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L'Ecologia profonda e la visione olistica del mondo

di Guido Dalla Casa - 12/01/2007


Fonte: Il libro "Ecologia Profonda" è reperibile presso: PANGEA Edizioni - Via Drovetti 37 - 10138 TORINO http://www.pangea-edizioni.com


Quando si parla di ecologia e protezione della Natura, occuparsi di “visioni del mondo” sembra una cosa più astratta, o meno pratica, rispetto a dare consigli sullo smaltimento dei rifiuti o la conservazione delle foreste, ma è soltanto perché parlare di “visioni del mondo” ha effetti a scadenza molto più lunga. Sono però aspetti che toccano molto più in profondità il comportamento e gli atteggiamenti, rispetto ai più immediati consigli pratici di ecologia spicciola.


Premesse
Riassumiamo qualche fondamento delle conoscenze attuali incompatibile con il sottofondo culturale ebraico-cristiano e con il dualismo di Cartesio:

- Né la Terra, né il Sole, né niente altro sono al centro di qualcosa: gli astri sono tutti ugualmente granelli nel mare dell’Infinito. Non c’è nessun centro di alcun tipo.

- L’umanità è una specie animale comparsa su uno dei tanti pianeti solo tre milioni di anni fa, contro i tre o quattro miliardi di anni di esistenza della Vita sulla Terra e i quindici o venti miliardi trascorsi dalla presunta nascita dell’Universo, ammesso che il Tutto non sia qualcosa di pulsante ciclicamente da sempre. Quindi il presunto “re del Creato” sarebbe arrivato un po’ tardino, mentre il suo cosiddetto “regno” lo stava aspettando con scarsa impazienza.
Inoltre, ci vuole una bella presunzione a pensare di “migliorare” ciò che ha impiegato quattro miliardi di anni per divenire ciò che è. L’umanità fa parte in tutto per tutto della Natura. I fenomeni vitali sono uguali in tutte le specie.

- La cultura occidentale ha solo due o tremila anni, la civiltà industriale ha duecento anni: si tratta di tempi del tutto insignificanti. Anche il concetto di progresso ha una vita brevissima, non più di due o tre secoli; evidentemente si può vivere anche senza questa idea fissa.
La divisione fra preistoria e storia è solo uno schema mentale della nostra cultura, che serve ad alimentare una certa visione del mondo. Non c’è alcun motivo, né alcuna scala di valori privilegiata, per considerare una cultura migliore o peggiore di un’altra. Si noti poi che si usa chiamare “storia” ciò che è accaduto negli ultimi cinquemila anni alla civiltà occidentale e viene liquidata con l’unica etichetta di “preistoria” tutta la Vita della Terra, cioè quattro miliardi di anni e cinquemila culture umane.

- Il funzionamento mentale essenziale, il comportamento, sono in sostanza simili in tutte le specie animali vicine a noi. In gran parte si tratta di fenomeni non-coscienti.

- La fisica quantistica ha dimostrato l’impossibilità intrinseca di descrivere fenomeni materiali o energetici senza considerare l’osservazione; ciò significa che, senza la mente, la materia-energia è priva di significato, non è in alcun modo descrivibile, è “priva di realtà”, è solo una specie di onda di probabilità. Della fisica meccanicista di Newton resta solo la funzione pratica, anche se nelle nostre scuole di base non c’è traccia del profondo cambiamento avvenuto.

Da questo quadro rinasce una concezione antichissima e assai diffusa: l’animismo. Una forma di “mente” deve essere ovunque, è insita nell’universale, se vogliamo evitare il paradosso dell’”osservatore” che determina la cosiddetta realtà. La distinzione fra spirito e materia cade completamente. Tornano alla memoria il Grande Spirito e lo spirito dell’albero, della Terra, del fiume, del bisonte.
C’è un’altra leggenda da sfatare, quella della cosiddetta neutralità della scienza, o indipendenza della scienza dalle concezioni metafisiche. La scienza ufficiale ricorre spesso a vere acrobazie intellettuali pur di non uscire dal paradigma cartesiano, che considera “ovvio” ed “acquisito”. Così si trova in vie senza uscita, ed a volte è costretta a negare o a non considerare i fatti non inquadrabili in quello schema concettuale, pur di non mettere in discussione le premesse: e allora deve far sparire intere categorie di fenomeni di interferenza macroscopica, o non-distinguibilità, fra spirito e materia, con la scusa che non sarebbero “ripetibili”.
Le gravi difficoltà della fisica provengono dalla disperata insistenza nel volere inquadrare le conoscenze moderne nel paradigma cartesiano.
Eppure ancora oggi, per apparire “moderne”, tante persone amano definirsi “cartesiane” o “razionali”, non sapendo di difendere invece il pensiero dell’Ottocento. Le idee del filosofo francese sono accettate dalla grande maggioranza delle persone semplicemente perché ciò che respiriamo fin dalla nascita ci appare ovvio, il che significa che non ci appare affatto. Ma il primato del razionale sull’emotivo e sull’intuitivo è solo un pregiudizio della cultura occidentale odierna.

