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Perché negli Stati Uniti non c'è il socialismo? (estratti)

di Werner Sombart - 25/02/2007

Copertina
Autore Werner Sombart
Titolo Perché negli Stati Uniti con c'è il socialismo?
Edizione Bruno Mondadori, Milano, 2006, Sintesi , pag. 154, cop.fle., dim. 14,5x21x1,3 cm , Isbn 88-424-9289-2
Originale Warum gibt es in dem Vereinigten Staaten keinen Sozialismus? [1906]
Prefazione di Guido Martinotti
Traduttore Giuliano Geri
Lettore Giovanna Bacci, 2006
Classe paesi: USA , sociologia , politica
 






 

 

Indice

VII  Prefazione         E pluribus unum: America singolare       di Guido Martinotti        1  Premessa         Introduzione      3  Il capitalismo negli Stati Uniti   20  Il socialismo negli Stati Uniti         I. La posizione politica dell'operaio     35  1. Politica e razza   39  2. La macchina politica   45  3. Il monopolio dei due grandi partiti   57  4. L'insuccesso di tutti i partiti "terzi"   62  5. La natura intrinseca dei partiti dominanti   76  6. La posizione dell'operaio americano all'interno          dello Stato        II. La situazione economica dell'operaio     83  1. Uno sguardo d'insieme   86  2. Il reddito dell'operaio in America e in Europa   99  3. Il costo della vita al di qua e al di là dell'oceano  119  4. Come vive l'operaio  132  5. Tenore di vita e visione del mondo       III. La posizione sociale dell'operaio    137  1. L'impronta democratica della vita pubblica in America  140  2. Imprenditore e operaio  146  3. La fuga dell'operaio verso la libertà     

 

 

Premessa


Gli studi qui pubblicati sul movimento operaio e il socialismo negli Stati Uniti d'America sono apparsi per la prima volta – sostanzialmente nella stessa versione – nel XXI volume dell'"Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik". Al testo originario ho soltanto aggiunto alcuni dati nuovi e qualche ulteriore commento e spiegazione.

Mi sono deciso a pubblicarli in un'edizione speciale solo dopo aver acquisito la certezza che i tratti fondamentali della mia esposizione avevano colpito nel segno. A darmi questa certezza sono stati tuttavia gli esperti americani in materia: tanto i miei amici borghesi in America, i quali, dicendosi d'accordo con me, mi hanno manifestato il proprio consenso, quanto – cosa che mi pare ancor più preziosa – i dirigenti dei partiti socialisti, i quali hanno riconosciuto la correttezza del mio punto di vista: la "International Socialist Review", organo scientifico ufficiale del SP, ha addirittura presentato integralmente i miei saggi ai suoi lettori.

Questi studi possono servire da completamento ai capitoli del mio scritto Socialismo e movimento sociale nel quale (nell'ultima edizione) avevo già tentato di tratteggiare un breve schizzo del socialismo negli Stati Uniti.

Werner Sombart

Breslavia, 14 agosto 1906.

 
Introduzione


Il capitalismo negli Stati Uniti

Per il capitalismo gli Stati Uniti d'America sono la terra di Canaan: la terra promessa. Infatti, soltanto qui sono state soddisfatte tutte le condizioni di cui esso necessita per lo sviluppo pieno e totale della sua natura. Come in nessun altro luogo, Paese e popolo sono stati creati per promuovere insieme, nelle massime forme, la sua evoluzione.

