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La natura vivente in John Ronald Reuel Tolkien

di Società Tolkeniana Italiana - 19/02/2007

 
 
Sull’onda del rinnovato interesse del grande pubblico per Tolkien (e, a dirla tutta, anche un po’ preoccupati per il rischio che le avventure di Galdalf e compagni potessero essere fagocitate dai potenti maghi dell’industria dello spettacolo e dell’effimero) abbiamo voluto anche noi ricordare il geniale creatore della Terra di Mezzo. Lo abbiamo fatto grazie alla collaborazione della Società Tolkieniana Italiana, massima autorità in materia in Italia, con delle riflessioni di ecologia profonda che affondano le loro radici nelle suggestioni evocate da Tolkien e dai miti cui egli seppe attingere: un ricco patrimonio culturale, dimenticato dall’uomo moderno, ma capace ancora di riaffiorare ed affascinare, a conferma che “le radici profonde non gelano mai”. L’augurio è che la visione o la rilettura de Il Signore degli Anelli non si esauriscano in un semplice svago ma possano promuovere quella “fuga dal carcere” della contemporaneità che per il professor J.R.R. Tolkien costituiva l’essenza della fantasy.
 
 
LA NATURA VIVENTE
 
Dire che la natura va rispettata è come sfondare una porta aperta, è diventata una frase fatta, quello che non è affatto scontato è come mettere in pratica questa affermazione anche perché spesso le ragioni che dovrebbero farci essere “rispettosi” della natura sono di per sé poco rispettose...
Prendiamo, per esempio, il discorso della distruzione della foresta amazzonica ... istintivamente lo colleghiamo al buco dell’ozono, alla distruzione del polmone verde del pianeta, alle variazioni del clima e ai danni che tutto questo comporterà alla terra e quindi a noi uomini.
“La natura deve essere rispettata perché è di tutti e se la distruggiamo, staremo tutti peggio”. E’ questo il messaggio che giunge al nostro cervello e al nostro cuore.
 
Ecco, è proprio questo il punto, Il nodo da sciogliere secondo noi per affrontare realmente la questione ecologica: la visione antropocentrica che muove la maggior parte del pensiero e delle azioni cosiddette “ecologiche”.
 
Cosa succederebbe se mettessimo in discussione per esempio questa frase e dicessimo:
 
La Natura non è di tutti.
La Natura è un organismo vivente ed appartiene a sé.
La Natura va rispettata perché la Vita è sacra, ogni più piccola vita, anche quelle che a noi uomini paiono inutili o insignificanti”.
Cosa accadrebbe se affermassimo:
“Noi siamo parte della natura, una parte, non ne siamo i padroni e nemmeno i custodi” ...
 
 
Abbiamo perso nel corso della nostra storia di uomini occidentali la consapevolezza che la Natura non è al nostro servizio, non è a nostra disposizione, non è un deposito dal quale prelevare sempre quello che più ci serve o più ci aggrada.
 
Ed è a questo punto del ragionamento che ci piace immaginare che nello slancio con il quale in molti si accostano a Tolkien, vi sia il desiderio di far rivivere, almeno nella fantasia, il tempo in cui gli uomini non si sentivano i padroni, il tempo in cui sapevano di dividere con altri esseri, piante e animali, la terra.
E la natura era vissuta, come un Essere Vivente.
In Tolkien vivi sono gli alberi coi quali Legolas può parlare e i boschi cantano sommesse melodie  che l’elfo comprende.
Viva è la Vecchia Foresta che gli hobbit devono attraversare per arrivare alla taverna di Brea, quella parte dell’avventura che è stata tagliata nel film, e potente il Vecchio Uomo Salice che lancia il suo incantesimo soporifero.
La Vecchia Foresta è dotata quasi di una volontà propria che solo Tom Bombadil è in grado di contrastare; Tom Bombadil, l’unico che non viene nemmeno sfiorato dalla tentazione di possedere l’Anello del Potere.
Pensiamo agli Ent e agli Ucorni della foresta di Fangorn o al cuore del bosco Atro, divenuto nel tempo “cattivo”.
Anche le pietre parlano e sono vive in Tolkien ... la tempesta del Caldrahas nasce dalla volontà stessa della montagna, e non è Saruman, come nel film, che la scatena.
Gli uomini non possono controllare nemmeno le pietre.
I nani possono portare la luce nelle grotte profonde sotto le montagne, là dove sono le tenebre, possono creare sale meravigliose costruendo pozzi per far rifrangere la luce sulle pietre preziose, ma proprio i nani, nella loro sete di ricchezza cercando il mitrhil hanno destato il flagello di Durin, condannando se stessi e la loro città, Moria, il Nanosterro, alle tenebre.
 
