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Medicine in Libero Mercato

di Andrea Angelini - 11/01/2007

 


Gli affari sono affari, più prodotti si vendono più soldi si incassano. Quello che vale per i beni di più largo consumo vale ormai anche per alcuni tipi di medicine, circa 200, quelle che non hanno bisogno di prescrizione medica e che sono classificate nella “Fascia C”, i cosiddetti “farmaci da banco”. Le stesse che in seguito alla Legge no 248 del 4 agosto 2006 da farmaci che erano, ossia da strumenti di cura, sono stati trasformati appunto in beni di consumo che oltre che nella tradizionale farmacia potranno essere venduti anche nel supermercato sotto casa. Con tale provvedimento è stato infatti convertito in legge il decreto legge no 223 del 4 luglio 2006 meglio conosciuto come il Decreto Liberalizzazioni che è stato presentato dagli esponenti del governo e salutato dai suoi fautori come una pietra miliare nel lungo cammino dell’Italia verso il Mercato con la M maiuscola che, come tale, non potrà che portare benefici per tutti e una sensibile diminuzione di costi. Ma la realtà vera è molto diversa da quella che può sembrare ad una prima e superficiale analisi ed il risultato più immediato della legge in questione sarà quello di provocare un aumento dell’acquisto e del consumo di tali farmaci anche quando l’acquirente, malato o consumatore che sia, non ne abbia un effettivo bisogno. L’autore del decreto in questione, il ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, ha messo le mani avanti rassicurando sul fatto che i farmaci potranno essere venduti nei supermercati in vere e proprie farmacie e a cura di farmacisti professionisti in grado quindi di consigliare gli acquirenti, malati e consumatori, sui vantaggi di questo o quel farmaco. Ma quello che Bersani non ha detto è che i farmacisti che opereranno nei supermercati saranno inevitabilmente portati ad agire più come dipendenti di tali strutture che come farmacisti e che quindi cercheranno di vendere più prodotti possibile, ossia più medicine, anche per conservare il proprio posto di lavoro ed evitare di essere sostituiti da farmacisti più rivolti al Mercato. Cercheranno insomma di emulare i propri colleghi, come quelli che nel banco adiacente vendono prosciutto e salame agli avventori. Una soluzione quella di Bersani che di fatto si muove ed agisce su quattro precise direzioni. In primo luogo sembra voler sfruttare, incrementandola, la tradizionale tendenza degli italiani a fare incetta e riserva di farmaci anche quando non ce ne sia un effettivo bisogno. Un modo di pensare che nei farmaci vede la panacea di tutti i mali e che non considera che molto spesso essi si rendono necessari per quello che è un non corretto “stile di vita”. Un modo di pensare che finisce il più delle volte a spingere ai margini della professione quei medici che non prescrivono quel certo numero di medicine che i malati, veri o presunti, si aspettano. In secondo luogo il provvedimento di Bersani finisce per coincidere con gli interessi delle case farmaceutiche che con l’aumento dei punti vendita potranno incrementare il volume d’affari e quindi i profitti senza che questo comporti allo stesso tempo un sostanziale beneficio per i cittadini e per i malati. Ed è quanto mai curioso che una conseguenza del genere sia frutto di una legge pensata e voluta dall’esponente di un partito di Sinistra che per propria tradizione dovrebbe semmai pensare alla tutela dei più deboli. Terzo aspetto è il fatto che il primo soggetto economico che ha sfruttato pienamente la nuova opportunità offerta dalla liberalizzazione in questione sia stata la Lega delle Cooperative attraverso i supermercati Coop. La stessa Lega delle Cooperative che ha rappresentato per anni la longa manus economica del vecchio PCI poi trasformatosi in PDS e quindi in DS. Lo stesso PCI-PDS-DS a cui è da sempre iscritto Bersani, le stesse Coop che hanno il loro punto di forza in Emilia-Romagna, la regione dove Bersani