Il Paese: adatto come nessun altro a rendere possibile una rapida accumulazione di capitale, perché ricco di metalli nobili: il Nordamerica produce un terzo di tutto l'argento, un quarto di tutto l'oro del Pianeta; perché ricco di terre fertili: la piana del Mississippi comprende distese feconde di humus pari all'incirca a cinque volte quelle dei distretti russo-meridionali e ungheresi di terra nera; perché ricco di abbondanti giacimenti di minerali preziosi, la cui estrazione è tre volte superiore a qualsiasi giacimento europeo. Perché anche adatto come nessun altro, per la formazione e per lo sviluppo della tecnica inorganica, a mettere in mano al capitalismo le armi con le quali esso va alla conquista del mondo: già in questo momento gli Stati Uniti producono tanto ferro grezzo quanto tutti gli altri paesi del Pianeta messi insieme (23 milioni di tonnellate nel 1905, contro una produzione di 29,5 milioni di tonnellate degli altri Paesi). Un Paese adatto come nessun altro all'espansione capitalistica: la piana del Mississippi si presta a una coltivazione "razionale" del suolo, a un incremento illimitato dei traffici: un territorio di 3,8 milioni di chilometri quadrati, quindi approssimativamente grande sette volte l'Impero tedesco, senza nessun "ostacolo ai traffici", dotato per giunta di alcune vie naturali di trasporto. Lungo la costa atlantica, 55 porti attendevano da migliaia di anni lo sfruttamento capitalistico. Dunque un'area di mercato il cui paragone con uno Stato europeo avrebbe lo stesso significato del confronto tra il territorio di quest'ultimo e una città medievale. Aspetto che contraddistingue tutta l'economia capitalistica nella sua più intima essenza: l'aspirazione a un'estensione senza limiti — un'aspirazione che nella ristretta Europa si è vista contrastata in ogni momento, un'aspirazione rispetto alla quale ogni dottrina del libero scambio e ogni politica commerciale tra gli Stati dovevano pur sempre apparire come un misero surrogato — aspirazione che qui, nelle sterminate pianure del Nordamerica, per la prima volta può esprimersi liberamente. In realtà, se si volesse costruire il Paese ideale per lo sviluppo capitalistico, partendo dalle necessità di questo sistema economico, esso potrebbe assumere, per estensione e caratteristiche, sempre e soltanto la forma degli Stati Uniti.

Il popolo: come in un consapevole tirocinio, per secoli sono andati formandosi gli uomini che nelle ultime generazioni sarebbero stati destinati a spianare, nella foresta vergine, la strada al capitalismo. "Non ne vogliamo più sapere dell'Europa", così essi attraversarono l'oceano alla volta del "nuovo mondo", con la volontà di costruirsi una nuova vita a partire da elementi puramente razionali: avevano lasciato dietro di sé, nella vecchia terra natale, ogni zavorra dello spirito europeo, ogni superfluo romanticismo e sentimentalismo, ogni idea feudale-artigianale, ogni forma di "tradizionalismo" portando con sé, laggiù, solo ciò che sarebbe stato utile allo sviluppo dell'economia capitalistica: un potente, indomito dinamismo e una visione del mondo che, allo stesso modo del comandamento divino per il credente, trasformava in un dovere l'agire nello spirito del capitalismo. Nella nostra rivista Max Weber ha dimostrato quali dirette implicazioni esistano tra i postulati dell'etica puritana-protestante e le pretese dell'economia razionale-capitalistica. E a questi elementi guida, ai soggetti del nuovo sistema economico, si offrì anche come oggetto, cioè come forza lavoro salariata, una popolazione che sembrava altrettanto creata per portare il capitalismo al massimo sviluppo: per secoli, la materia prima operaia fu scarsa e per questo motivo dispendiosa. Cosa che costrinse gli imprenditori a pensare a un impiego della forza lavoro il più possibile razionale, quindi a dare una forma compiuta alle loro aziende e a organizzare le rispettive amministrazioni, e pertanto a pensare sistematicamente a come rendere superflua la forza lavoro mediante la labour-saving-machinery. Ne derivò così la necessità di una massima perfezione tecnica, quale mai sarebbe potuta emergere, con analoga forza, in un Paese di più antica cultura. E non appena si crearono le condizioni per realizzare le più elevate forme di organizzazione tecnica ed economica, allora si riversarono laggiù, in sterminate schiere, gli uomini che potevano essere impiegati come materiale al servizio degli interessi capitalistici, nella stessa misura in cui si riducevano le possibilità di esistenza al di fuori del sistema capitalistico. È risaputo che negli ultimi decenni, ogni anno almeno mezzo milione di persone sono emigrate negli Stati Uniti e che, in alcuni anni, il numero degli emigranti è salito a oltre settecentocinquantamila unità.

E infatti: in nessun altro luogo del Pianeta l'economia capitalistica e l'essenza stessa del capitalismo hanno raggiunto un così alto livello di sviluppo come nel Nordamerica.

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A chi si trovi a esaminare la natura e le caratteristiche di questa anima del popolo, è impossibile non cogliere che proprio i tratti tipici comuni hanno la loro radice nell'organizzazione capitalistica della vita economica. Voglio provare a rendere credibile e convincente questa tesi.

