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Rifondazione e le Tenebre dell'Avvenire

di Miguel Martinez - 28/02/2007

 

Genseki, che ha un blog di grande bellezza, ha scritto l'altro giorno un commento su questo blog:

"Io in Rifondazione ci ho militato, ahimé per un paio di anni, dopo il mio ritorno dall'Africa dove girovagavo per Moschee e Tariche e in conseguenza del mio ingresso come carnaccia in una Fabbrica Torinese.

Subito sono stato definito trozkysta! Boh! Nelle riunioni della segreteria regionale della mia Provincia marittima volavano sedie e improperi di una violenza che sfiorava il grottesco. Io non ho mai visto in vita mia tanta gente tanto furiosa per un tempo tanto prolungato; io non ho mai visto tanta gente tanto ostinatamente rabbiosa in vita mia.

Cappelloni non l'ho conosciuto però ho ascoltato irose sfuriate di un nutrito manipolo di simpatici dirigenti confluiti ora dappertutto sul sacro dovere dell'unità di Partito e di disprezzo per i porci scissionisti trozkoni.

Fu un piccolo incubo! Poi durante un congresso mi sono svegliato, ho mollato e sono andato in Francia a cucinare Moules Frites. Il post mi ha fatto ririsvegliare. "

Genseki mi ha fatto venire in mente le due volte che ho sfiorato Rifondazione Comunista.

Pur non essendo un appassionato dei gruppi politici, cominciai a frequentare Democrazia Proletaria di Verona ai tempi della guerra del Kuwait, senza mai prendere la tessera.

Era un piccolo gruppo di soli uomini, per la maggior parte ferrovieri, con qualche operaio di fabbrica.

Ho un ottimo ricordo di tutti, in particolare del segretario, Flavio Savoldi, ma anche di due fratelli operai, che contenevano in sé una quantità di mondi. Erano per metà sardi e per metà rumeni. Conoscevano intimamente il mondo e la dignità sarda, ma sapevano anche molto sulla storia nascosta di quello che, allora, era un paese balcanico davvero misterioso.

Raccontavano così la vita dei pastori dell'interno della Sardegna o storie della Guardia di ferro rumena, e poi parlavano della violenza della fabbrica italiana, della spietatezza con cui gli esseri umani venivano trasformati in ingranaggi in totale balia dei loro sfruttatori.

E infine del giorno glorioso in cui presero il padrone per i piedi e lo fecero penzolare fuori dalla finestra del suo ufficio.

A uno di loro, avevano offerto cento milioni di lire perché si licenziasse, e non aveva accettato.

I due fratelli, come del resto anche gli altri compagni del gruppo, passavano ogni momento libero, o a leggere o a discutere, in una sorta di incessante dialogo sul senso delle cose: menti che non stavano mai ferme, sempre curiose di capire e, per quanto il marxismo tenda a formare una griglia in cui tutto ricade un po' troppo comodamente, sempre disposte ad ascoltare.

Non c'era affatto uno spirito settario; però c'era un senso molto semplice e contadino di condivisione delle cose.

Un mondo antico, maschio ed europeo, fatto di radici neolitiche, di un odio profondo per l'usura e i sanguisughe, con un pensiero insieme razionale e un po' mistico.

Qualcosa di totalmente estraneo ai ritmi sincopati, alle seduzioni, alla mancanza di sequenzialità, all'assenza di rapporti umani, alla bolla virtuale dei nostri tempi: non a caso, nemmeno uno dei compagni del gruppo capiva l'inglese.

Da lì, forse, mi è nata la strana idea che il comunismo reale, quell'immenso movimento a cui hanno partecipato centinaia di milioni di persone nel Novecento, sia stato in realtà una rivolta di tutte le cose più antiche e sane del mondo, contro le Tenebre dell'Avvenire che avanzavano, e che oggi trionfano senza freni.

Insomma, proprio il contrario di come i comunisti stessi si sono raccontati la storia.

Pochi mesi dopo che avevo iniziato a frequentarli, entrarono nella nascente Rifondazione Comunista, che a me interessava poco.

Circa una volta ogni due mesi, venivano espulsi in blocco dal partito, per decisione di un gruppo di anziani provenienti dal PCI.

Poi venivano reintegrati nel partito con decisioni a livello regionale, che venivano poi contestate furiosamente dal gruppo degli espulsori.

Non mi chiedete perché succedeva tutto questo. O forse non c'era un perché, anche se sono sicuro che questo non-perché veniva motivato con documenti lunghissimi, dove si discuteva su ogni virgola, battendo i pugni sul tavolo, con vigorose bestemmie in veneto.

Alcuni anni dopo, seconda esperienza di Rifondazione.

In una cittadina romagnola, leggo un manifestino che dice che ci sarà una riunione di Rifondazione in un centro sociale: "centro sociale", nel dialetto locale, indica un posto, pulitissimo, con le luci al neon, dove gli umarell  si ritrovano per giocare a bocce d'estate e a carte d'inverno, maledicendo Berlusconi e i ladri di biciclette.

All'ingresso del centro sociale, incontro una pittrice, militante di Rifondazione, che mi racconta di sua madre, partigiana e dirigente del PCI, e di suo padre, ex-combattente della Repubblica sociale e autore di un poema epico, mai pubblicato, di seicento pagine manoscritte in onore del Duce.

Entro nella sala.

Schierati lungo il muro, stanno seduti una decina di anziani, assolutamente muti.

Poi, a distanza di diversi metri e senza nemmeno guardare gli anziani, ci sono sette o otto persone (relativamente) più giovani.

Il Compagno Franco, che ogni mattina si sobbarca la fatica di mettere il giornale di partito nella bacheca in piazza e poi di aprire la sede, si lamenta per un problema di copie della chiave. Ma "lamentarsi" non è il termine preciso per descrivere la scenata astiosa che fa, o la ferocia con cui controbattono quelli che la pensano diversamente a proposito di quella chiave.

Nasce poi una discussione tra il segretario di Rifondazione, che è veramente giovane, e un altro militante.

Evidentemente riprendono una vecchia lite, fatto sta che il militante, urlando, minaccia il segretario, il quale risponde, in tutta serietà, sfidandolo a duello. No, non "vediamoci fuori che ti spacco la faccia". Proprio una sfida a duello. Ecco, ho frequentato gente di ogni sorta, ma questa non mi era mai capitata prima.

La riunione sta per finire, un paio di ore e molte sigarette dopo, i convenuti si stanno alzando per andare via, quando uno degli anziani schierati lungo il muro alza timidamente la mano e chiede, "scusi, potremmo parlare adesso della gita a Rimini?"

Quella sera, mi accompagnò a casa il segretario della sezione. Era un lombardo, piuttosto giovane, figlio di un industriale che si era trasferito in Romagna. Era diventato segretario di una sezione del PCI della città.

"Sai che all'inizio mi hanno messo l'interprete, perché la gente parlava solo in romagnolo durante le riunioni? Dopo, tutti hanno preso l'abitudine di fare i loro discorsi, prima in romagnolo, poi se li traducevano da soli in italiano per me".

"E come ti trovi qui?"

"Male. A me la cosa che piace di più è fare il tiro a segno e occuparmi di sicurezza. Vorrei diventare la guardia del corpo di Bertinotti".