è nato, la regione che ha visto per prima la nascita di farmacie all’interno dei supermercati. Ovviamente delle Coop. Non vogliamo ovviamente insinuare che fra il Decreto Liberalizzazioni e questi curiosi “conflitti di interesse” ci sia uno stretto legame di causa-effetto, sarebbe solo una malignità da parte nostra, ma resta indubbiamente un’occasione di riflessione sul dove portino certe repentine conversioni verso il Libero Mercato. Quarto ma non ultimo aspetto riguarda la mentalità che ha originato il provvedimento sui farmaci, quella cioè di voler penalizzare la professionalità di determinate categorie, in questo caso quella dei farmacisti, considerati evidentemente come dei fastidiosi reperti antichi ostili al nuovo che avanza in difesa dei propri privilegi, ovviamente quelli di casta. In realtà, i farmacisti veri, quelli cioè che gestiscono una farmacia tradizionale, svolgono una duplice e meritoria attività. Da un lato possono infatti dare spiegazioni ai malati e consigliarli sull’utilizzo dei farmaci e sulle loro conseguenze. Da un altro e non meno importante lato, anche come conseguenza del precedente, i farmacisti rappresentano un freno all’abuso di farmaci da parte dei malati e questa circostanza non può sicuramente essere vista bene dalle case farmaceutiche che al contrario sono sempre molto soddisfatte dall’aumento dei volumi di vendita. Come è ovvio il decreto è stato molto contrastato in Parlamento da parte di quanti ne hanno immediatamente letto le motivazioni più nascoste. Roberto Ulivi, deputato di Alleanza Nazionale, che come farmacista conosce bene la questione e tutti gli interessi che vi sono direttamente e indirettamente coinvolti, dopo aver ricordato che nella scorsa legislatura la ex maggioranza di centrodestra era stata più volte accusata di aver varato leggi e provvedimenti ad hoc, cioè secondo l’Ulivo per Berlusconi e i suoi amici, ha rimarcato che il provvedimento Bersani è in tutto e per tutto “una legge ad hoc” anzi “una legge ad coop”. Ulivi ha sottolineato che si sarebbe aspettato che per i farmaci da banco venisse previsto nel provvedimento un nuovo metodo di determinazione del prezzo da parte delle industrie farmaceutiche. “Fino al 1995- ha ricordato polemicamente - questi farmaci erano sottoposti al cosiddetto prezzo amministrato. Ciò significava che l’industria comunicava al Ministero della Sanità il prezzo che voleva applicare a questi farmaci. Se entro un mese il Ministero non avesse posto difficoltà, il prezzo sarebbe entrato in circolazione. Invece adesso - accusa Ulivi - il provvedimento di Bersani, come ministro dello Sviluppo Economico, ha lo scopo di fare aumentare i consumi e la produzione delle aziende”. Una interpretazione un po’ troppo estensiva del proprio compito di ministro. “L’Italia sotto questo aspetto è infatti un fanalino di coda in ambito europeo ma questo non costituisce certamente un difetto o un demerito. Nel 2005 infatti la spesa pro capite per questo tipo di farmaci in Italia è stato di 38 euro. Mentre nei paesi dove vengono venduti anche al di fuori delle farmacie è stata decisamente superiore. Si va dai 65 euro della Gran Bretagna ai 72 della Germania fino ai 116 della Svizzera”. Per dire un paese della Ue  che ha una propria moneta, uno che adotta l’euro, un altro che non fa parte dell’Unione Europea. Tutti comunque che registrano il fenomeno paventato da Ulivi. Ma per il deputato di An, “Deve essere sanzionato anche il comportamento del ministro della Salute, Livia Turco, che come tale dovrebbe avere a cuore la salute dei cittadini. E che invece nella vicenda è apparsa curiosamente assente tanto che non ha partecipato alla seduta del Consiglio dei Ministri nel quale è stato varato il Decreto Bersani il quale aveva una evidente attinenza con le attività del proprio Dicastero”. Insomma, ha insistito Ulivi, si tratta di un provvedimento ad hoc. Ed anche l’affermata intenzione del ministro di rendere i farmaci da banco più accessibili a tutti i cittadini