Senza alcun dubbio e in misura da tutti riconosciuta, la vita in un sistema capitalistico abitua lo spirito a far sì che la forzata tendenza a ridurre ogni possibile evento al denaro e alla sfera economica mediante la sua stessa organizzazione, si imponga anche nei rapporti extraeconomici; questo significa, in particolare, assumere il valore monetario come unità di misura per la valutazione di uomini e cose. È chiaro che quando un tale procedimento viene adottato e seguito per intere generazioni, finisce per perdere progressivamente consistenza la percezione del valore in termini meramente qualitativi. Rispetto alle cose si perde così il senso del bello in sé, della perfezione formale, cioè dell'elemento specificamente artistico, insomma di tutto ciò che non è quantitativamente determinabile, né misurabile, né pesabile. Tutte le cose a cui si vuole attribuire un valore si pretende siano o utili o piacevoli (così si spiega il desiderio di "comfort") oppure "costose" (il desiderio della cosa materialmente preziosa si spiega in questi termini: tutto ciò che negli Stati Uniti è decorato, è "sovraccarico", dalla toeletta per signora al salone di ricevimento di un hotel à la mode). Se la "costosità" non può essere resa visibile, allora, senza troppi giri di parole, si antepone all'oggetto "apprezzato" il corrispondente valore in denaro: «Lei ha già visto il Rembrandt da 50.000 dollari in casa del signor X?», si sente spesso domandare. «Stamane è giunto in porto lo yacht da 500.000 dollari di Carnegie» (notizia di giornale) e così via. Per le persone, naturalmente, è il possesso di denaro, quello che si guadagna a costituire il criterio di valutazione. Perde ogni senso la non misurabile unicità della personalità, svanisce il profumo dell'individuale.

Ora, però, la conseguenza inevitabile di quest'abitudine ad annullare tutte le qualità riportandole a un misurabile valore monetario è che essa influenza il giudizio di valore anche là dove, nonostante tutta la buona volontà, non è più possibile servirsi del denaro come metro di giudizio. È questa stessa abitudine a un'alta considerazione della quantità in sé, pertanto una direzione di senso che è l'elemento distintivo dell'anima americana, quello che il prudente Bryce definisce "a tendency to mistake bigness for greatness": l'ammirazione di ogni grandezza misurabile o pesabile, sia essa il numero degli abitanti di una città, il numero di pacchi postali spediti, la velocità delle ferrovie, l'altezza di un monumento, l'ampiezza di un fiume, la frequenza dei suicidi o qualsiasi altro dato. Questa "mania di grandezza", così tipica dell'americano moderno, si è voluta far derivare dalla vastità del suo Paese. Ma allora perché il cinese non ce l'ha? O allo stesso modo non ce l'ha il mongolo dell'altopiano asiatico? Perché non l'aveva l'indiano, che pure viveva nello stesso vasto Paese? Vorrei dire che presso tali popoli primitivi, ovunque si sviluppino idee di grandezza, esse portano con sé un carattere cosmico: sono ispirate all'infinito della volta celeste, alla vastità della steppa e ciò che le contraddistingue è proprio la loro incommensurabilità. La valutazione della grandezza in termini puramente numerici significa null'altro che poter radicare nell'anima umana la tendenza a considerare la mediazione del denaro secondo la logica capitalistica (e non del denaro in sé: l'errore di Simmel!). Le grandi dimensioni del paese americano hanno certamente stimolato questa tendenza, tuttavia era necessario innanzitutto evocare il senso stesso di numero, di grandezza numerica, prima che fosse possibile trasformare immagini geografiche in valori e grandezze numericamente intelligibili.

Chi è abituato a prendere in considerazione esclusivamente l'aspetto quantitativo di un fenomeno, è propenso a comparare tra loro due fenomeni per commisurarli e attribuire quindi al più grande il valore più alto. Quando uno dei due fenomeni, in un determinato periodo di tempo, diventa più grande, diciamo che ha avuto successo. Il senso di grandezza misurabile (purtroppo nella nostra lingua non si possono rendere in un'unica parola i termini bigness e greatness) prevede quindi come necessaria implicazione l' alta considerazione del successo: questa è un'altra caratteristica tipica della mentalità del popolo americano. Avere successo significa sempre precedere gli altri, diventare qualcosa "di più", offrire prestazioni maggiori, avere qualcosa "di più" degli altri: essere "più grande". È naturalmente apprezzata al massimo quella particolare forma di successo che può essere espressa in pure cifre: cioè il diventare ricchi. Anche chi non lavora nel commercio verrà valutato a partire da "quanto" ha saputo ricavare dal suo talento. Nel caso in cui questo tipo di valutazione non dia alcun risultato soddisfacente, non resta altra via d'uscita che ridurre la "grandezza" della sua fama al suo valore misurabile.

