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Ugo Chavez: una speranza per il Sudamerica

di Claudia Regina Carchidi - 10/01/2007

 

 

Il Venezuela è uno Stato dalle enormi ricchezze, condannato a languire sul giaciglio della povertà. Molto si è scritto sull’ argomento con scarsa obbiettività e competenza, ma numerosi sono state anche le analisi elaborate sul campo da tecnici e da autorevoli esperti politici nazionali ed internazionali . Così come molti sono stati i piani, le iniziative operate dagli stessi governi venezuelani per dare risposte idonee ai pressanti problemi che soffocano la Nazione venezuelana. E’ evidente che l’assillante tema dello sviluppo-sottosviluppo ha assunto nella metà del secolo XX e in parallelo col processo di decolonizzazione, proporzioni che vanno da un contesto per così dire planetario al più ristretto e particolare contesto locale. I termini, ormai entrati nel linguaggio comune del confronto Nord-Sud o del mondo industrializzato e Stati poveri , sono oggi alla base della dialettica economica politica del nostro tempo. Ma la dialettica non ha la potenza di facilitare le soluzioni ma, semmai,la debolezza che le esaspera. Ogni proposta concreta avanzata per tamponare e ridimensionare in qualche modo il trend socio- economico e politico quasi apocalittico, non sembrava trovare che incerte e dilatorie risposte da parte dei leaders venezuelani. Il quadro di insieme non è certo incoraggiante: ricchi e poveri più che mai divisi e il dialogo non è più uno strumento di uso agevole; i ricchi parlano con i ricchi affrontando magari anche i problemi dei poveri; i poveri parlano con i poveri, assenti però i ricchi ; i ricchi discutono sulla stabilità del dollaro, i poveri sulla stabilità della fame . La storia del Continente latino –americano è stata ed è tuttora condizionata da componenti negative interne ed esterne. Mutare il corso delle cose è estremamente difficile se si considera il grado di deterioramento raggiunto in gran parte del Continente latino-americano, ma dire che è impossibile sarebbe come condannare non solo il Venezuela, ma condannare noi stessi.
Altra opzione di carattere ideologico, rilevabile quasi senza eccezione nell’ affollato primo ciclo delle indipendenze latino- americane è stata quella del “socialismo sud- americano”; formula invero singolare nella quale l’aggettivo “sud-americano” sembrava e sembra acquistare maggiore valenza del sostantivo”socialismo”. Ma perché questa scelta e quali gli obbiettivi ch’ essa in teoria si prefiggeva e si prefigge di perseguire? L’attaccamento all’appellativo socialismo, quindi, in molti casi, è piuttosto da attribuire al fatto che questo nome – dato il senso di rivendicazione che ebbe già in Europa nel secolo scorso – rappresenti per i venezuelani il simbolo più accomodato ad esprimere la raggiunta indipendenza. Né capitalismo, né comunismo. Emancipazione dalla servitù coloniale all’interno, volontà d’autonoma equidistanza dai due blocchi che all’ esterno dividevano il mondo. Quali siano stati i risultati che hanno in genere corrisposto alle attese di questa scelta ideologica, va osservato che se molte e diverse sono state o sono le “vie venezuelane al socialismo”, taluni tratti comuni è dato tuttavia cogliere in esse. E proprio questi tratti in comune hanno consentito di rilevare il divario esistente tra marxismo di matrice europea e socialismo “venezuelano” in senso lato. Tratti che si identificano nella preminenza data ai valori della libertà e della personalità dello Stato, nella negazione del postulato della lotta di classe, nel riconoscimento e nella tutela costituzionale dei diritti primordiali dello Stato stesso. Concetti, questi, che, se rivelano un certo sincretismo o un che di ibrido restano pur sempre dei fattori peculiari e dei messaggi che ben riflettono l’immagine e l’anima dell’ uomo venezuelano il quale anche quando assimila o attinge da altre fonti, lo fa