Gli opposti
La cultura occidentale vede tutto spaccato in due: questo è già motivo di ansietà; non solo, ma considera “opposte” le due parti e le vive in modo schizofrenico, non le considera due poli indivisibili, due facce della stessa medaglia, due aspetti della stessa cosa.
Pensa che un “polo” sia migliore e pretende di far sparire l’altro polo.
Alcuni scienziati stanno perfino cercando disperatamente il “monopòlo” magnetico, cioè vogliono “scoprire” un polo nord senza il polo sud, cosa risultata finora impossibile. Ma forse anche il monopòlo sarà una creazione della mente. Perfino nel magnetismo sembra che qualcuno consideri il polo nord “un po’ più bello” del polo sud.
Se vogliamo usare la terminologia del Taoismo, l’Occidente vuole un Universo solo Yang: lo Yin deve essere abolito; come se questo avesse senso. Comunque, in tal modo si causa solo angoscia. L’Occidente vuole il sereno senza la pioggia, il tempo unidirezionale e non quello ciclico, vuole la competizione, la supremazia, l’affermazione dell’ego, il progresso verso il futuro come una semiretta. Vuole la vita senza la morte, l’Essere senza il Nulla, l’attività senza la passività, il fare senza il meditare, la crescita senza la diminuzione.
I giornalisti del mondo economico arrivano a non nominare neppure la diminuzione, vogliono esorcizzarla chiamandola “flessione”, che invece è un’altra cosa. Come se fosse possibile avere le montagne senza le valli.
Questo vedere il mondo come complementarietà di Yin e Yang e non come inseguimento di un polo solo è in fondo la filosofia per la quale era ben difficile che in Cina potessero nascere il progresso tecnologico e la civiltà industriale mille anni prima che in Occidente.

Per quanto riguarda la morte, vediamo come è venuta.
Due o tre miliardi di anni orsono, la Terra era popolata di microorganismi che si riproducevano dividendosi in due: quindi non morivano.
C’era a disposizione un patrimonio genetico che poteva rinnovarsi solo con molta lentezza attraverso qualche mutazione. Era assai difficile creare organismi nuovi.
Per consentire il sorgere di varietà, bellezza e spiritualità nella vita bisognava avere tante forme e organismi nuovi: quindi mescolare il tutto in modo molto più rapido e creativo.
Perciò la Natura - che potete chiamare anche Dio - inventò il sesso e la morte.
Ecco perché, da allora, si è resa utile e necessaria la morte per consentire la Vita. La morte è solo l’altra faccia della vita.

Oggi imperano le immagini nate dal computer, che alcuni salutano come non-meccaniche, come olistiche. Ma anche se introducono le idee non-meccaniche di informazione e di relazione, si basano – a livello elementare – su una logica binaria, ancora su un dualismo SI-NO o pieno-vuoto, quindi su una contrapposizione. Inoltre perpetuano la divisione cartesiana, ribattezzata hardware e software.
Ben difficilmente una visione di questo tipo può essere un punto di partenza per fondere o integrare le cosiddette due culture, o un approccio per integrare gli opposti.
La fisica quantistica invece ammette una logica “SI e contemporaneamente NO”, “vuoto e contemporaneamente pieno”, e può accettare posizioni non-quantitative e non-meccaniche. Con l’indeterminazione universale si possono integrare gli opposti vedendoli come complementari e compresenti. Non si tratta di una logica trinaria SI-NO-NON SO ma di una possibilità multipla indeterminata. Anche distinzioni come reale-immaginario, scoperta-invenzione, e così via, perdono significato. Con il nuovo approccio si potrebbe uscire dall’intrico delle innumerevoli particelle che vengono via via “scoperte”: altrimenti si finirà con trovare tutto quello che si cerca, pur di cercarlo in un certo modo, cioè si potranno inventare-scoprire chissà quante altre “particelle” in una sequenza senza fine. Ormai tutte queste “entità” hanno un contenuto mentale a malapena celato dal linguaggio matematico.
Con una eventuale rifondazione concettuale non-cartesiana, non si avrebbe più soltanto una “fisica” nel senso materialistico o prequantistico, ma qualcosa di più, rendendosi sempre più evanescente anche la distinzione fra fisica e metafisica, fra conoscenze “materiali” e “spirituali”. Soprattutto, in questo senso, la nuova fisica può essere il ponte per collegare le cosiddette “due culture” e portare a una progressiva scomparsa della loro distinzione.