Per comprendere meglio di quale peculiare processo mentale qui si tratti, risulta assai significativo il ruolo che ha lo sport tra gli americani: a loro interessa solo e soltanto una domanda: chi sarà il vincitore? A New York ho assistito a un raduno di massa, nel quale si seguiva nel suo svolgimento, passo dopo passo, un match che veniva disputato a Chicago(!) e trasmesso via telegrafo alla folla in preda all'ansia. L'effetto sensazionale era tutto concentrato nella tensione, e soltanto in questa, cioè sapere a chi sarebbe andata la vittoria. Per alimentare questa tensione, entra in gioco la scommessa: con essa si arriva di nuovo a ridurre, a furor di popolo, il gesto sportivo a una pura quantità di denaro. È possibile immaginare un giro di scommesse in una palestra greca? Sicuramente no. Infatti ciò che là rallegrava gli animi era prima di ogni altra cosa la gioia legata alla prestazione individuale, di per sé non misurabile, la bellezza e la forza della persona, che potevano essere apprezzate tanto nel vincitore quanto nel vinto. Sarebbe pensabile la scommessa in una corrida spagnola? Certo che no. Le donne, infatti, gettano i loro gioielli e gli uomini i loro più preziosi capi di abbigliamento al torero che ha saputo accompagnare il colpo mortale con eleganza e grandezza: valutazione artistica!

Ora però, la natura dei giudizi di valore determina la direzione della volontà. Se è il successo il dio davanti al quale l'americano recita le sue preghiere, allora la sua massima aspirazione sarà quella di condurre una vita gradita al suo dio. Così, in ogni americano — a cominciare dallo strillone che vende i giornali per strada — cogliamo un'irrequietezza, una brama e una smaniosa proiezione verso l'alto e al di sopra degli altri. Non il piacere di godere appieno della vita, non la bella armonia di una personalità equilibrata possono dunque essere l'ideale di vita dell'americano, piuttosto questo continuo "andare in avanti". E di conseguenza la foga, l'incessante aspirazione, la sfrenata concorrenza in ogni campo. Infatti, quando un individuo insegue il successo, deve costantemente tendere al superamento degli altri; inizia così una steeple chase, una corsa a ostacoli, che siamo soliti esprimere, in un modo un poco più grossolano, come una steeple chase distinta da tutte le altre gare per il fatto che l'obiettivo non è fissato, ma consiste nello spingersi perennemente davanti agli altri corridori. Abbiamo definito "incessante" una tale aspirazione, ma "senza fine" sarebbe forse ancor più appropriato. Infatti, ogni aspirazione verso la quantità deve per forza essere senza fine, dal momento che essa stessa non ha alcun limite.

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Il socialismo negli Stati Uniti

Quanto ho avuto modo di esporre nelle pagine precedenti non aveva affatto lo scopo di dare una descrizione a grandi linee dell'economia politica americana (a questo proposito, spero di averne l'occasione in altri studi) tanto meno della civiltà americana, così come non volevo neppure tentare di offrire una rappresentazione completa di quello che è il carattere del popolo americano. Per l'approfondimento di ciascuno di questi temi sarebbero naturalmente necessari ben più ampi fondamenti. Piuttosto, l'unico scopo di quelle righe era indicare le prove indiziarie dell'esistenza negli Stati Uniti di un capitalismo dallo sviluppo straordinariamente elevato. Spero di essere riuscito in questo tentativo, anche se il "bravo lettore" non è stato disposto a seguirmi in tutte le mie divagazioni.

