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I libri della settimana: P. Capuzzo, Culture del consumo; V. De Grazia, L'impero irresistibile

di Carlo Gambescia - 15/02/2007

I libri della settimana: P. Capuzzo, Culture del consumo, il Mulino 2006, euro 19,50; V. De Grazia, L'impero irresistibile, Einaudi 2006, euro 30,00

Che strano il destino la destino società dei consumi. Odiata, amata e ora perfino nostalgicamente rievocata: si pensi alla fresca fortuna televisiva della fiction Raccontami, che mostra con quale e quanto gusto gli italiani negli anni Sessanta assaporassero i primi frutti proibiti del nascente consumismo: a cominciare dalla conquista del primo apparecchio televisivo, quasi un oracolo da interrogare, a orari fissi, nel salotto di casa. Ed è proprio grazie alla tv e alla conseguente diffusione visiva di modelli di consumo sempre più coinvolgenti, che la società “divertentistica”, come la chiamava, con più che un punta di cattiveria Luciano Bianciardi, avrebbe conquistato il cuore e il portafoglio degli italiani.
Di sicuro, quel che spesso difetta, soprattutto nel pubblico delle persone di media cultura, è la conoscenza di come sia formata e sviluppata la moderna società dei consumi. In effetti, nel diluvio di pubblicazioni in argomento, non è facile orientarsi. Ecco perché, non possiamo non segnalare, due recenti pubblicazioni storiche che possono intelligentemente aiutare il lettore a inquadrare la questione.
Iniziamo dal volume di Paolo Capuzzo, Culture del consumo (il Mulino, Bologna 2006, pp. 334, euro 19,50). Il titolo, serioso e “sociologico”, non deve spaventare, perché si tratta di un libro di storia. L’autore, infatti, insegna storia contemporanea a Bologna. E nel testo ricostruisce, con grande acume, la nascita e lo sviluppo della società dei consumi, tra il Seicento e l’inizio del Novecento. Un fenomeno che Capuzzo riconduce a due elementi fondamentali: la forza politica ed economica della società europea, moltiplicatasi attraverso la conquista dell’intero spazio mondo, e la sua capacità, al tempo stesso, di democratizzarsi e ampliare la sfera dei consumatori. Di far nascere, insomma, le cosiddette “culture del consumo” (di questo o quel bene, a cominciare dai primi prodotti importati dall’Oriente): frutto non tanto di imposizioni dall’alto quanto di appropriazioni consapevoli dal basso. Scrive Capuzzo “Ricostruendo la storia della diffusione dello zucchero, del caffé, del tabacco, del tè, della cioccolata è possibile mettere in evidenza i rapporti tra la domanda europea, la conquista di basi e monopoli commerciali, l’organizzazione delle produzione di questi beni. La diffusione delle nuove bevande mostra poi come, una volta approdate nei grandi porti commerciali europei, queste merci subissero un variegato processo di appropriazione da parte dei consumatori… Le nuove culture del consumo che si costruiscono in Europa attraverso queste bevande non sono insomma, un epifenomeno dell’espansione coloniale, ma rispondono” a liberi cittadini “che si appropriano di tali risorse”: un autentico atto di libertà. Si tratta di un nesso, tra progresso della democrazia politica e progresso dei liberi consumi, che si sviluppa proprio dalle (e nelle) prime discussioni nei caffé politici e letterari settecenteschi. E che ancora oggi è al centro di ogni dibattito sulle natura democratica della società dei consumi.
Il testo di Victoria de Grazia, che insegna Storia europea alla Columbia University di New York, inizia dove finisce quello di Capuzzo. Come del resto si evince dal titolo: L’impero irresistibile. La società dei consumi americana alla conquista del mondo ( Einaudi, Torino 2006, pp. XXX-534, euro 30,00). La de Grazia studia il Novecento dei consumi, inquadrandolo all’interno del cosiddetto “Secolo Americano”. E il suo realismo geopolitico lascia senza fiato: “Rispetto a ogni altra forma di impero dell’età moderna, gli Usa hanno sempre avuto una marcia in più: quella di essere costantemente riusciti a dare alla propria popolazione non solo armi, ma anche il pane. Anche laddove si siano imposti con la forza, si sono sempre ripromessi di intervenire con sostanziosi aiuti economici allo scopo di ricostruire la propria immagine compromessa. In questo modo, il ‘soft power’ dei consumi di massa che serviva a legittimare l’Impero pareva cosa da nulla a confronto del pesante ricorso alla forza con il quale esso stabiliva, e periodicamente ribadiva, la propria egemonia”. Tuttavia, il “ristabilimento” egemonico - ecco di nuovo il nesso, tra consumi e democrazia - non impediva, secondo l’autrice, che il modello americano traesse la sua forza anche dall’affermare “senza titubanze, che votare alle elezioni non era un atto sostanzialmente diverso da una scelta di acquisto”. E che perciò le due libertà dovevano procedere di pari passo.
Il che non sempre è avvenuto...