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Il vero Nietzsche è quello con testo a fronte

di Mario Bernardi Guardi - 28/02/2007

Fonte: Libero

 
 
All'insegna del rigore filologico e della passione intellettuale, le Edizioni di Ar hanno inaugurato tra anni fa una collana di studi nietzscheani: "Alter Ego". Proponendo come cartello di sfida alle pavide vulgate accademiche uno dei libri più terribili del Distruttore: "L'Anticristiano". Perché l'intenzione era - e resta - quella di restituire Nietzsche a se stesso, dunque allo scandalo del suo radicalismo aristocratico, sottraendolo ad ogni mascheramento democratico-progressista. Francamente molto più ridicolo e improbabile di quello nazi, con Friedrich, riveduto e corretto dalla sorella Elisabeth, in divisa da SS, o quasi. D'altra parte è vero che dopo la morte e il seppellimento di Marx, l' "intellighentsia" aveva fatto ricorso ad appropriazioni indebite: e così negli anni '70 e '80 si era messa a razzolare in orti non suoi, utilizzando, in maniera impropria l'edizione critica curata da Giorgio Colli e Mazzino Montinari per Adelphi.

Quanto ad Ar, ecco due novità fresche di stampa: "Lo stato dei Greci. L'Agòne omerico" (pp. 80, euro 11) e "Ditirambi di Dioniso. Idilli di Messina" (pp. 94, euro 13). Lo stile editoriale è quello di sempre: sobria eleganza grafica e accurata traduzione (testo tedesco a fronte: finalmente!). E allora guardiamolo bene in faccia il nostro giovane Friedrich, docente all'Università di Basilea. E cioè il Nietzsche del 1873: professore, 29 anni, grande amicizia con Richard e Cosima Wagner. Due anni prima ha dedicato al maestro "La nascita della tragedia", un saggio in cui la filologia diventa materia viva, scoperta di quel mondo attraverso le categorie dell' "apollineo" e del "dionisiaco". Contrastanti nel mito, ma complici nella tragedia, dove si rappresenta il mistero dell'esistenza, effimera e terribile. Nello "Stato dei Greci" e nell' "L'Agòne  omerico" vengono ripresi questi temi: il mondo è un groviglio di lotte e di tensioni; il lavoro è pena, vergogna, necessità; la religione e la poesia sono la forma in cui l'orrore dell'esistenza si scioglie; l'arte e la filosofia costituiscono l'imperitura gloria dei Greci. Ma a garantire la bellezza presso gli Elleni è la forza dello Stato: quello che vede la maggioranza degli uomini sottoposti alla sovranità di un «piccolo numero di esseri olimpici». I conquistatori e i tiranni fondano l'ordine su una politica di potenza e ne sono tutori attraverso la schiavitù. Ed è davvero "scandaloso" il Nietzsche che proclama: attenzione, quello che i moralisti moderni aborrono - la guerra e la sopraffazione, il superbo dominio aristocratico e la schiavitù - rende possibile l'arte e lo sviluppo del pensiero. E dunque è meglio accettare la «naturale crudeltà delle cose» e «l'istinto agonale della vita», tipico della cultura omerica, piuttosto che precipitare nell'«infrollimento» della decadenza e dei «diritti umani».

Più che mai "provocatore" è anche il Nietzsche degli "Idilli di Mesina" (1882)  dei "Ditirambi di Dioniso" (1889). La follia è in agguato, la sua mente invasa da mille suggestioni. Le malattie lo perseguitano, la vita, che canta e ama, sembra schiacciarlo. La poesia è anche la forma alta di una tragedia individuale. Spirito libero, gioioso e disperato, canta la solitudine del suo "rango". Dunque la sua "eccellenza": «Tu che mirasti nell'uomo / sia il Dio, sia la pecora - lacerare il Dio nell'uomo / come nell'uomo la pecora / e lacerando ridere / questa, questa la tua beatitudine, / beatitudine di pantera e aquila, / beatitudine di poeta e folle!...».

"Libero" - 28 febbraio 2007