Non è una natura disneyana quella che ci racconta Tolkien, è una natura a volte benigna, a volte maligna, spesso imprevedibile ed incomprensibile.
 
Se è impossibile oggi pensare di ritornare al tempo in cui l’Europa era una grande Contea, è tuttavia possibile cambiare il nostro atteggiamento nei confronti di tutto ciò che è vivo.
Sono gli occhi ed il cuore con cui guardiamo il mondo che possono modificare i nostri comportamenti, sia di individui che collettivi.
 
Con occhi diversi vi invitiamo a leggere un racconto, a fare con noi un viaggio...
 
 
Viaggio  nella Terra di Mezzo di ieri e di oggi
 
Non marcerò per strade spente e piatte
per formule precise, frasi fatte
nel mondo immutabile ove chi fa
con l'arte di creare
nul parte ha.
Non chinerò il capo al Dominio di Ferro,
interrando il mio piccolo scettro d'oro.
                     Mitopoeia - da Albero e Foglia
 
 
 
TERRA
 
Terra odorosa e nera, bella nella sua pacatezza, mentre volge al cielo i suoi muscoli poderosi. Lunghe scie fumose e scure in lunghi tratti regolari, seguono le tracce dell'aratro. Oggi il vomere è lucente, potente, ed il motore del trattore canta mentre spinge in profondità le lame d'acciaio.
Un vecchio osserva calmo il lavoro e sorridendo ricorda suo padre e suo nonno: il secondo con la cavezza dei buoi in mano, mentre il primo con tutta la sua forza teneva premuto l'aratro prendendolo per i suoi vecchi e consunti manici di legno. Ora, come allora, cornacchie e storni si affannano a raccogliere larve e lombrichi. La terra nutre anche loro. Il ricordo del nonno torna alla sua infanzia: all'aratura faceva seguito la preparazione del terreno e la semina. Dopo questo potevi solo aspettare, seguire la nascita delle piantine di grano, segale, orzo, granturco, pregare perché la grandine prima e la grande calura poi non le facessero morire. E loro crescevano, mentre i riti ed i canti preservavano il raccolto. Il nonno ricordava ancora le rogazioni: queste visite salmodiate nei campi e negli appezzamenti, con il parroco in testa, i vecchi ed i chierichetti dietro a rideterminare i confini di quel piccolo cosmos ordinato e fertile, a tenere lontani malefici e streghe. E d'estate le vecchie bruciavano il cero e l'ulivo benedetto per far piovere e poi chiedevano al parroco di suonare le campane per tenere lontane la grandine e le "codebuje" i neri vortici che, come trombe d'aria, sradicavano alberi e abbattevano i tetti.
