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L'agonia della Somalia nella morsa degli etiopici

di Abdi Jama Ghedi - 11/01/2007

 
In questi primi giorni del 2007, si sentono i tam-tam dell'impiccagione di Saddam, le preghiere dei muezzin per Id Al Adha, ma si assiste anche alla preparazione della popolazione somala per resistere all'occupazione dell'Etiopia e dei suoi alleati. Per la prima volta dopo tanti anni di silenzio, vediamo in televisione, nei giornali e nelle radio, le notizie di un paese che sembrava dimenticato da Dio, oltre che dagli uomini: la Somalia.
L'Etiopia, con la benedizione di Bush, ha mosso i suoi carri armati per schiacciare un gruppo religioso, la cui unica colpevolezza era aver cacciato i warlords di Mogadiscio, stranamente finanziati dagli americani. Colpevoli anche di aver introdotto un nuovo progetto religioso e politico, là dove le varie dottrine democratiche occidentali avevano fallito e prodotto solo miserie, guerre civili e dipendenza.
Questo gruppo religioso è figlio delle varie sconfitte politiche e ideologiche degli ultimi cinquanta anni di Somalia indipendente; del nazionalismo somalo, delle cosiddette forze «progressiste, militari e democratiche», ma sopratutto degli ultimi 16 anni di interminabili governi provvisori e fantoccio. Le Corti erano un'aggregazione tradizionale, forze religiose globali con aspirazioni nazionali. Al loro interno vi erano figure militari, giovani radicali e professionisti stanchi del girotondo della politica somala.
Dopo 16 anni di vicissitudini umane, naturali e politiche, la Somalia è entrata in una nuova fase che non prevede vie d'uscita immediate. Si confrontano vecchie forze assieme a nuovi e vecchi alleati. Gli americani intervengono in Somalia sotto la bandiera etiopica; gli arabi, per legittimarsi, si nascondono dietro le possibili conferenze di Khartoum, Sa'ana e Cairo; gli europei parlano timidamente, per fortuna sotto l'egida dei tedeschi e degli svedesi.
L'unico paese che non si vede e non si sente è l'Italia, che sembrava avere un diritto divino sulla Somalia. Stranamente, la destra di Berlusconi non ha avuto il coraggio storico di parlare di Somalia; dimentichiamo la sinistra che ha sempre appoggiato, giusto o sbagliato, l'Etiopia, forse per pulirsi la coscienza dai genocidi chimici del colonialismo fascista e monarchico.
Tornando in Somalia e al Corno d'Africa, troviamo una miriade di forze che collidono per poi differenziarsi. Abbiamo un governo provvisorio guidato da Abdullahi Yusuf e Ali Mohammed Gedi, con al suo interno un misto di signori della guerra, giovani opportunisti e vecchi arnesi del regime di Siad Barre, pronto ad allinearsi a qualsiasi governo straniero che offra loro sopravvivenza provvisoria (ovviamente per primo l'Etiopia, il paese che ha dominato nella conferenza di riconciliazione di Nairobi e che ha malauguratamente selezionato come presidente Yusuf, un dittatore militare). Questo governo, nella cultura e nell'inconscio dei somali, è una vergogna storica.
L'Etiopia ha sempre rivendicato e usurpato territori e diritti del popolo somalo, dall'imperatore Menelik sino a Zenawi, appoggiandosi all'Occidente, ai sovietici e agli africani. I somali hanno combattuto ferocemente questo impero feudale e oscurantista negli ultimi 200 anni per motivi territoriali, religiosi e strategici. Ma soprattutto per la sopravvivenza della loro cultura, religione e nazione.
Oggi è intervenuto l'ultimo rais d'Etiopia, Meles Zenawi, un uomo che, dopo aver perso le ultime elezioni, ha soppresso le poche voci democratiche in Etiopia con il finanziamento americano e la copertura della «guerra al terrorismo». Zenawi - un uomo che ha incarcerato i parlamentari dell'opposizione, sparato agli studenti che manifestavano - ora si presenta come il liberatore della Somalia dalle «Corti islamiche», l'unico gruppo politico, però, che ha pacificato l'impenetrabile fortezza di «Mogadiscio», dove sia i Rangers americani che i Bersaglieri avevano fallito. Le Corti avevano cacciato le sanguisughe warlords, riaperto il porto e l'aeroporto di Mogadiscio. Cose essenziali per la sopravvivenza di 2 milioni di abitanti.
Chiaramente, le Corti non erano innocenti. Avevano una visione religiosa differente dalla tradizione pacifica dell'islam in Somalia, ma soprattutto non avevano una visione politica e una voce unitaria: ognuno poteva parlare di jihad, mentre i capi facevano riunioni interminabili con il governo provvisorio e la comunità internazionale, con la chiara ambizione di partecipare a un futuro governo di coalizione. Unica cosa certa: le Corti avevano l'appoggio della popolazione a Mogadiscio e nel Centro-Sud.
Tutto questo non giustifica un'occupazione militare etiopica in Somalia. L'Etiopia è un paese poverissimo, con una popolazione di 75 milioni abitanti multi-religiosa, multi-culturale e multi-etnica che ha sofferto ogni tipo di dittature. Dalla monarchia arretrata di Haile Selassie, alla dittatura sanguinaria di Mengistu, sino al dominio del gruppo minoritario dei Tigré guidati da Zenawi. L'interesse Usa nel conflitto è determinato dall'importanza strategica della Somalia, posta all'entrata e uscita del golfo arabico dove passano tutti i mercantili verso Africa, Nord America e altri destinazioni. Senza contare che l territorio somalo è ricca di petrolio e gas naturale.
Ma quali sono le vie di uscite al pantano odierno per la Somalia e il Corno d'Africa? L'immediato ritiro dell'esercito etiope nei suoi confini; una conferenza di riconciliazione in Somalia, a cui partecipino rappresentanti tutte le forze, incluse le Corti, il governo provvisorio, i capi tradizionali, gli ex-politici e rappresentanti della diaspora; formare un governo nazionale guidato da leader capaci, che prepari elezioni entro 2 anni, con un progetto di riconciliazione, ricostruzione e di sviluppo.
L'Italia, per tornare nei cuori dei somali, dovrà giocare un ruolo primario in questa fase di transizione, con chiari progetti umanitari, di ricostruzione e sviluppo. Per esempio, potrebbe cominciare a finanziare e costruire un istituto per la ricostruzione a Mogadiscio, dove gli ex docenti somali sparsi il tutto il mondo possano contribuire con la loro competenza e esperienza. Questa scuola potrebbe essere l'inizio del ritorno per l'Università nazionale somala.

Abdi Jama Ghedi
Ex docente dell'Università nazionale somala