non sta in piede “perché solo poche catene di supermercati potranno permettersi di aprire una postazione adibita a farmacia e di pagare lo stipendio ad un farmacista che sarà di fatto e di diritto un proprio dipendente e che come tale si comporterà, avendo a cuore più il rendimento del proprio corner che altro, più il livello delle vendite che la salute del cittadino e i benefici che lo specifici farmaco potrà procurargli”. Dovremo quindi aspettarci un continuo di frasi del tipo: ”Su signora, ne compri due invece di uno”. Ulivi ha poi ricordato una precisa disposizione del Decreto Bersani che sembra confermare i più foschi sospetti. “Laddove si prevede che una società di farmacisti o una società di capitale possa essere titolare di almeno quattro farmacie nella provincia dove la società ha sede. Questo meccanismo – spiega ancora Ulivi – si allargherà a tante province. Si creeranno così tante società che dipenderanno però da un’unica casa madre o dalle poche che potranno permetterselo”. E chi meglio delle Coop potrà fare la parte del leone? Ma vi è un altro aspetto preoccupante, paventato dal deputato e farmacista toscano, oltre alla sovrapposizione di un elemento mercantile a quello di servizio offerto dalle farmacie tradizionali. Ed è quello sulla incapacità da parte dei supermercati di garantire adeguati standards di garanzia e sicurezza equivalenti a quelli forniti dalle farmacie. In un ipermercato di Grugliasco è stato messo in vendita nel settembre un integratore a base di “cimifugosa racemosa” che era stato cautelativamente ritirato dal mercato perché ritenuto tossico per il fegato. Inoltre ci potrebbero essere anche conseguenze di ordine finanziario per le casse dello Stato a causa di frodi nei riguardi del sistema sanitario nazionale. Nella stessa struttura piemontese erano state infatti messe in vendita diverse confezioni di un prodotto per l’autodiagnosi del diabete, tutte prive della fustella obbligatoria per legge al fine di ottenere il rimborso da parte della regione. E solamente una apposita denuncia ha provocato l’intervento dei Nas e il sequestro della merce visto che per le farmacie collocate all’interno dei supermercati non sono stati previsti gli appositi controlli previsti sulle farmacie tradizionali ad opera dei Nas, delle singole Asl, della Guardia di Finanza e dell’Ordine dei farmacisti. Insomma in nome del Libero Mercato e come conseguenza della mancanza di regole, si annunciano nuovi errori e nuovi orrori. Per prevenire i primi i farmacisti di Assiprofar e Federfarma, dopo aver ribadito la necessitò di “difendere la professione e il ruolo della farmacia” hanno ammonito che “le medicine non devono diventare un bene di consumo” chiedendo poi polemicamente: “Perché non si abbassa il prezzo dei farmaci che è aumentato in questi anni in maniera incredibile?”.   Ma un altro pericolo, con conseguenze potenzialmente catastrofiche, sta facendo capolino sugli scaffali delle farmacie di tutto il mondo, e quindi potenzialmente anche su quelle italiane. Ed è quello rappresentato dai farmaci taroccati, prodotti in Cina e Russia e nei paesi del Terzo Mondo ad imitazione di quelli veri ma con ben altri componenti e quindi in grado di uccidere, come già sta succedendo, centinaia di persone ogni giorno. Un fenomeno che una liberalizzazione senza controllo delle farmacie non potrebbe che alimentare considerato che i neo improvvisati farmacisti potrebbero essere tentati di rifornirsi da grossisti disonesti che a loro volta si potrebbero essere approvvigionati dai produttori delle medicine taroccate. Un’ulteriore dimostrazione del fatto che con la salute delle persone non si può e non si deve scherzare. Giorni fa dai risultati di un’apposita indagine è emerso che una famiglia italiana su due non ha i soldi per comprarsi le medicine. Quelle ovviamente necessarie a curarsi. Queste sono le vere emergenze sulle quali lavorare e certamente non un’asserita Libertà di Mercato che serve solo agli interessi degli industriali.