massiccio di antibiotici e fungicidi nei 200 allevamenti registrati, con contaminazione organica delle acque. Inoltre la frequente fuga di salmoni (il salmone si alleva in gabbie nel mare) fa sì che si trasmettano alla popolazione selvatica malattie inesistenti in natura (come la Bkd, la Yersinia Rickeri, resti fecali di foche che contaminano i copepodi), oltre a dar luogo a ibridazione con le specie native. Lo scorso luglio 7 containers di salmone cileno sono stati bloccati nel porto di Rotterdam perché nella carne dei pesci era stato trovato il fungicida cristal violeta, un prodotto cancerogeno che si utilizza negli allevamenti come fungicida in sostituzione dell'antiquato tossico verde malachite. Il 12 dicembre anche le autorità britanniche hanno trovato lo stesso fungicida tossico in varie confezioni di spiedini di salmone cileno prodotte dalla Findus - la società del gruppo Nestlè che compra il salmone allevato in Cile, lo lavora in Thailandia e lo vende nell'Unione Europea.
Non è tutto. Gli addetti delle fabbriche di salmone da tempo denunciano i massacranti turni di lavoro a cui sono sottoposti, che hanno provocato aborti spontanei in alcune lavoratrici, e i salari al disotto del minimo stabilito dalle leggi del lavoro cilene; parlano di licenziamenti e minacce ai lavoratori sindicalizzati, e denunciano che in molte granjas salmoneras manca la sicurezza sociale e diritti dei lavoratori non sono rispettati.
Due settimane fa la potente associazione industriale Samonchile ha riconosciuto di fronte a una commissione di deputati l'esistenza di violazioni delle leggi del lavoro, mentre emerge che nel primo semestre del 2006 le infrazioni di questa industria sono aumentate dell'80% (www.elmaule.cl). Nell'arcipelago Chiloè, che non ha nemmeno con un pubblico ministero del lavoro, in quattro mesi sono state presentate 872 denunce, come quella contro l'impresa Salmones y Pesqueria Nacional che ha licenziato due giovani operaie madri che non avevano accettato turni di notte per poter assistere i loro figli.

Poi ci sono altri abusi. Un giornale locale della decima regione, nell'edizione del 27 dicembre, accusava l'impresa Aguas Claras/AquaChile di occupare sei volte piú di terreni di quelli autorizzati legalmente nell'estuario del fiume Reloncavi, e di aver così distrutto gli allevamenti del pesce chorito, proprietà di una cooperativa di 230 piccoli pescatori, che denuncia una perdita valutata in 600 milioni di pesos.

La cosa preoccupante è che l'industria cilena del salmone progetta nei prossimi sette anni di duplicare la produzione: vorrebbe dire che per il 2013 ci vorranno piú di 12.7 milioni di tonnellate di pesci pelagici per mantenere questa industria. In Cile, Scozia e Canada alcuni gruppi di consumatori si stanno muovendo per una salmonicultura più giusta, pulita, ecologica e veramente sostenibile. (www.puresalmon.org). Appoggiamoli.