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Antropologia e conoscenza mistica: i sensi spirituali

di Pasquale Rotunno - 01/03/2007




La riflessione filosofica sulle caratteristiche del corpo in se stesso (proprietà biologiche, meccaniche e fisiche) è stata progressivamente assunta nel pensiero scientifico; la riflessione sui rapporti tra corpo e anima copre invece l’intero arco della storia della filosofia. Nella filosofia antica e medievale questa relazione è stata interpretata secondo due direzioni principali. La prima, di ascendenza orfico-pitagorica, vede nel corpo un’entità radicalmente eterogenea e separata rispetto all’anima. A tale concezione s’ispira Platone quando sostiene, nel “Fedone”, che il corpo è la tomba dell’anima, cioè un ente corruttibile e mortale di cui l’anima, caduta dal suo stato meramente intellettuale ed eterno, sarebbe prigioniera. Alla dottrina platonica si connettono sia la patristica (Origene) sia la prima scolastica (Scoto Eriugena).
La seconda prospettiva è quella elaborata da Aristotele, per il quale corpo e anima non sono due sostanze separate, ma elementi separabili di un’unica sostanza. Il corpo propriamente detto è la materia intesa come potenzialità, l’anima è la forma in quanto attualità. Come potenzialità, il corpo è dunque uno strumento dell’anima; benché, a differenza di uno strumento inanimato, abbia “in sé stesso il principio del movimento e della quiete”. La strumentalità del corpo rispetto all’anima, riaffermata dallo stoicismo e dall’epicureismo, predomina nella scolastica: per Tommaso d’Aquino, il corpo ha per fine l’anima razionale e le sue operazioni, così come la materia ha per fine la forma. Nella scolastica, solo l’agostinismo si sottrasse alla valutazione strumentale del corpo; elaborando la dottrina della “forma corporeitas”, per cui il corpo possiede realtà e attualità indipendentemente dall’anima, che vi si aggiunge costituendone un’ulteriore forma o sostanza.
La subordinazione strumentale del corpo all’anima cessa definitivamente con Cartesio, per il quale il corpo e l’anima sono entrambi sostanze, ma di natura diversa. L’uno è “res extensa”, sostanza estesa e non pensante, l’altra è “res cogitans”, sostanza pensante e priva di estensione. Tra queste due sostanze non esiste relazione causale. Il corpo è concepito da Cartesio “come un orologio, o un altro automa (ossia come una macchina che si muove da sé)”. La separatezza del corpo rispetto all’anima suscitò il problema di come collegare eventi corporei e incorporei, problema che diede luogo a soluzioni dualistiche e monistiche. Tra le prime, quella detta dell’interazionismo risale allo stesso Cartesio, per il quale l’interazione tra anima e corpo è dovuta a un’intima connessione tra le due sostanze. Questa teoria riduceva però eccessivamente l’eterogeneità tra eventi corporei e incorporei. In alternativa ad essa furono elaborate, nella seconda metà del secolo XVII, due dottrine: l’occasionalismo di Nicolas Malebranche, per cui Dio costituirebbe l’anello di congiunzione tra anima e corpo, e il parallelismo di Leibniz. Per quest’ultimo la relazione tra eventi corporei e incorporei non è causale, ma regolare: ogni evento materiale è correlato a uno immateriale secondo un’armonia prestabilita. Una soluzione di compromesso tra monismo e pluralismo fu quello di Spinoza, per il quale “la mente e il corpo sono un solo e identico individuo, che è concepito ora sotto l’attributo del pensiero, ora sotto quello dell’estensione”. Per Spinoza, corpo e anima sono due manifestazioni dei due attributi fondamentali (pensiero ed estensione) dell’unica sostanza divina; ma sono anche radicalmente eterogenei in quanto l’appartenenza alla sostanza divina è il loro unico denominatore comune.
Rigorosamente monistiche furono invece le concezioni dell’uomo-macchina proprie del materialismo illuministico di Julien Offroy de La Mettrie e del barone d’Holbach, secondo i quali le attività mentali dell’uomo dipendono, in base a una causalità puramente meccanica, da quelle corporee. Al materialismo settecentesco si ricollega in parte Marx, che considera i pensieri e i sentimenti dell’uomo come diretta emanazione dei suoi comportamenti materiali. In un contesto diverso dal materialismo, Nietzsche, in un celebre capitolo di “Così parlò Zarathustra”, esaltò il corpo come principio di verità, contrapponendolo all’idealismo metafisico.
Tra le teorie monistiche del corpo, di tipo idealistico, si ricordano principalmente quella di Berkeley, per cui soltanto la mente e le sue percezioni esistono e il corpo, come ogni oggetto, è solo una percezione mentale; quella di Schopenhauer, per cui il corpo è nella sua essenza identico alla volontà e i fenomeni corporei sono mere rappresentazioni di questa volontà stessa; e quella di Bergson, che vede nel corpo un semplice strumento dell’agire pratico, governato da una coscienza puramente spirituale. A Schopenhauer e a Bergson si ispirarono, nel Novecento, le concezioni del corpo proprie della fenomenologia e dell’esistenzialismo. Più di recente la questione è stata reimpostata mettendo da parte il termine anima. Si parla perciò di rapporto mente-corpo. Ma i tentativi di ridurre il mentale al biomeccanico non giungono a spiegare in modo convincente quel complesso fenomeno rappresentato dalla coscienza. Nemmeno l’assimilazione del mentale all’intelligenza artificiale risolve il problema.