Visioni del mondo
Fra le tantissime “visioni del mondo” presenti nell’umanità è assurdo che esista quella “vera” o “giusta” perché questo costituirebbe una inspiegabile asimmetria.
Pertanto l’idea della “verità” è una caratteristica che discende dalla visione cartesiana del mondo “oggettivo” o “reale” che “è” in un certo modo.
Le visioni del mondo sono tutte equivalenti e reali in quanto tali e in quanto manifestatesi in qualche sistema di pensiero. Non può esserci quella più “vera” o più “giusta” delle altre. Altrimenti, come potevano manifestarsi tante visioni diverse e inoltre variabili continuamente nel tempo?
Anche le religioni (componenti essenziali della visione del mondo) sono tutte ugualmente vere o non-vere. Costituiscono il nostro rapporto con l’Invisibile.
Abbiamo già accennato al concetto di verità. Le domande sono assai stimolanti, le cosiddette risposte “definitive” portano solo guai. Non si tratta di chiedersi “Non avrà ragione l’altro?” perché questo presuppone che esista una “ragione”. Non si tratta neppure di “essere sempre in dubbio” perché ciò presuppone qualcosa di sicuro e reale su cui dubitare, significa che si è in dubbio su qualche “verità”.
Il concetto di dubbio presuppone quello di verità. Diverso è abolire l’antitesi vero-falso, considerando i due termini come complementari e compresenti. Così la distinzione fra “i fatti” e “le opinioni” è illusoria, perché quelli che vengono chiamati “fatti oggettivi” sono soltanto le opinioni di un modello culturale umano: nel nostro mondo vengono chiamati fatti reali le opinioni della cultura occidentale. In ogni cultura si forma una verità, che però vale quanto qualsiasi altra.
Comunque il concetto di “verità assoluta” e la conseguente necessità di “scoprirla” possono essere assimilati a una gabbia, a un’oppressione.
L’universale appare come spirito o come materia, a seconda di cosa si cerca. Come il fisico trova particelle o onde a seconda di cosa cerca, così le culture materialiste trovano materia, le culture animiste trovano spiriti.
Ogni disputa su quale sia l’interpretazione “giusta” è priva di significato: è questo dualismo, creato da noi, che fa nascere il problema, altrimenti inesistente.
Solo in assenza del concetto di verità si può vedere qualcosa di assoluto, o non-differenziato. La verità è mutevole e sfuggente, mentre la variabilità è universale e incessante.

Cartesio ci ha condannato alla verità, ma già quattro secoli orsono Montaigne aveva scritto: Il concetto di certezza è la più solenne scemenza inventata dall’essere umano.
Del resto queste non sono neppure novità, se si pensa ad antiche affermazioni, quali ad esempio:

- “Il Tao che può essere spiegato non è il vero Tao” (Lao-Tse);

- “Quello che ho da insegnare non può essere insegnato” (Buddha);

- Infine, alla domanda di Pilato: “Cosa è la verità?”, Cristo rispose con il silenzio.

Per quanto riguarda l’integrazione di opposti del tipo “colui che agisce” e “la materia su cui si agisce”, si noti che le stesse lingue europee ci impediscono di pensare a un processo che avvenga spontaneamente, che abbia in sé la sua ragione d’essere.
Pensiamo sempre a “qualcuno” che agisce, a qualcosa di “esterno” che causa gli eventi. Non siamo psichicamente attrezzati per concepire l’immanenza; così pure traduciamo a volte come non-azione il termine taoista wu-wei, che significa “azione spontanea secondo la natura delle cose”.
Ogni verbo deve avere un pronome per soggetto, un agente: così siamo abituati a pensare che una cosa non sia al proprio posto se non c’è qualcuno o qualcosa che le assegna quel posto, se non c’è un responsabile. L’idea di un processo che avviene totalmente da solo quasi ci spaventa: ci sembra che manchi l’autorità. L’idea del Dio dell’Antico Testamento e il dualismo cartesiano ricompaiono ovunque.