A sua volta, questo tentativo deve servire solo come punto di partenza per alcune considerazioni che intendo avanzare sul proletariato americano. Dal momento che siamo consapevoli che la condizione dei lavoratori salariati dipende dalla peculiare natura dello sviluppo capitalistico, e che in particolare abbiamo imparato a cogliere l'origine di ogni "movimento sociale" nelle condizioni create dal capitalismo, e inoltre che ogni "moderno socialismo" è soltanto un fenomeno speculare del capitalismo, è inevitabile partire da una considerazione generale sulla situazione economica se vogliamo procurarci tutte le informazioni necessarie a chiarire le condizioni di esistenza del proletariato in un determinato Paese. Questo procedimento si rivela di particolare efficacia nel caso degli Stati Uniti. Su questa via perveniamo infatti nel migliore dei modi a una chiara impostazione del problema senza correre il rischio di scrivere senza alcun criterio de omnibus rebus et quibusdam aliis.

Se davvero (come io stesso ho sempre ritenuto e spesso dichiarato) il moderno socialismo deriva dal capitalismo, come una reazione necessaria, allora il Paese dal più alto sviluppo capitalistico — appunto gli Stati Uniti — dovrebbe essere, allo stesso tempo, anche la classica terra del socialismo, il Paese in cui le forze lavoratrici si trovano a rappresentare il movimento socialista nelle sue forme più radicali. Invece si sente affermare un po' ovunque e in tutti i toni e le sfumature possibili (con il lamento dei socialisti e l'esultanza dei loro avversari) proprio il contrario: tra il ceto operaio americano non si sarebbe diffuso alcun "socialismo" e gli unici là a essere "socialisti" non sarebbero altro che un paio di tedeschi falliti, senza alcun seguito. Questa è un'affermazione che deve suscitare il nostro più vivo interesse. Siamo in presenza finalmente di un Paese senza socialismo, nonostante sia la sede del più alto sviluppo capitalistico! La dottrina dell'inevitabilità di un avvenire socialista contraddetta dalla realtà! Per i teorici della società e i politici non può esserci nulla di più importante che andare alla radice di questo fenomeno.

Dobbiamo innanzitutto porci una domanda: l'affermazione secondo la quale negli Stati Uniti non ci sarebbe "alcun socialismo", in particolare alcun socialismo "americano", è effettivamente corretta? In realtà, formulata in termini così assoluti, è senza dubbio falsa.

Prima di tutto esiste uno o, più esattamente, esistono due partiti socialdemocratici, intesi in senso strettamente europeo-continentale, i quali non sono affatto sostenuti soltanto dai tedeschi. Al congresso che ha sancito l'unificazione del Partito socialista, nel 1901 a Indianapolis, dei 124 delegati solo 25, quindi circa il 20%, erano nati all'estero. Alle ultime elezioni presidenziali questo partito ha ottenuto 403.338 voti, ai quali sono da aggiungere i circa 50.000 voti del socialista Labor Party, cosicché negli Stati Uniti sono stati espressi nel 1904 all'incirca tanti voti socialdemocratici quanti ne furono espressi da noi nel 1878 oppure quanti, nelle ultime elezioni per il rinnovo del Reichstag, ne sono stati espressi a favore dell'Unione liberale (Freisinnige Vereinigung) e degli antisemiti messi insieme. Tuttavia non c'è dubbio che il numero complessivo dei voti socialisti (per motivi che più avanti saranno illustrati) rappresenta in America soltanto una minima parte dei lavoratori professanti idee socialiste. Al contrario della Germania, il loro numero è di gran lunga superiore a quello dei voti espressi alle elezioni.

Nonostante questo non può essere messo in discussione il fatto che l'affermazione secondo la quale "le forze operaie americane sono estranee al socialismo", in larga parte risponda a verità.

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5. Tenore di vita e visione del mondo


Sarebbe un azzardo voler dimostrare in dettaglio gli effetti che un tenore di vita così diversamente caratterizzato come quello dell'operaio americano, esercita sul sentire sociale. Lascio agli specialisti di filosofia della nutrizione il compito di scoprire i legami esistenti tra il sentimento antisocialista dell'operaio americano e la sua alimentazione prevalentemente a base di carne e di pudding oppure la sua moderazione con le bevande alcoliche. Fanatici dell'astinenza favorevoli al capitalismo saranno disposti a individuare una stretta relazione tra il veleno dell'alcol e il veleno del socialismo. Ma lasciamo perdere.