Il tempo trascorreva lento, scandito dalle stagioni con i suoi riti: il maggio con il suo albero, il rosario alla sera; la notte di San Giovanni con le sue magie; le serate che tutti passavano insieme lungo le strade e nelle piazzette a cercare frescura a raccontare e raccogliere pettegolezzi ed amenità; poi la lunga colonna di carri che sotto il sole cocente di agosto attendeva sulla strada del mulino, mentre notte e giorno, sotto le travi consunte dal tempo, le pale giravano mettendo in movimento le macchine polverose e bianche di farina che riducevano in sacchi panciuti il frutto della nera terra; e poi le viti, la raccolta dell'uva, la spremitura, il mosto rubato e le corse in bagno, e finalmente la calma dell'inverno. La notte di Ognissanti in cui oggi si riempiono di zucche vuote e che allora era la notte tragicamente magica riservata al ritorno dei morti nelle case dove avevano vissuto; non venivano ricevuti con timore, ma attesi come ospiti: le porte dovevano rimanere rigorosamente socchiuse, ovunque si riempivano i secchi e i tegami di acqua, perché i visitatori soffrivano tantissimo la sete e poi la tavola doveva essere imbandita per gli ospiti. Sacralità e potenza di un tempo senza tempo in cui vivi e morti incrociavano a volte le loro strade e l'Altissimo era forse meno lontano di oggi. Veniva poi il tempo delle serate passate nel tepore delle stalle, mentre i vecchi sgranavano i chicchi dalle pannocchie, le donne rammendavano chiacchierando e qualcuno raccontava di strani fatti, personaggi curiosi, incontri terrificanti e i bambini poi tremavano e piangevano, mentre venivano accompagnati nei loro letti e nel buio scorgevano i mostri della fantasia di un mondo reale e forte, duro e parco di soddisfazioni, ma dove il riso ed il divertimento sgorgavano con naturalezza ed ogni occasione era buona per fare festa. Il vecchio ascoltava il ritmato battito del motore e sorrideva, pensava ai tanti quintali di prodotto che quella terra concimata in modo artificiale, arata in profondità, irrigata con le pompe, avrebbe portato; sorrideva al pensiero di quanto invece era stato perduto in serenità, in condivisione, sorrideva anche e ringraziava il Cielo per la grande fortuna che gli era capitata: essere uno dell'ultima generazione ad aver arato con fatica la terra, averla ringraziata per quanto lei aveva prodotto, essere custode del ricordo di sapori, odori, sensazioni e sogni che ormai lentamente sbiadivano come la nebbia dell'alba sui campi arati.
 