Per rispondere alle domande circa la mente e il suo ruolo rispetto all’ordine naturale non può essere percorsa una sola direzione; né possiamo attenderci risposte definitive soltanto dalle scienze naturali. La ricerca va piuttosto condotta muovendo da prospettive teoriche diverse, privilegiando quindi una pratica interdisciplinare.
Da questo punto di vista, risulta di notevole interesse il seminario “Antropologia e conoscenza mistica: i sensi spirituali”, promosso a Roma dalla Facoltà di filosofia della Pontificia Università Antonianum. L’iniziativa intende approfondire con un approccio interdisciplinare quella “esperienza diretta e passiva della presenza del divino” denominata comunemente mistica.
Giunto alla seconda edizione, il seminario è diretto da Barbara Faes De Mottoni, del Cnr, e da Stéphane Oppes, decano della Facoltà di filosofia dell’Antonianum, ed è coordinato da Alfredo Mauricio Manhiça. Agli incontri hanno già partecipato i biblisti Gianfranco Ravasi e Alvaro Cacciotti. In programma per la sessione di giovedì 1 marzo è una relazione di Claudio Moreschini, ordinario di Filologia classica all’Università di Pisa. Seguiranno gli incontri con Elmar Salmann (21 marzo), Massimo Tedoldi (18 aprile), e Marco Vannini (9 maggio).
Il termine “mistica” indica di solito quel processo di progressivo abbandono della condizione sensibile e della riflessione razionale che conduce a esperienze estatiche e a forme di contatto diretto con il soprannaturale. Nelle grandi religioni la mistica è oggetto di precise teorizzazioni riguardanti la sua natura e il suo fine. Se il fine è generalmente inteso come l’unione con Dio e con il Principio assoluto, le vie per raggiungerlo comprendono molteplici e differenti forme di raccoglimento, meditazione e rinuncia ascetica. L’uomo, dotato di un corpo, è sospeso tra sensibile e intelligibile. La relazione con il sensibile è allo stesso tempo primo gradino di una scala che conduce verso l’alto, o primo terribile passo verso la propria perdizione. I cinque sensi non sono, dunque, nel corso del Medioevo oggetto di un’indagine esclusivamente medica o gnoseologica, essi costituiscono sempre anche un problema di natura morale e spirituale. Ogni dottrina mistica esige quindi sia l’individuazione e la descrizione delle tappe dell’ascesa, sia formulazioni adeguate a esprimere l’esperienza del divino nel suo progressivo disvelarsi.
La figura di Gregorio di Nissa, vescovo e teologo del IV secolo, al centro dell’intervento di Claudio Moreschini è emblematica al riguardo. La dottrina cristiana della resurrezione fin dalle origini ha significato un motivo di scandalo per i pagani. Il cristianesimo aveva ripreso infatti le spiegazioni platoniche dell’immortalità dell’anima; ma proprio il platonismo si opponeva più di altri a ogni ipotesi di resurrezione del corpo. Per il platonismo era assurdo continuare a porre anche dopo la loro mutua separazione, causata dalla morte, l’intreccio tra anima e corpo. I platonici vedevano il corpo come un “carcere” per l’anima. Inoltre, per il platonismo era assurdo un altro dogma fondamentale del cristianesimo, quello dell’incarnazione del Verbo divino. In quanto essa restringeva entro i limiti del tempo quello che era intrinsecamente sottratto al tempo. Su tale questione la discussione e le contestazioni reciproche servirono al pensiero cristiano a elaborare una spiegazione che tenesse conto delle obiezioni dei nemici. Gregorio di Nissa ritiene assurdo supporre che l’anima preesista al corpo o viceversa: la loro vita comincia congiuntamente. Né la spiritualità né l’intellettualità umana possono esistere in una pura forma: “Paradossalmente – spiega Moreschini – solo nella ibrida ‘physis’ che è l’umanità, essa può fare quello che è destinata a fare”.
L’anima razionale è il culmine di una storia che si evolve dall’animalità più bassa verso la virtù, che si raggiunge quando la ragione indirizza al giusto fine le passioni, come il desiderio e l’ira. I moti dell’anima in sé non sono né virtuosi né viziosi, tutto dipende dalla direzione che prendono verso le cose elevate o verso il basso. La mente deve governare gli impulsi che sono inclusi nella sua vita; e non è in grado di realizzarsi escludendo gli affetti. Diversamente dalle dottrine stoiche e platoniche, l’antropologia cristiana considera essenziale l’affinità e la continuità tra i diversi livelli dell’anima. Il conflitto tra la mente e la passione, rimarca Moreschini, sorge solo “quando noi dimentichiamo la loro continuità”. La passione sostiene un corpo che cerca un senso a se stesso, anela “ad una comunicazione con quella vita che è Dio”. Contro i luoghi comuni che vedono opposizione tra cristianesimo e corporeità, i primi Padri della Chiesa sono consapevoli, conclude Moreschini, che “la ragione non è in grado di modificare la vita corporea se non esiste l’armonia tra gli impulsi del corpo stesso”.