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Emergenza ambiente e sordità dei politici

di Carla Ravaioli - 19/01/2007







Se riuscissero a comprendere le connessioni tra le catastrofi
annunciate e l’ideologia e la prassi della crescita…saremmo già in un
mondo diverso. 



Fabrizio Giovenale nell’illustrare l’accelerazione della crisi ecologica
planetaria usava sovente una felice metafora: “il mondo come un
bicchiere”. Bicchiere (che rappresenta la Terra) contenente un liquido
(che rappresenta gli umani); contenitore che rimane sempre uguale,
contenuto che viceversa continua ad aumentare di numero e di esigenze.
Il bicchiere per migliaia di anni semivuoto ha incominciato, prima
lentamente poi sempre più in fretta, a riempirsi del liquido: liquido
fortemente tossico tra l’altro, corrosivo, che deteriora il contenitore
mentre continua a salire, finché ne raggiunge l’orlo, ne trabocca.

22° gradi ad Aosta, 20 a Cuneo, 19 a Belluno e Torino, 23° a New York,
18 a Madrid, Natale a Mosca senza neve, solo neve artificiale in tutte
le località sciistiche, il 2006 accertato come l’anno più caldo che si
ricordi, ciliegi e mimose già in fiore, dovunque agricolture a rischio e
richieste distato di calamità, uccelli migratori disorientati da questa
intempestiva primavera, orsi incapaci di entrare in letargo per via del
caldo, mentre nel Mar del Nord le temperature crollano tra furiose
tempeste, e nel lontano West la California viene colpita da
un’improvvisa ondata di gelo. Il bicchiere di Fabrizio, si direbbe, sta
già abbondantemente traboccando.

I guasti dell’effetto serra già in atto e i pericoli di un ulteriore
riscaldamento erano d’altronde stati ripetutamente segnalati. Dal Wwf
che aveva tra l’altro annunciato come nel 2050 cominceremo a “mangiare”
il pianeta, non più solo i suoi frutti. Da Nicholas Stern, consigliere
di Blair, che aveva calcolato il costo in moneta sonante di un mancato
intervento risanatore: ben 5,5 trilioni di euro. Dalla Commissione
Europea infine, la quale col suo rapporto di una settimana fa,
concentrando l’attenzione sul Vecchio Continente, prevedeva la
desertificazione dei paesi mediterranei e la sommersione di buona parte
delle loro coste, migliaia di morti per il caldo e per l’arrivo di nuove
sconosciute malattie, e il conseguente crollo del turismo italiano greco
e spagnolo, tendente a orientarsi verso le meno bollenti regioni
scandinave, ecc.

Non cose da prendersi alla leggera. Nè pareva potersi prendere alla
leggera l’impegno che l’Unione Europa assegnava a se stessa e ai singoli
paesi membri, e che annunciava di voler proporre anche ad altri (Usa in
primis), per tentar di tamponare la catastrofe: abbattere del 30% le
emissioni di gas serra entro il 2020. E la stampa di tutto il mondo gli
ha dedicato pagine, titoli e foto a sensazione.

E’ vero - qualche ambientalista particolarmente severo faceva notare -
che il 30% è appena la metà di quanto la scienza più autorevole ritiene
indispensabile per raddrizzare un minimo lo sconquasso dell’ecosfera. Ed
è vero - qualcun altro scetticamente osservava - che il non meno
allarmato rapporto Stern non sembra avere prodotto risultati
significativi. Il tutto non impediva però la sostanziale soddisfazione
della comunità verde, memore delle timidezze di Kyoto e del quasi nulla
di fatto che ne è seguito.

Questo forse ha impedito di considerare adeguatamente la vistosa
discrasia tra il grande rilievo dedicato dall’informazione al rapporto
della Commissione e la totale indifferenza dei politici, non solo
italiani. I giornali continuavano a commentare con notizie inedite e
sempre più drammatiche lo squilibrio ecologico in atto e le sue
conseguenze prossime venture, ma dai politici (interviste, esternazioni
estemporanee, partecipazioni a talk-shaw, interventi a radio e
telegiornali) nemmeno una parola; tutt’al più un fuggevole cenno
all’“efficienza energetica”, inserito in un elenco di altre “riforme” da
porre in essere. Mentre concordemente tutti insistevano sulla necessità
della crescita produttiva (e quindi di maggior effecienza, produttività,
competitività) a garanzia del nostro benessere presente e futuro.
Particolarmente entusiasti gli italiani, che ne hanno parlato come di
una eccezionale scoperta: a quanto si legge su /La Repubblica /(13 - 01-
07) “l’ ‘Agenda di Caserta’ individua un grande obiettivo: la crescita.”
Perbacco!