ACQUA
Quando mai ci soffermiamo, noi uomini moderni, ad osservare lo scorrere dell'acqua nel piccolo rio, nel torrente o nel grande fiume. Affaccendati e frettolosi passiamo sul ponte ed inseguiamo il nostro pensiero, assolutamente dimentichi di ciò che ci circonda.
Quel fiume scorre fra le sue sponde da secoli, ha visto passare miriadi di generazioni di umani diversi nel vestire, nel pensare, nel cibarsi: magari spingevano armenti o prigionieri, bottini di guerra, oppure fuggivano davanti a nemici ed invasori. E' solo un corso d'acqua puoi pensare, ma lui ha guardato negli occhi coloro che si gettavano carponi a bere dalle sue rive, ha giocato con i bimbi che per generazioni si sono tuffati fra i sui flutti, ha gustato il pensiero del vicino riposo con gli armenti all'abbeverata, ha scorto la stanchezza sui volti e sui musi chini e magari ha sorriso alla serenità, alla gioia ed alla forza di una umanità più sensibile al mondo della natura.
Un fiume è spesso un confine e segna distanze insuperabili fra popoli che forse parlano la stessa lingua, oppure è un punto d'unione, di collegamento e di scambio dove uomini crescono e si fermano; costruiscono case appena oltre le sue rive, si nutrono dei suoi prodotti e dei pesci che lo percorrono, usano chiatte e barche, costruiscono ponti e passerelle, lo superano, lo lasciano, lo ritrovano tornando alle loro case dopo anni di lontananza. E l'acqua scorre, narra di leggende, racconti, miti, ma oggi sono pochi coloro che si fermano un attimo ad ascoltare: è solo un fruscio lontano, un mormorio sommesso e dolce, quasi un profumo, un leggero sapore che ti affascina e ti fa sorridere. Allora ti prende una strana calma, ti senti insensibile ormai ai richiami dei signori del tempo, che ti vorrebbero succhiare anche quell'attimo così dolce, che suadenti ti spronano a fare cose utili, ti invitano a non sprecare il "tuo" tempo. Sereno ti apparti, ti siedi sotto un albero e guardi i mulinelli, ascolti i tuffi dei pesci ed il fiume ti parla del suo lento trascorrere, delle sue piene poderose e terribili, del suo amore per gli uomini, ti racconta di quando il mondo era giovane, delle lunghissime ere che hanno scandito il suo lento procedere verso il mare, sempre diverso e sempre uguale. Ormai sei affascinato ed apri il tuo cuore ai ricordi, ti ritornano alla mente racconti ormai dimenticati, e Ulmo, il Signore delle Acque ti sussurra da lontano.
Negli scritti di Tolkien le acque prendono vita: è sulle rive di un grande lago che i Primi nati vedono la luce delle stelle, quando la terra era giovane; sono la acque del Bruinen che salvano, sotto la guida di Elrond e Gandalf, il portatore dell'Anello dalla furia dei Cavalieri Neri. L'Anduin, il Brandivino, il Sirion richiamano alla memoria il grande fiume che custodì l'Anello per secoli, il corso d'acqua che a lungo preservò la Contea dalle incursioni di orchi e mostri, fino all'inverno in cui i lupi mannari lo superarono grazie al ghiaccio formatosi per il grande gelo, e poi il fiume che nascose gli Elfi della città di Gondolin e a lungo li protesse.
Fin dalla notte dei tempi le acque hanno rispettato e servito il loro Signore: Ulmo.
"Ulmo non abitava a Valinor, né mai vi veniva se non per le bisogne di un gran concilio; dimorava, fin dall'inizio di Arda, nell'Oceano Esterno, e ancora vi dimora. Di là governa lo scorrere di tutte le acque e le maree, il corso di tutti i fiumi e il colmarsi delle sorgenti, la distillazione di tutte le rugiade e della pioggia in ogni contrada sotto il cielo.
Nei luoghi profondi egli elabora musiche grandi e terribili; e l'eco di quei suoni percorre tutte le vene del mondo in gioia e in tristezza; poiché se gioiosa è la fonte che zampilla al sole, le sue sorgenti si trovano  nei pozzi di insondabile dolore alle fondamenta della Terra."
Così recita il Silmarillion e brani lentamente si sovvengono mentre pacato lasci scorrere e tumultuare questo fiume in piena, pensi alla vita che conduci, relativamente tranquilla, nel suo tran-tran ordinario, senza picchi e rivolgimenti, ma grigia nel suo lento spegnersi giorno dopo giorno, fra casa e lavoro. Uno spruzzo ti riscuote. Nel sole che tramonta una nuvola disegna immagini di sogno. Ti senti grato al grande fiume per averti riscosso dall'apatia di tanti anni, ritorni verso casa con una serenità ed una pace che non conoscevi. Con piacere pensi ai giorni che ti attendono ed ai tanti momenti che vuoi ritagliarti per tornare a camminare lungo il grande e vecchio fiume.
 