Stabilità e movimento
L’antica divergenza metafisica fra Eraclito e Parmenide, cioè il contrasto fra il divenire e l’essere, è anch’essa una questione di visioni complementari. Apparentemente, con il fluire perenne e imprevedibile, con il divenire e le leggi del caos, la disputa sembra “risolta” a favore di Eraclito, dopo 2500 anni. L’universo appare un fluire incessante se teniamo il tempo come una variabile autonoma.
Adottando un approccio quadridimensionale, cioè comprendendo il tempo come variabile intercollegata a quelle spaziali, ci troviamo in un quadro diverso, che appare “immobile”. In un universo di Minkowsky – direbbero i matematici – il mondo sembra parmenideo, “immutabile”.
Ma non si tratta di visione giusta o sbagliata.
Il dilemma è insolubile, in quanto intrinsecamente inesistente. Si tratta di modalità complementari che si attirano a vicenda, non di posizioni contrarie.
In uno dei frammenti dello stesso Eraclito, si trova scritto che il mutamento incessante presuppone uno sfondo immobile senza il quale non si potrebbe apprezzare il movimento.

Conclusioni
Proviamo ad abbozzare qualche conclusione.
Esiste un approccio di tipo riduzionista mirante allo studio delle cause elementari prime di un fenomeno, che suppone sempre scomponibile in parti più semplici, e c’è un approccio di tipo olistico, che parte dalle proprietà globali di un sistema, non riducibile all’insieme dei suoi elementi.
Il fisico fa riferimento continuo alle particelle elementari, il biologo al DNA, il sociologo all’individuo, sperando di ridurre il complesso al semplice, e così viene fatto per gli ecosistemi.
Ma la recente nozione di complessità è diversa. Il tutto vale di più della somma delle parti, perché ci sono le mutue correlazioni. Non solo, anche il modo di scegliere i componenti (che singolarmente non hanno alcuna realtà autonoma) è arbitrario, perché presuppone una cornice concettuale preconcetta, un pregiudizio.
Il riduzionismo nasce dal paradigma dominante dell’Occidente, cioè dall’idea che sia possibile scomporre qualsiasi cosa, o evento, in parti separate.
L’approccio riduzionista è stato quello seguito soprattutto negli ultimi secoli e che ha portato alla visione del mondo e al modo di vivere attuali delle genti di cultura occidentale, o che hanno assorbito i valori di tale cultura. L’approccio olistico riesce difficile a chi è nato con i fondamenti del primo e sta appena cominciando a manifestarsi oggi in forma individuale o poco più.
Quindi per ora possiamo anche ritenerci liberi di immaginare, o di sperare. Il passaggio necessario per attuare e rendere abituale un nuovo modo di pensare è difficilissimo, anche per chi ne fosse convinto intellettualmente. Ciascuno può immaginare a suo modo le conseguenze che potranno derivare da un’eventuale affermazione su scala generale dell’approccio olistico.

Come esercizio, proviamo ad immaginare un mondo in cui:

- gli opposti sono soltanto aspetti complementari della stessa cosa;

- la morte è semplicemente l’altra faccia della vita: la Natura è fatta di entrambe come aspetti inscindibili dello stesso fenomeno;

- non c’è niente da combattere, niente da dimostrare, nessuna gara da vincere o perdere, non c’è alcun bisogno di graduatorie né di primati. I concetti stessi di vittoria, sconfitta e sfida sono inutili;

- non c’è nulla da conquistare, manipolare, alterare;

- i concetti di ragione e torto, merito e colpa, sono soltanto pericolose sovrastrutture della mente, che eccitano la violenza e spengono il sorriso;

- non c’è alcuna distinzione fra spirito e materia, fra umanità e natura, fra Dio e il mondo. La mente è diffusa, universale, indivisibile. Non siamo alcunchè di particolare, né di centrale.