In presenza di questa sorta di “rimozione” con la quale mondo politico e
mondo economico (senza eccezioni significative) tenacemente tentano di
difendersi dalla realtà della minaccia che, anche per loro
responsabilità, sovrasta l’intera società umana, non era davvero così
imprevedibile (come vorrebbero alcuni Verdi fortemente delusi) il pronto
ridimensionamento dei propri impegni da parte della Commissione di
fronte alle rimostranze degli industriali: riduzione dal 30 al 20% del
taglio dei gas serra, e sia pur esitante (perché no?) apertura al
recupero del nucleare.

D’altronde Angela Merkel, nell’annunciare con orgoglio i propositi della
Commissione, aveva parlato di “rivoluzione energetica”. La quale,
dopotutto, di rivoluzionario non ha gran che. Perché, a parte la
consistenza del taglio di gas serra (in effetti non disprezzabile,
almeno prima della sua correzione, se confrontata con l’avarizia delle
proposte analoghe messe in campo finora e per lo più rimaste lettera
morta) resta il fatto che gli impegni della Commissione non si
allontanano dalla solita, sovraffollata e soprattutto sopravalutata,
corsa alle energie rinnovabili. Una meta da molti anni entusiasticamente
inseguita, che però ha dato finora risultati limitati e da più parti
molto discussi: sia nella loro supposta totale “innocenza” ecologica
(basti pensare all’impatto causato dal loro trasporto, come sempre
accade per ogni sorta di energia); sia nella loro oggettiva
insufficienza a sostituire in toto o almeno in misura consistente i
carburanti fossili (anche un loro possibile progressivo miglioramento
verebbe fatalmente annullato nella prospettiva di un’economia in
ulteriore continua crescita, come i responsabili delle nostre sorti
auspicano e volonterosamente promettono).

Senza dire che l’effetto serra è certo la manifestazione più pericolosa
e anche la più spettacolare del dissesto dell’ecosfera, ma non è la
sola. Il guasto dell’ ambiente si articola in una quantità pressocché
infinita di altri fenomeni, solo apparentemente minori, ciascuno dei
quali ha una sua funzione squilibrante; ed è proprio nel grande numero
di manifestazioni diverse ma di analogo significato, che si segnala
l’estrema gravità dello squilibrio complessivo. Per cui orientare le
politiche ambientali solo sulle anomalie climatiche, non basta a
risanare il mondo

Ma soprattutto va considerata la debolezza dell’assunto del rapporto
europeo, il quale rimane tutto interno alla razionalità economica data,
nel suo evidente proposito di ridurre l’inquinamento e di contenere il
surriscaldamento dell’ atmosfera, per potere così consentire un felice,
illimitato dispiegarsi dell’ accumulazione di plusvalore. Nel dibattito
di questi giorni ben pochi hanno messo il dito sull’ esigenza ormai
ineludibile e non più rinviabile di rimettere in discussione l’impianto
dell’economia oggi attiva nel mondo, certo dichiarandone
l’incompatibilità con la realtà fisica del pianeta, e però gridando
anche la sua insostenibilità sociale, richiamando l’attenzione di tutti
sulle disuguaglianze che aumentano nonostante l’aumento continuo di
ricchezza.

Nella stessa debolezza e ambiguità del rapporto della Commissione europea,

sta d’altronde la ragione anche della esitante, ambigua risposta al
rilancio del nucleare che molti industriali vorrebbero: perché no?
Eppure è un perché ampiamente illustrato da tutti gli esperti del
settore. Dei tanti grossi problemi che il nucleare comporta, nessuno è
stato finora risolto: gli alti costi e la difficoltà della manutezione,
l’impossibilità di uno stoccaggio delle scorie radioattive assolutamente
affidabile (di recente /Nature/ ha parlato di tempi assai superiori a
quelli abitualmente indicati, e di una possibile durata di 1400 anni),
l’esaurimento dell’uranio che molti prevedono prossimo; senza dire della
mostruosa pericolosità che migliaia di bombe atomiche sparse per il
pianeta comporterebbero, sia pure calcolando la scarsa (ma da nessuno
decisamente negata) probabilità di un incidente. Non è un caso se gran
parte dei paesi che usano il nucleare sono orientati ad abbandonarlo.

Vuoi vedere che tutto finirà con il rilancio a tappeto del nucleare? Si
domandava giorni fa un amico ambientalista. Che dire? Che da una società
come la nostra c’è da aspettarsi di tutto? Ma forse è meglio rifiutare
la domanda.