Per quanto è sicuro, l'operaio americano ha condizioni di vita confortevoli. In genere non conosce abitazioni misere e opprimenti, non si rintana in birreria perché la sua non è una casa ma uno "stanzone" – come accade spesso all'operaio delle grandi città dell'Europa continentale – piuttosto può dare libero spazio e piena forma a quei sentimenti sottilmente egoistici, quali vengono a svilupparsi dalla propensione a una comoda vita domestica. È ben nutrito e non conosce i malesseri che l'incrocio tra patate e alcol alla lunga finisce per causare. Lui si veste come un gentleman e lei come una lady e così anche esteriormente non si accorgono della distanza che li separa dalla classe dominante. Nessuna meraviglia dunque se in una tale situazione è difficile si annidino nel cuore dell'operaio frustrazione e scontento nei confronti dell'"ordine sociale dominante". Soprattutto se quell'accettabile, anzi favorevole tenore di vita gli viene assicurato nel tempo. Cosa che finora non è stata mai messa in dubbio. Non dobbiamo mai dimenticarci infatti quale costante sviluppo abbia assunto lo "slancio economico" negli Stati Uniti – se si eccettuano brevi interruzioni – nel corso delle due ultime generazioni, nelle quali pure il socialismo avrebbe potuto mettere benissimo radici. Evidentemente non a dispetto del capitalismo, ma grazie a esso.

Uno sguardo a dati statistici del tutto generali è sufficiente ad allontanare ogni dubbio sulla realtà di questo "slancio" (lo sanno tutti, anche i muri, compresi i consiglieri commerciali). Queste sono le cifre relative all'industria, al commercio e ai trasporti:

________________________________________________________          numero dei       totale dei  anno    lavoratori      salari pagati      salario medio    1850      957.059     236.755.464 dollari   247 dollari  1870    2.053.996     775.584.343 dollari   387 dollari  1890    4.251.535   1.891.209.696 dollari   445 dollari  ________________________________________________________  


Nella misura in cui le condizioni materiali di esistenza del lavoratore salariato miglioravano, nella misura in cui il suo tenore di vita cresceva e una certa agiatezza gli consentiva di coltivare le tentazioni della dissolutezza materialistica, egli doveva imparare ad amare quel sistema economico determinante per le sue stesse sorti, doveva imparare lentamente a includere il suo spirito nel peculiare meccanismo dell'economia capitalistica e doveva infine cadere egli stesso vittima di quella magia che la rapidità delle trasformazioni e la crescente forza delle grandezze misurabili, in quest'epoca strana e meravigliosa al tempo stesso, esercitavano irresistibilmente su ognuno. Un tocco di patriottismo – l'orgogliosa consapevolezza che gli Stati Uniti precedevano tutti gli altri popoli nel cammino verso il "progresso" (capitalistico) – rinvigoriva il suo carattere spregiudicato, la passione per il business e lo rendeva quell'uomo d'affari freddo, calcolatore, privo di ideali, quale oggi lo conosciamo. Davanti al roastbeef e all' apple-pie tutte le utopie socialiste andarono in rovina.

Tuttavia, al fatto che l'operaio potesse rinfrancarsi con tutte queste belle cose doveva aggiungersi una serie di altre circostanze che favorissero ulteriormente questo processo. Voglio dire: anche il suo tenore di vita "ideale" doveva essere confortevole. Su questo aspetto le pagine seguenti saranno di chiarimento.

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1. L'impronta democratica della vita pubblica in America


Non solo la posizione dell'operaio americano rispetto ai beni materiali, al concreto tenore di vita, è di gran lunga più favorevole di quella del suo compagno europeo: anche le relazioni con le altre persone e con le istituzioni sociali, la sua posizione nella società e nei confronti della società, ciò che definisco in breve la sua "posizione sociale", si differenziano, a suo vantaggio, dagli standard europei. Per lui "libertà" e "uguaglianza" (non solo in senso politico-formale, ma anche sociale e materiale) non sono concetti vuoti, vaghe aspirazioni, come per il proletariato europeo, ma in buona parte realtà compiute. La sua migliore situazione dal punto di vista sociale è per così dire la risultante della sua posizione politica e della sua condizione economica: una Costituzione radicalmente democratica e un alto tenore di vita, una popolazione coloniale e priva di storia, che in fin dei conti era ed è tuttora composta esclusivamente da "immigrati", nella quale è assente ogni forma di tradizione feudale (con l'eccezione di alcuni stati schiavisti del Sud).