Paolo Paron
Stefania Paternò
 
 
 
ALCHIMIA e TRADIZIONE  ne "Il Signore degli Anelli"
 
Trascorrono gli anni nella Terra di Mezzo e lentamente il male si va risvegliando, siamo già all'inizio della terza Era del mondo e vogliamo narrare le vicende di un grande personaggio tanto amato dai lettori della saga tolkieniana: Galdalf, il grigio pellegrino.
Un giorno senza tempo, i Signori delle Terre Imperiture si riunirono e decisero di mandare alcuni di loro per aiutare Elfi, Nani ed Umani nella lotta contro il male.
Cinque furono i designati e fra loro si distinse Curunir il Bianco della stirpe dei Valar, che sarà Saruman nella Terra di Mezzo, per lunghi anni il capo degli Inviati, egli si offrì volontariamente, già denotando con questo le tracce di quell'orgoglio che lo porterà poi alla perdizione. Fra i Mayar venne chiamato Oromé, che si schermì e si disse non all'altezza di un compito così importante: umile e generoso, alla fine partirà e prenderà il nome di Gandalf; si unirono a loro poi anche Radagast, l'amico degli animali che si perderà per l'eccessivo amore riservato alle piccole creature del mondo ed infine i due Istari (questo è il nome degli Inviati) blu di cui non si seppe mai nulla, se non che partirono verso Est e si persero per il mondo.
I nostri cinque Istari un giorno approdarono ai Porti grigi e Cirdan il Custode elfico li accolse, fra loro riconobbe la grandezza di Gandalf, il grigio pellegrino e gli donò l'Anello di cui lui era custode: l'anello del fuoco segreto, uno dei tre anelli elfici sfuggiti a Sauron. Anche se il gesto non ebbe testimoni si dice che Saruman ne venne a conoscenza e che da quel momento cominciò il suo rancore verso Gandalf.
Passarono molte centinaia di anni che Gandalf impiegò nello studio della storia della Terra di Mezzo e nella conoscenza dei suoi abitanti, intessendo alleanze e risvegliando le coscienze alla battaglia contro l'Oscuro Signore. Alla fine della terza era lo vediamo prodigarsi nella lotta e partire al comando della Compagnia per cercare di distruggere l'Unico Anello che, se tornasse in possesso di Sauron, ne consentirebbe la vittoria sui popoli liberi della Terra di Mezzo.
La Compagnia cerca di superare i passi montani del Caradhras, ma viene respinta da una tempesta ed è costretta a passare sotto le montagne, attraverso Moria, per cercare di raggiungere la terra di Galadriel: Lothlorien.
In questo passaggio attraverso le stupende e terribili gallerie costruite dai nani, assistiamo ad una delle più potenti pagine del Signore degli Anelli. I nostri eroi vengono scoperti dagli orchi e quando ormai stanno per fuggire ecco giungere il Flagello di Durin: il Balrog, il fuoco distruttore.
Gandalf si oppone al Fuoco Distruttore, lui custode del Fuoco Segreto, della fiamma che riscalda ed aiuta il genere umano, su uno stretto ponte di pietra fa precipitare il Balrog nel baratro, ma con una ultima sferzata il nero nemico trascina Gandalf il grigio nelle profondità del mondo.
Racconterà poi Gandalf di essere precipitato per un tempo interminabile, di essersi quindi avvinghiato al suo nemico, che nel frattempo aveva perduto ogni calore e come un verme oscuro cercava di fuggire nelle nere gallerie, di aver visto esseri e cose inenarrabili alla luce del sole. Di essersi quasi perduto in quella buia oscurità, in una alchemica opera al nero, di essersi attaccato solo alla sua volontà ed alla certezza del suo essere, non avendo null'altro attorno a sé. Questa opera catartica è proseguita poi in una lenta risalita verso il mondo, come se si fosse liberato di tutte le scorie del suo esistere, in un bianco ritorno alla manifestazione, con lo sguardo ormai purificato, sempre avvinghiato al suo nemico che lentamente risaliva verso le gallerie scavate dai nani, per ascendere poi fino alle vette del mondo.
Narra sempre Gandalf di essere uscito sulla neve insieme al suo nemico di nuovo avvampante di fuoco nero e di averlo affrontato e finalmente distrutto grazie alla fiamma segreta in una ormai realizzata opera al rosso, lui Gandalf il Bianco, la rinnovata guida delle stirpi degli uomini liberi.
Gandalf il dio che, giunto nelle terre del mondo manifestato, ha avuto bisogno di un catartico rinnovamento e che narrò poi di essere rimasto, dopo il combattimento con il Balrog, sul tetto del mondo ad ascoltare il trascorrere delle esistenze, il nascere ed il morire degli esseri manifestati, fino a quando (anche questo simbolico) un'aquila non lo ha afferrato e, leggero come una piuma, non lo ha portato a Lorien per continuare a combattere contro l'Oscuro Signore.
La sua splendida avventura si conclude poi con il suo ritorno nelle Terre Imperiture, unico degli Istari, insieme agli ultimi Elfi ed a Frodo dalle nove dita, dopo aver contribuito alla distruzione dell'Anello dell'Oscuro Signore.
 