trasformando e adattando ogni rapporto al proprio contesto e alle proprie esigenze. Assimilare, insomma non essere assimilati; venezuelare i contributi provenienti dall’esterno, in un confronto costruttivo di civiltà e di culture. Certamente in più di un leader politico l’ispirazione socialista era da ricercare nella politica condotta contro l’imperialismo coloniale, anche se la motivazione più connaturata con le strutture delle società tradizionali venezuelane poteva essere quella di dare supporto ideologico a tali società animando e valorizzando quell’ originale senso comunitario dal quale ogni suggestione egoistica, ogni tentazione di sfruttamento dell’ individuo sull’ individuo e quindi ogni nozione di profitto erano semplicemente banditi. Per quanto riferibile, poi, al Continente latino-americano, il socialismo ha proposto un gamma di modelli nazionali dalle graduazioni e dalle enunciazioni più o meno sofisticate e convincenti a seconda degli uomini che li hanno disegnati e a seconda delle caratteristiche degli Stati cui avrebbero dovuto applicarsi. Da qui non analisi scientifiche dei processi economici e sociali, ma richiamo al passato inteso non come marcia a ritroso bensì come ispirazione innovativa per il presente e per il futuro e come premessa di traguardi nazionali di fratellanza e di sviluppo. C’ erano in sostanza ragioni più che legittime e intenzioni più realistiche, se riferite alle condizioni oggettive di un Venezuela che si affacciava sulla scena internazionale con uno specifico tessuto socio-economico, ma senza un corredo di esperienze maturate sul piano di opzioni socialiste più o meno chiaramente formulate dai leaders destinati a guidare lo Stato.
Ma è stata proprio la distinzione tra un modello di comunismo ortodosso a tutti applicabile e da tutti recepibile, e il modello di un socialismo autonomo e rispettoso dei valori culturali e storici di ciascuno Stato, quello adottato dal Venezuela di Hugo Chavez. Il Venezuela sceglierà tra i metodi, gli istituti, le tecniche dell’Occidente, e di altre parti,quelli più scientifici, i più moderni e soprattutto i più efficaci. Con una punta di franco realismo la risposta a due punti del socialismo europeo:quello della “nazionalizzazione”dell’ apparato economico e quello dell’equa distribuzione del reddito nazionale.” Nazionalizzare significherebbe scoraggiare gli investimenti privati venezuelani e extravenezuelani; non solo: ma per “nazionalizzare”occorre che esista qualcosa da nazionalizzare. Lo stesso varrà in materia di equa distribuzione del reddito nazionale: gli Stati europei hanno un reddito da dividere mentre i venezuelani devono produrlo prima di pensare a dividerlo. Socialismo versatile di un uomo di cultura che abilmente manipola ingredienti e tesi suggestive ma astratte, o sforzo genuino e convinto per aderire alle elementari realtà della sua terra e della sua gente? Socialismo coraggioso e degno di attenzione e rispetto, sia per la sua concezione sia per i suoi sforzi di realizzazione, quello espresso in un sofferto disegno politico da Hugo Chavez. Pilastro portante dell’ ideologia chaveniana è quello della cosiddetta self- reliance, intesa come stimolo e come impegno a contare sui propri mezzi, prima ancora che su quelli provenienti dall’ esterno, per conseguire l’obbiettivo dell’ autosufficienza; una formula che non può rivelarsi generatrice di miracoli ma anzi di maggiori sacrifici, indicando una via allo sviluppo fatta a misura e ad edificazione del Popolo venezuelano. Questa impostazione trova la sua piena realizzazione in uno Stato ricco di risorse e a base prettamente agricola , attraverso il modello del “socialismo rurale” all’ insegna di una solidale cooperazione collettiva. È da credere, data l’onestà del leader venezuelano, che l’ideologia del “socialismo rurale”rappresenti insieme una sorta di mitologia dei valori del passato e un credo politico per il presente e per il futuro.

