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Clima, il calore aumenta

di r.s. a cura della redazione ECplanet - 17/01/2007

 



Per la maggior parte della sua storia, il nostro pianeta è stato molto freddo, per i nostri standard, o molto caldo. Cinquanta milioni di anni fa non c’era ghiaccio ai poli e i coccodrilli vivevano nel Wyoming. Diciotto milioni di anni fa c'era ghiaccio spesso due miglia in Scozia e, a causa delle dimensioni delle lastre di ghiaccio, il livello del mare era 130 metri più basso di oggi.

Gli studi sugli strati profondi del ghiaccio mostrano che in alcuni luoghi cambiamenti drammatici sono accaduti in tempi molto rapidi: le temperature sono aumentate di circa 20°C in una decina d’anni. Poi, 10.000 anni fa, le fluttuazioni selvagge di temperatura si sono arrestate e il clima si è assestato sulle temperature miti di cui il mondo ha goduto finora. Più o meno in questo periodo, forse per una coincidenza, o forse no, il genere umano ha cominciato a progredire.

I gas serra creati dall’uomo ora minacciano questa stabilità. Il cambiamento del clima è complicato e incerto, ma, come spiega la nostra inchiesta di questa settimana, il calcolo di fondo rispetto alla direzione di tale cambiamento è ragionevolmente corretto. Si prevede che la temperatura media globale aumenti tra 1,4°C e 5,8°C durante questo secolo. Il livello inferiore di questo intervallo renderebbe la vita meno confortevole nelle aree settentrionali e un po' meno piacevole in quelle meridionali. Qualsiasi mutamento al di sopra di tale livello potrebbe portare a catastrofici aumenti del livello del mare, all’incremento del numero di eventi climatici “estremi” come uragani, piogge torrenziali e siccità, abbattendo la produzione agricola e, forse, producendo carestie e migrazioni di massa.

Nessuno è in grado di dire cosa sia più probabile, dato che il clima è un sistema di complessità pressoché infinita. Predire quanto più caldo renderà il mondo un determinato livello di anidride carbonica è impossibile. Non è soltanto che l'effetto specifico dei gas serra sulla temperatura è poco chiaro. È anche che il riscaldamento ha incalcolabili effetti indiretti. Può destabilizzare i meccanismi di raffreddamento (per esempio le nuvole che bloccano la luce del sole) o quelli di riscaldamento (fondendo i terreni in cui sono congelati i gas serra, per esempio). Il sistema potrebbe autoregolarsi oppure sfuggire dal controllo umano.

Quest'incertezza è l’elemento centrale della difficoltà ad affrontare il problema. Dal momento che i costi del cambiamento climatico sono sconosciuti, i benefici dei tentativi di prevenzione sono, per definizione, incerti. In più, se tali tentativi produrranno benefici, questo avverrà da qualche parte nel futuro. Dunque è davvero corretto usare le risorse pubbliche di oggi per prevenire un incerto, distante rischio, specialmente pensando che quel denaro potrebbe essere speso, invece, in beni e servizi che portano vantaggi misurabili e a breve termine ?

Se il rischio è grande abbastanza, la risposta è sì. I governi lo fanno sempre. Spendono una piccola porzione delle entrate fiscali per mantenere gli eserciti, non perché ritengono che le loro nazioni siano a rischio di imminente invasione ma perché, se succedesse, le conseguenze sarebbero catastrofiche. Anche gli individui lo fanno. Spendono una piccola parte delle loro entrate in assicurazioni sulla casa non perché pensino che andrà a fuoco la settimana successiva ma perché, se succedesse, i risultati sarebbero disastrosi.

Allo stesso modo, un numero crescente di dimostrazioni scientifiche sostiene che i rischi di una catastrofe climatica sarebbero abbastanza elevati per il mondo intero da spingere a destinare una piccola parte delle proprie risorse per cercare di evitarlo. La porzione di risorse globali che dovrebbe essere spesa per controllare le emissioni probabilmente non è enorme. Il costo differenziale tra l’energia derivante da combustibile fossile e quella derivante da qualche fonte alternativa è già basso, e presumibilmente scenderà ancora. Anche gli economisti che cercano di definire il costo del limitare le concentrazioni di anidride carbonica a 550 parti per milione o al di sotto di questo livello (il livello attuale è 380ppm, l'obiettivo di 450ppm è considerato ambizioso e 550ppm un livello con cui si può convivere) si scontrano con l'incertezza.

Alcuni modelli ritengono che non ci sarebbero costi; altri che le risorse globali potrebbero diminuire di circa il 5% entro la fine del secolo se non si prevedono tentativi di controllare le emissioni. Ma la maggior parte delle stime si attestano su una percentuale di diminuzione degli introiti globali inferiore all'1%.