Purtroppo la particolare posizione sociale dell'operaio non può essere determinata in maniera così precisa e metodica – prendendo in esame articoli di legge o con il conforto di dati quantitativi – come la sua posizione politica o condizione economica. Le prove e le argomentazioni a sostegno devono basarsi in parte su sentimenti, limitarsi all'analisi di particolari sintomi, non sottovalutare alcuni dettagli e tuttavia, nel loro insieme, rimarranno sempre carenti. Allora sarà l'impressione generale a intervenire laddove l'esatta adduzione di prove e argomentazioni non ha saputo delineare una prospettiva definita.

Chiunque abbia mai osservato, anche solo di sfuggita, operaie e operai americani nella loro vita privata, fuori dalla fabbrica o dall'officina, si sarà accorto, sin dal primo sguardo, che si tratta di un genere di individui essenzialmente diverso dal nostro. Abbiamo già visto quanto sia chic e quanto spesso si vesta con eleganza l'operaio e specialmente con quale abbigliamento si rechino al loro posto di lavoro le operaie. Il loro aspetto, il loro modo di presentarsi fanno sì che per strada siano dei "borghesi": working-gentlemen e working-ladies. Dal punto di vista puramente esteriore manca del tutto l'impronta di una classe sociale distinta dalle altre, come è riscontrabile in tutti gli operai europei. Anche nel comportamento, nello sguardo, nella maniera di intrattenersi l'operaio americano si distingue inequivocabilmente da quello europeo. Egli ha un portamento eretto, cammina a testa alta e a passo sciolto, e l'espressione del volto lieta e spensierata come fosse un qualsiasi borghese. Non mostra quel senso di oppressione, di sottomissione. Intrattiene rapporti con ognuno come se fosse realmente — non solo in teoria — un suo "pari". Il dirigente sindacale che prende parte a un banchetto, si comporta in società in modo altrettanto disinvolto e sicuro di quanto lo sia in Germania una qualsiasi personalità. Arriva anche a indossare frac di eccellente fattura, stivaletti di vernice, camicie eleganti all'ultima moda, al punto che anche esteriormente nessuno è in grado di distinguerlo dal presidente della Repubblica.

L'inchino e le varie forme di ossequio alle "classi superiori", che in Europa colpiscono così immediatamente e negativamente, là sono del tutto sconosciuti. A nessun cameriere, a nessun manovratore di tram, a nessun tutore dell'ordine verrà in mente di modificare il proprio comportamento se di fronte ha un "semplice operaio" oppure il governatore della Pennsylvania. Per entrambi — per chi si comporta in questo modo, così come per colui al quale è rivolto questo comportamento — soprattutto se fanno parte della popolazione più povera, questo è un beneficio anche per la spina dorsale...

Tutta la vita pubblica è caratterizzata da un'impostazione e uno stile più democratici. All'operaio non viene messo sotto gli occhi in ogni momento il fatto che appartiene a una classe "inferiore". Caratteristico è che su tutti i treni esista un'unica classe (soltanto di recente si è cominciato a introdurre una differenza di classe sui pullman cars).

Anche lo stesso orgoglio di classe è meno diffuso negli Stati Uniti di quanto lo sia in Europa, in particolare da noi in Germania. Poiché non è ciò che si è, e ancor meno ciò che erano i genitori, a determinare il valore del singolo individuo, ma ciò che si fa; così è scontato considerare il "lavoro", nella sua forma astratta, semplicemente come "lavoro" e farne in sé un titolo onorifico, rivolgendosi di conseguenza sempre con rispetto all'"operaio", "nonostante" — o proprio perché — egli sia soltanto un operaio. Il quale, perciò, si sente naturalmente diverso dal suo collega che vive in un Paese nel quale si comincia a essere persone soltanto se si è ufficiali della riserva, se si è dottori, se si è assessori, se non addirittura quando si è baroni.

In virtù della Costituzione democratica, del livello generale di formazione e istruzione, e del più elevato tenore di vita dell'operaio, la minore distanza sociale tra i singoli strati della popolazione tende quindi, proprio per le usanze sociali e le concezioni appena descritte, a ridursi ancora di più, nella coscienza delle diverse classi, di quanto lo sia in realtà.