 
 
 
John Ronald Reuel TOLKIEN - un mito per il XX secolo
 
Era nato il Sud Africa nel lontano 1892, fece ben presto ritorno in Inghilterra con la madre ed il fratellino. Il babbo invece morì in quella lontana terra, pochi mesi dopo la loro partenza, senza riuscire a raggiungerli.
Con grandi sacrifici la madre riuscì per qualche anno ad allevarli entrambi, conobbero il collegio e la solitudine. Anche lei, in un grigio giorno inglese, li lasciò soli in questo mondo, affidandoli alle cure di Padre Francis.
Cattolici in un paese protestante, crebbero, pur non senza difficoltà, e trovarono una propria strada da seguire.
John Ronald Reuel Tolkien fin da bambino provò sempre un grande piacere nello scrivere storie e racconti, crebbe approfondendo e coltivando questa sua passione. I suoi studi gli servirono per conoscere in modo ancora più profondo le lingue, le parlate, gli idiomi di tutta Europa.
Professore di filologia germanica ad Oxford, teneva affollate lezioni declamando in antico norreno ed instillando nei giovani il suo amore per il mondo delle tradizioni.
Fu un grande conoscitore della mitologia europea e da questo suo grande amore un giorno sgorgò l'ispirazione.
A questo giunse dopo tutta un'esistenza dedicata a creare linguaggi, ad inventare terre e popoli con miti e storie di grande fascino.
Combatté nella prima guerra mondiale e, tornato dai pantani e dalle trincee del Continente, sposò il suo grande amore: Edith, che lo accompagnò poi per tutta la sua esistenza. Ebbe quattro figli e quando ancora non era lo scrittore affermato che fu a partire dalla seconda metà del secolo scorso, già scriveva racconti e narrava storie create, ideate per la sua giovane discendenza.
Ancora oggi si leggono le Lettere di Babbo Natale che ogni anno egli faceva recapitare a casa sua, inventandosi persino il francobollo del Polo Nord e dove raccontava le avventure e le vicissitudini del tanto amato Babbo grasso e pacioccone dalla lunga barba bianca. Raccontava gli scherzi degli Elfi e i danni causati dalla goffaggine dell'Orso Polare e per tanti, lunghi anni (fino a quando i suoi figli ebbero l'età per amare questo gioco) non ha mancato un appuntamento.
Ha sempre detestato la società industrializzata, le grandi e grigie fabbriche, il maglio meccanico e le possenti acciaierie che oscuravano il cielo con i loro fumi e minacciavano le nubi con le loro ciminiere, come adunche dita ammonitrici. Per lui tutto questo ha sempre rappresentato il simbolo di un potere maligno, che nasce dalla volontà di possesso ed allontana l'uomo dalla sensibilità, dall'amore, dalla creatività.
Il suo amore andava tutto ai grandi, poderosi, rugosi alberi, che avevano visto secoli di storia e dalle loro chiome sapevano stillare saggezza e serenità.
Seppe narrare il grande incanto della Terra di Mezzo, dove umani, nani, elfi ed orchi si sono scontrati, sono morti, hanno costruito e visto infrangersi i sogni di tutto un mondo.
Era un sub-creatore di mondi, che sapeva raccontare della nostra vita e delle nostre aspirazioni, degli ideali e della bassezze di un mondo moderno in cui riconoscersi e con cui misurarsi, ma soprattutto da combattere e vincere.
Da una mitologia per l'Inghilterra (questo era il suo progetto iniziale) seppe trovare l'ispirazione per creare un nuovo mito per il XX secolo e milioni di giovani ancora oggi sognano, amano e soffrono pensando agli eroi creati intorno alla malignità di un magico, Unico Anello.
John Ronald Reuel Tolkien si spense nel 1973, due anni dopo la sua amata Edith e sulle due lapidi ha fatto scrivere solo Beren e Luthien (due splendidi personaggi di un suo racconto), perché egli ormai, mano nella mano con lei, è entrato nella Terra di Mezzo e come un grande eroe della Terza Era ha sicuramente raggiunto le Terre Imperiture dove, per la gioia di dei ed elfi, canta le antiche gesta dei prodi guerrieri di un mondo sempre vivo nel cuore dell'Uomo.