Gli aspetti tecnologici ed economici del problema sono, quindi, una sfida minore di quanto molti immaginano. La vera difficoltà è politica. Il mutamento climatico è uno dei maggiori problemi in termini di politiche pubbliche che il mondo si sia mai trovato ad affrontare. Dato che si tratta di un problema globale, ciascuna nazione ha interesse nel fare in modo che siano tutte le altre nazioni a farsi carico dei costi per affrontarlo. Dato che si tratta di un problema a lungo termine, ciascuna generazione ha interesse nello scaricare la responsabilità su quella successiva. Ragionando in questo modo, nessuno farà nulla.

Il protocollo di Kyoto, che ha cercato di spingere i maggiori inquinatori dl mondo a impegnarsi per ridurre le emissioni ai livelli del 1990 o al di sotto, non è stato un completo fallimento. Gli Stati dell'Unione Europea e il Giappone probabilmente raggiungeranno i loro obiettivi, anche se il Canada non lo farà. Kyoto ha inoltre generato un mercato globale per la riduzione del carbonio che permette di ridurre le emissioni in maniera relativamente efficiente. Ma non avrà molto impatto sulle emissioni, e quindi sulla velocità del cambiamento climatico, perché non obbliga i paesi in via di sviluppo a ridurre le proprie emissioni, e perché l'America non lo ha ratificato.

Gli Stati Uniti sono il maggior produttore mondiale di gas serra, anche se non per molto. Ogni anno la Cina sviluppa una capacità di generazione di energia quasi equivalente all'intero stock della Gran Bretagna, e quasi tutto deriva dal carbone- il combustibile più pericoloso. In breve tempo supererà l'America, e l'India non è molto distante. Le nazioni in via di sviluppo sostengono, in maniera abbastanza ragionevole, che, dato che sono stati i paesi ricchi creare il problema, devono essere loro i primi a preoccuparsi di risolverlo. Così, se l'America continua a rifiutare di fare alcunché per controllare le emissioni, i paesi in via di sviluppo non faranno nulla per le proprie. Se l'America agisce, anche loro potrebbero farlo.

Due sono le misure necessarie. Una è uno strumento economico che metta un prezzo alla produzione di gas serra. Potrebbe essere una tassa sul carbonio (carbon tax) o un sistema cap and trade, come l'Emission Trading Scheme (ETS- programma per lo scambio commerciale delle emissioni nocive), che limita le emissioni dei produttori e permette loro di comprare e vendere i crediti di emissione. Idealmente, i politici sceglierebbero la più efficiente tassa sul carbonio, che implica un prezzo relativamente stabile che i produttori possono prevedere e inserire nell'elaborazione dei loro piani di investimento. Il più volatile sistema cap and trade, tuttavia, è più facile da vendere ai produttori, che possono avere remunerazioni in maniera di fatto gratuita una volta introdotto lo schema.

Entrambi i programmi dovrebbero diminuire l'uso di combustibili fossili e aumentare l'uso di fonti alternative. In questo modo i produttori sono costretti ad aumentare il costo dell’energia. Per limitare l'aumento dei prezzi, e facilitare il processo politico, i governi dovrebbero usare un secondo strumento: la spesa pubblica per favorire l'ingresso di nuove tecnologie promettenti sul mercato. Il sequestro di carbonio, che offre la possibilità di prendere il carbonio prodotto dalle centrali elettriche sporche e di immagazzinarlo sotto terra, è il candidato principale.

Anche se George Bush ora sostiene che l'America ha bisogno di liberarsi dalla dipendenza dal petrolio, la sua amministrazione rifiuta ancora di agire seriamente. Ma altri Americani si stanno muovendo. L'assemblea dello Stato della California ha appena deliberato su obiettivi simili a quelli di Kyoto. Molte imprese, temendo di finire a doversi confrontare con un mosaico di misure statali, ora chiedono controlli federali. E l'America conservatrice, una volta solidamente scettica, è ora divisa sulla questione- in quanto Cristiani responsabili della gestione della Terra, i neoconservatori chiedono di ridurre la dipendenza dell'America dal Medio Oriente e gli agricoltori che vedono le energie alternative come nuove potenziali forme di energia stanno cambiando opinione sull'idea di ridurre il carbone. Il signor Bush ha ancora due anni di lavoro. Vorrebbe essere ricordato come un uomo determinato che ha fatto la cosa giusta. Affrontare il cambiamento climatico sarebbe un modo di farlo.

Fonte: www.canisciolti.info / gennaio 2007