Poiché è sparita l’idea di “realtà oggettiva”, i concetti di verità e di certezza diventano inutili: con tutto in continuo dinamismo, il concetto di verità tende a coincidere con quello di Natura e quindi, in una visione panteista, con l’idea della divinità.
E’ bene chiarire che non si tratta di una visione statica, di un mondo in cui l’assenza del concetto di “progresso” comporti un modo di vivere immutabile, sempre uguale a sé stesso, oppure “di attesa”. In un certo senso, si può paragonare ad un fiume: sembra simile a sé stesso, ma invece scorre, magari anche velocemente.
Nel torrente non ci sono mai due istanti in cui passa la stessa acqua, che è continuamente in movimento. I sassi sono là in mezzo: non vengono aggrediti o spaccati, ma lasciati dove sono. L’acqua li aggira, passa ugualmente e scende verso il piano e il mare.
Non si tratta di “non fare”, ma di agire seguendo il corso naturale delle cose, secondo la Natura. Così si può continuare a fare oscillare un pendolo colpendolo ritmicamente, purchè i colpi siano sincroni con la sua frequenza.
Inoltre, oggi nel nostro mondo c’è un’ossessiva invasione di termini come lotta, battaglia, supremazia, competizione, gara, sfida, vittoria, sconfitta e simili: basta leggere un giornale per rendersi conto di quanti fatti vengano interpretati con questo schema.
Nella nuova visione, proviamo invece a privilegiare l’aspetto cooperativo e universalizzante nei confronti di quello competitivo e autoassertivo oggi esaltato in modo abnorme dalla cultura occidentale; con altro linguaggio, si tratta di recuperare l’aspetto “femminile” del mondo…...
Non c’è alcun bisogno di “battaglie”, ma c’è bisogno soprattutto di comprendere, accettare e sorridere. La “lotta per la pace” è un’espressione ambigua, perché la pace è una condizione di non-lotta: è un atteggiamento. Si tratta di renderlo universale. Ripeto, questo non significa “far niente” o “lasciar fare”: l’azione più utile è forse quella della diffusione di idee, cioè quella di opporsi a idee correnti preconcette, magari col sorriso. Contribuire attivamente a rendere universale l’idea di non-lotta è comunque un’azione.

Il mondo non è una cosa da conquistare, ma è l’Insieme di cui facciamo parte. Se poi dobbiamo proprio cercare di “far crescere” qualcosa, vediamo di migliorare le nostre qualità percettive per raggiungere una migliore sintonia con il ritmo vitale del Cosmo. Non è che in un mondo del genere ci sia “niente da fare” o “niente a cui pensare”: si possono ammirare i fiori e gli alberi, guardare la luna e le stelle, osservare il volo degli uccelli e sentirsi in sintonia con essi, e soprattutto pensare, partecipare della simbiosi universale.
Se abbandoniamo la manìa del successo e assaporiamo il piacere della non-competizione faremo rinascere il gusto di vivere.
Nella concezione che vede mente e materia come unica espressione indivisibile della Natura, siamo certamente abbastanza lontani dall’idea della “materia bruta” mossa da qualcosa di “esterno”, dall’idea di un mondo fatto per noi e manipolabile a nostro vantaggio (!) e piacimento. La realtà di oggi, dovuta all’affermarsi di un particolare modo di pensare in una cultura umana, quella occidentale, dimostra che i disastri arrecati dalla nostra specie all’Equilibrio Globale sono di gravità infinitamente maggiore di quelli eventualmente provocati dagli altri esseri viventi, ma non si tratta solo di considerazioni etiche, perché, se non cambieranno le premesse culturali, i disastri – già enormi – diventeranno irreversibili. Anche se la Natura riuscirà su tempi lunghi a riportare un equilibrio (come fa con le altre specie, ma su scala ben più piccola), ne risulterà una situazione molto più “povera” di Vita e mente.
Il fatto di non considerarci “esseri speciali” o “in posizione centrale” non deve affatto indurre al pessimismo; anzi, è motivo di lieta serenità.Invece del Dio-Persona distinto dal mondo e giudice delle azioni umane, troviamo il Dio-Natura immanente in tutte le cose, e quindi anche in noi stessi, che ne siamo partecipi. La Divinità osserva sé stessa anche attraverso gli occhi di una marmotta, o di una formica, o l’affascinante e misteriosa sensibilità di un albero.