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Freud e la filosofia antica (recensione)

di Enrico Berti - 05/03/2007

recensione di Yamina Oudai Celso, «Freud e la filosofia antica», Bollati Boringhieri, Torino, pagg.226, €22,00

Dall’interpretazione dei sogni alla libido, al metodo catartico. Yamina Oudai Celso analizza l’influenza dei classici sul fondatore della psicoanalisi

Un filone di studi filosofici che da alcuni decenni si sta rivelando particolarmente fecondo, e che richiede conoscenze storiche estese congiunte a forti interessi teorici, è la storia dell’influenza della filosofia antica sulla filosofia contemporanea. Si può dire che Gadamer ne sia statao uno degli iniziatori, ma esso è stato proseguito da studiosi più giovani sia a proposito di importanti filosofi continentali come Heidegger, sia a proposito della filosofia analitica anglo-americana, con risultati spesso interessanti. Ora esso è stato applicato a Freud, personaggio che - malgrado il declino di considerazione in cui sembra essere caduta la pisicanalisi per colpa dei suoi spesso vacui epigoni - conserva immutato, specialmente presso i filosofi, il fascino di un “maestro del sospetto”. Nel libro di Yamina Oudai Celso, Freud e la filosofia antica (Bollati Boringhieri 2006), si mostra quanto grande sia il debito di Freud non solo verso la cultura greca in generale - si pensi all’utilizzo del mito di Edipo - ma in modo specifico verso la filosofia greca.
L’autrice anzitutto documenta rigorosamente i rapporti che Freud ebbe con grandi studiosi di filosofia antica quali l’ristotelico Franz Brentano, che fu suo professore a Vienna tra il 1874 e il 1876, i due Gomperz (Theodor e il figlio Henrich), il filologo Jakob Bernays, zio della moglie di Freud, e i membri del «Circolo di Basilea», cioé Bachofen, Nietzsche, Rohde e Burckhardt. Poi illustra la derivazione, attestata da precise citazioni, delle più importanti teorie di Freud da altrettante tematiche sviluppate dai filosofi antichi. Anzitutto l’interpretazione dei sogni, oggetto della prima importante opera di Freud (1899), prende lo spunto da due scritti di Aristotele, il De devinatione per somnum e il De insomniis, per il suo apsetto di spiegazione scientifica e dal Libro dei sogni di Artemidoro (II secolo d.c), per il suo apsetto di interpretazione mantico-religiosa. Indi la famosa teoria freudiana della libido si richiama esplicitamente alla teoria platonica dell’eros, sia per il carattere - per così dire - “trascendentale” che questo rivela nel Simposio, avendo per oggetto qualsiasi forma di bellezza, sia per la possibilità di una sua sublimazione, risultante dal discorso di Diotima, sia infine per la nostalgia della totalità che esso contiene, come risulta dal discorso di Aristofane.
Ma anche la più celebre “scoperta” freudiana, quella dell’inconscio, riprende aspetti della concezione tripartita dell’anima in Platone (anima razionale, impetuosa e concupiscente), nonché della concezione ugualmente tripartita, ma in modo diverso, dell’anima in Aristotele (intellettiva, sensitiva, nutritiva). La prima di queste due concezioni ha fatto scrivere a un grecista come Werner Jager che Platone fu «il padre della psicanalisi» (Paideia, 1944), e Oudai mostra la corrispondenza quasi perfetta fra le tre parti dell’anima e le nozioni freudiane di Super-io, Io ed Es. La seconda viene da lei opportunamente valorizzata con un riferimento al passo del De anima in cui Aristotele afferma che l’anima superiore contiene - potenzialmente - in sé quelle inferiori (414 b 28 ss.), perché questo è precisamente il rapporto che Freud stabilisce fra i tre livelli della personalità. Del resto il De anima era stato oggetto di un famoso libro di Brentano (La psicologia di Aristotele, 1867), maestro di Freud.
Interessantissimo è poi il nesso che Oudai scopre fra il “metodo catartico”, raccomandato da Freud sin dai giovanili Studi sull’isteria, scritti in collaborazione con Breuer (1892-95), e il celebre concetto aristotelico di “catarsi” tragica, interpretato non più in chiave moralistica, come solevano Lessing e Wilamowitz, ma secondo le indicazioni di Bernays, Nietzsche, Rohde, da un lato come sfogo delle passioni rimosse e dall’altro come sollievo di tipo cognitivo prodotto dalla “coazione a ripetere”. Non a caso, rileva giustamente l’autrice, sia Freud che Aristotele tennero come modello della catarsi l’Edipo re di Sofocle. Infine il libro mette in rilievo la presenza, sia in Platone che in Freud, del paralllismo tra psyche e polis, strutture analoghe in cui il momento autoritario viene rappresentato rispettivamente dalla “legge del padre”, che vieta l’incesto, e dalla Legge della città, che disciplina le passioni e i comportamenti immorali. Tutto questo viene mostrato senza trascurare le enormi differenze che separano Freud dai filosofi antichi, specialmente nel modo di concepire l’etica, la politica e la religione.