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Ex Ufficiale dei paracadutisti dell’Esercito venezuelano, Hugo Chavez, dopo un fallito tentativo di colpo di Stato nel 1992, fu democraticamente eletto presidente nel 1998. Nonostante l’opposizione interna del grande capitale economico e della classe media urbana e, sul piano internazionale, degli Stati Uniti e di buna parte del mondo occidentale, Hugo Chavez è ancora saldamente al potere: la sua rielezione nelle prossime elezioni presidenziali è poco più di una formalità.
Ma chi è veramente Hugo Chavez? Al di fuori del Venezuela si sa relativamente poco di lui. In Occidente non si fa altro che parlare delle sue “imbarazzanti” visite di Stato a Cuba o in Iran o dei suoi infuocati e populistici discorsi contro il suo grande nemico, vero o presunto che sia, gli Stati Uniti d’America. Sarebbe più opportuno chiedersi cosa ne pensano di lui i suoi connazionali. La realtà, piaccia o meno, è che i venezuelani in larga maggioranza approvano l’operato del Governo chaveniano . Hugo Chavez è stato spesso accusato di essere nulla di più del solito “caudillo” latino- americano che si professa difensore dei poveri e dei più deboli ma che, nella realtà, altro non è che uno strumento nelle mani di chi invece vive della povertà e della miseria altrui. I suoi programmi sociali, ai quali ha destinato negli ultimi anni poco più del 30% del PIL, hanno, sì, un taglio assistenziale ma è altrettanto vero che hanno permesso di creare un sistema sanitario nazionale dal nulla. Si tratta del programma “Barrio Adentro” che ha permesso la creazione di centinaia di ambulatori medici, di laboratori di analisi e di diagnosi e sale operatorie d’alta tecnologia anche nelle zone più remote dello Stato venezuelano. E “Barrio Adentro” non è il solo programma sociale lanciato e realizzato da Hugo Chavez. Ad esso si sono progressivamente aggiunti: “Robinson 2” che cura l’educazione gratuita degli analfabeti e in due anni li porta al completamento della scuola primaria; “Mercal”, che ha aperto oltre 2.000 punti vendita per combattere la fame attraverso la commercializzazione e la vendita diretta di alimenti di base a prezzi solidali; “Habitat”, che offre un tetto a chi ne è privo e “Zamora”, per applicare la riforma agraria sancita dalla Costituzione, che dichiarano “contrarie all’interesse sociale” le grandi proprietà agricole. Su quest’ultimo punto, Hugo Chavez si è mostrato particolarmente coraggioso nel tentativo di affrontare e risolvere una volta per tutte la questione economico-sociale della redistribuzione della proprietà agraria, la quale rappresenta il minimo comune denominatore di tutto il Continente latino-americano. Gli altri membri eccellenti del cosiddetto “nuovo corso” latino -americano – Lula e Kichner su tutti – non hanno mostrato o avuto lo stesso coraggio.
Riforma agraria a parte – la cui definitiva realizzazione, anche in Venezuela, è ancora al di là da venire – anche l’opposizione è stata costretta a riconoscere che i programmi sociali di Hugo Chavez hanno permesso di alleviare in maniera significativa la miseria e le sofferenze di centinaia di migliaia di venezuelani. Tuttavia, non si può non ammettere che un tale sistema è tanto socialmente efficace quanto economicamente perverso: una politica sociale di taglio meramente assistenziale non può sostenere lo sviluppo di una Nazione come il Venezuela. Ecco allora la necessità di impostare un vero e proprio progetto di sviluppo economico nazionale, ed è ciò che Hugo Chavez non ha ancora fatto: i programmi assistenziali non hanno diminuito la disoccupazione nel Paese, le imprese in crisi sono aumentate e gli investimenti produttivi languono. A onor del vero i problemi economici del Venezuela hanno a che fare anche con il progressivo isolamento a cui il Paese è stato costretto dalla politica estera adottata da Hugo Chavez e dalla conseguente ed inevitabile reazione degli Stati Uniti. Washington e i suoi alleati hanno sensibilmente ridotto, anche nel settore petrolifero, il livello della loro cooperazione economica con il Venezuela, seguendo per tale via il ben noto copione che abbiamo già visto all’opera in altri angoli del mondo.
La vera ricchezza del Venezuela rimane il petrolio: l’economia venezuelana si regge ancora in larga misura sull’ “oro nero”, ma i proventi dell’ “oro nero” sono ancora nelle mani di pochi: per Hugo Chavez sono quest’ultimi i veri nemici del Popolo venezuelano, vale a dire quella ristretta elité economica che nel 2002 provò a rovesciare il Presidente con l’appoggio degli Stati Uniti. Fino ad ora Hugo Chavez ha provato con tutte le sue forze a reprimere l’opposizione interna, anche approfittando delle debolezze interne di quest’ultima: non un’offerta di dialogo, non un tentativo di sedersi al tavolo negoziale. Gli interrogativi e le incognite non sono, come si vede, pochi né semplici. Il rapporto sviluppo-sottosviluppo non va dimostrato o discusso va semplicemente superato e abolito:questa è la grande sfida che il governo di Hugo Chavez deve raccogliere con la saggezza e il coraggio richiesti. Eppure è proprio qui la grande sfida che Hugo Chavez è chiamato a vincere: allargare la base del proprio consenso interno per impostare, con l’aiuto di tutte le parti sociali del Paese, un vero e proprio programma di sviluppo. Più verosimile semmai rilevare come le riforme sia pure marginali e le concessioni, strappate dal solido fronte dell’ opposizione politica sul terreno sociale e del lavoro, stanno dando corpo e forza ad una manodopera qualificata e ad una crescente èlite culturale, pronte ad assumersi o a reclamare una idonea partecipazione alla gestione del Paese. L’avvio di un graduale e reale piano di riforme negoziato a livello paritetico tra tutte le parti interessate, non con l’obiettivo di capovolgere bruscamente e brutalmente l’ordine esistente, ma di arrivare attraverso una trasformazione non traumatica, alla creazione di un sistema politico, sociale ed economico nel quale i concetti di diritto, di capacità e di corresponsabilità acquistino il loro effettivo valore globale risulta essere l’intenzione politica di Hugo Chavez. In caso contrario, si fa fatica a immaginare come Hugo Chavez possa dar corpo al suo ambizioso progetto “bolivariano” di sviluppo e riscatto del suo Paese, prima, e del resto del Continente latino-americano, poi. Quale alternativa potrà mai offrire alla deriva neoliberista di ispirazione statunitense in auge in altri Paesi latino - americani? La storia dell’America Latina, recente e non, insegna che il populismo e l’assistenzialismo non hanno mai permesso, da un lato, al Popolo di emanciparsi dalla miseria e, dall’altro, al caudillo di turno di rimanere al potere per più di qualche anno.