Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / I sedicenti vincitori

I sedicenti vincitori

di Claudio Ughetto - 05/01/2007

 

A meno di non stare con coloro che agli albori del 2003, prima che iniziasse  l'insensata invasione dell'Iraq, invitavano a sostenere i soliti satrapi mondiali, da Castro a Kim Jong Il, fino a “Manuel Marulanda detto Tirofijo”1 in nome di un antiamericanismo di maniera, è difficile addolorarsi per la morte di Saddam Hussein. Il mondo non è migliore senza di lui, ma nemmeno ha bisogno di dittatori: siano imposti dagli States tramite dei colpi di stato, da essi incoraggiati e sostenuti in nome della compravendita petrolifera; o idealizzati dagli estremisti d'ogni sorta al ricordo del motto si stava meglio quando si stava peggio, nel rimpianto dei vecchi muri per non superare quelli nuovi.

Come non rimpiangiamo Pinochet, morto nel suo letto a veneranda età, così non è il caso di rimpiangere Saddam. Eppure m'indigna la sua uccisione, e per svariati motivi. Sono contrario alla pena di morte, da sempre: rispetto a Calderoli, convinto che sia ipocrita opporsi ad essa, ritengo essa stessa la principale ipocrisia. Il processo contro Saddam è stato una farsa2: basti pensare che egli è stato giudicato non da un tribunale neutrale ma dai suoi principali nemici, ben felici di perpetrare la più odiosa vendetta prima ancora che il processo fosse terminato. Soprattutto, la presunta “giustizia” che gli è toccata è la conseguenza di una guerra dalle basi notoriamente menzognere.

Nei giorni scorsi l'opinione pubblica ha espressamente criticato non solo l'uccisione di Saddam Hussein, ma anche il sedicente tribunale che lo ha mandato al patibolo. Alcuni intellettuali, compreso il filosofo torinese Gianni Vattimo, hanno parlato di “giustizia dei vincitori”, riferendosi al celebre “Tribunale di Norimberga”, nel quale furono giudicati, e poi giustiziati, alcuni gerarchi nazisti. In realtà l'associazione è condivisibile solo per larghe linee, poiché a Norimberga non è stato processato il tiranno, ma i suoi uomini. Hitler non era lì fisicamente, aveva già pensato da sé a togliere il disturbo per evitarsi una fine ancora più indecorosa. I gerarchi nazisti che salirono al patibolo erano da intendersi come una parte della creazione hitleriana, strumenti consapevoli ma non assoluti del tiranno. Più che il male, per dirla con una celebre (all'epoca scandalosa ma oggigiorno fin troppo abusata) constatazione di Hanna Arendt, essi rappresentavano  “la banalità del male”, al servizio della cultura totalitaria, e parte di un corpo efficiente e nefasto, ma senza testa. Ora, benché nel 1990, alla vigilia della Gulf War, fior di cronisti si siano dati da fare per paragonare Saddam Hussein a Hitler, bisogna riconoscere che il dittatore iracheno è ben poco avvicinabile al maestro, fosse solo per mancanza di strumenti bellici. Tuttavia è legittimo chiedersi: cosa sarebbe successo a Norimberga se Hitler ci fosse stato?

Inoltre, parlare di “tribunale dei vincitori” è discutibile perché a Norimberga i vincitori c'erano veramente. Vinti e vincitori: i primi a scontare le loro malefatte, dall'invasione dell'Europa in nome di un disegno totalitario ad un'ideologia di purezza razziale che ha portato ad uno dei più terribili genocidi della storia; i secondi a giudicare e condannare, giustificando o sorvolando su alcune proprie scelte con l'assioma a mali estremi, estremi rimedi. In Iraq c'era il vinto, che è stato condannato, ma i vincitori no. A meno che si consideri finita quest'occupazione, trasformatasi in un impasse, sorvolando sulla mattanza quotidiana di soldati e di civili, sia in vere e proprie azioni di guerra, sia negli scontri tribali che i media solo talvolta si azzardano a chiamare col nome di “guerra civile”.

È noto che questa guerra è stata dichiarata per:

         combattere il terrorismo, ad avviso degli esperti sovvenzionato da Saddam stesso;

         eliminare le armi di distruzione di massa che Saddam avrebbe potuto usare contro l'Occidente (mai trovate);

         abbattere il tiranno e stabilire la democrazia (primo obiettivo raggiunto, il secondo quanto mai distante);

         stabilire un nuovo ordine geopolitico in Medio Oriente (in realtà mai stato più caotico).

Se è già discutibile una giustizia applicata dai vincitori, cosa dire di una condanna a morte perpetrata su un sunnita dai suoi nemici sciiti, nel caotico divenire di un conflitto che non ha  portato nemmeno una parvenza di ordine? Le associazioni per i diritti umani hanno potuto sbizzarrirsi nell'elencare i crimini di Saddam Hussein, ed ora possono continuare nell'elenco delle scorrettezze dei suoi nemici. Ufficialmente Saddam è stato condannato per aver ammazzato 148 persone, mentre avrebbe dovuto ancora essere giudicato per i crimini più gravi. Di fatto, se lui in quasi 30 anni di governo ha sterminato qualche migliaio di persone, gli alleati (americani e inglesi) sono riusciti a ucciderne 1800 a Fallujia in una sola settimana. Difficile credere si trattasse esclusivamente di guerriglieri o “terroristi”.

Può darsi che questo processo farsa, per non parlare dell'esecuzione, riesca a fare maggiormente luce sulla realtà del mondo arabo, sempre più umiliato, aiutandoci ad uscire dai moralismi etnocentrici che per anni i media ci hanno inculcato. Magari riscopriremo qualcosa della dialettica tra tribalismo e panarabismo, per cui le lotte tra fazioni interne non comportano per forza che una si allei con l'occupante. L'assioma  “il nemico del mio nemico è mio amico” non sembra efficace ovunque. Coloro che in Iraq gioiscono per la morte dell'avversario sunnita, non per forza smetteranno di odiare gli americani e i loro alleati. Questo non perché sussistano i presupposti di un fantomatico “scontro di civiltà” con buona pace di Giuliano Ferrara e Marcello Pera, ma semplicemente perché nessuno ama sottostare ad una occupazione.

Vuoi anche per gli appoggi avuti negli anni 70 e 80, Saddam Hussein è riuscito per decenni a far coesistere con la forza fazioni tribali che adesso stanno combattendosi; è stato un nemico acerrimo del terrorismo, quel terrorismo che la guerra ha portato anche in Iraq; più dell'Occidente ha sempre odiato il vicino e fondamentalista Iran, tant'è che solo con l'invasione del Kuwait sono iniziati i suoi guai; sebbene con metodi abominevoli, ha preteso di occidentalizzare la nazione irachena, dando alle donne condizioni di vita migliori che negli stati vicini (Giordania esclusa). Questo non lo salva dal giudizio negativo che si deve a tutti i tiranni. Saddam ha soprattutto difeso i propri interessi, anche tribali, agevolando la propria famiglia nella scalata al potere e circondandosi di lussi tipicamente occidentali, a scapito del suo popolo. Tuttavia con la sua morte si palesa definitivamente quanto fosse e sia assurda questa guerra, basata non su un'analisi realistica della realtà araba, ma su sporchi interessi, calcoli errati e una ipocrita morale etnocentrista. 

 

1)    Fabrizio Legger, dall'editoriale di Comunitarismo, marzo 2003.

2)    Vittorio Zucconi, su La Repubblica del 30 dicembre, ha parlato di “parodia di Norimberga”.