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L’irrealtà del tempo (recensione)

di Massimo Pulpito - 05/03/2007

McTaggart, John Ellis, L’irrealtà del tempo, a cura di L. Cimmino.
Rizzoli, Milano, 2006, pp. 215, € 10,20, ISBN 88-17-01072-3.

 

Nel 1908 il filosofo inglese John McTaggart pubblicò sulla rivista Mind un articolo dal titolo «The Unreality of Time», che avrebbe poi riproposto, con leggere modifiche, nella sua opera maggiore, The Nature of Existence (uscita postuma in due volumi negli anni 1921-1927). In quel saggio, il filosofo presentò un celebre argomento, noto in seguito come «paradosso di McTaggart», con il quale tentava di dimostrare l’irrealtà del tempo. Il tentativo non era nuovo: la tesi dell’illusorietà del tempo (o comunque del minore grado di realtà del tempo rispetto all’eternità atemporale) non trovava ospitalità solo all’interno del neoidealismo inglese, la corrente a cui apparteneva lo stesso McTaggart, ma era stata variamente sostenuta da filosofi del passato (dai neoplatonici a Spinoza). Inediti erano, però, il modo in cui il filosofo impostava la questione e il rigore logico con cui argomentava quella tesi antica.

McTaggart apriva il suo ragionamento, proponendo una distinzione fondamentale, che avrebbe poi avuto molto successo nella filosofia del tempo novecentesca. Egli osservava che con il termine «tempo» noi indichiamo due ordini temporali diversi: la serie passato/presente/futuro e la serie prima-di/contemporaneo-a/dopo-di. Il filosofo chiamò questi due diversi ordini di tempo «serie A» e «serie B».

Qual è il senso di questa distinzione? A prima vista, parrebbe una separazione puramente nominale, giacché intuitivamente giudichiamo le due serie equivalenti. In realtà, la distinzione è tutt’altro che di superficie, e coglie una differenza sostanziale tra i due ordini. Gli elementi della serie A attribuiscono ad ogni evento un singolo momento temporale: ad esempio, la stesura di questa recensione è (per me, adesso) un atto presente. Gli elementi della serie B, invece, esprimono le relazioni temporali che, volta a volta, si determinano tra due eventi: per tornare al nostro esempio, la stesura di questa recensione precede la sua pubblicazione. Da questa differenza ne discende un’altra, che è quella su cui si sofferma McTaggart. Le relazioni della serie B sono permanenti. Un evento x che precede o segue un evento y, resterà perennemente in questa relazione. La proposizione che afferma: «L’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 è successivo alla prima elezione a presidente di George W. Bush» è sempre vera, indipendentemente dal momento in cui viene pronunciata. Al contrario, un’affermazione che esprime una posizione nella serie A cambia nel tempo il suo valore di verità. La proposizione: «L’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 è un fatto passato» è vera oggi, ma non lo era ad esempio il 10 settembre 2001, allorché l’attentato era ancora un evento futuro. Così, mentre le relazioni della serie B non mutano, i momenti della serie A mutano continuamente: un evento diventa sempre meno futuro, quindi presente e infine sempre più passato.

A questo punto, McTaggart si chiede se entrambe le serie siano ugualmente necessarie per la realtà del tempo. Per rispondere a questa domanda, egli parte dall’assunto classico secondo cui il tempo presuppone il cambiamento: non può esistere il primo senza il secondo. Ora, tra le due serie, l’unica che ammetta una forma di mutamento, come si è visto, è la A. Le relazioni B, infatti, sono permanenti. Non solo, ma McTaggart mostra come, in realtà, la serie B dipenda dalla serie A. Essa sarebbe il risultato di una sovrapposizione tra la serie A e quella che McTaggart chiama «serie C», una terza serie che, a differenza delle prime due, non può dirsi temporale. Essa, infatti, possiede un ordine ma non una direzione (la freccia del tempo): un evento posto all’interno della serie C, si colloca tra (e non prima o dopo) altri eventi. Ad esempio, di un evento y della serie C si può solo dire che si trovi tra gli eventi x e z, ma non prima o dopo di essi. È un po’ come se si trattasse di una fila di oggetti che possono essere enumerati indifferentemente in un senso o in quello opposto, poiché il loro ordine non ha una direzione prestabilita. Ora, secondo McTaggart, è solo allorché la serie A dei momenti scivola sulla serie C degli eventi, che si produce una serie B: una serie, quest’ultima, che eredita dalla A la direzione temporale, e dalla C la permanenza delle relazioni interne.

McTaggart è così giunto alla conclusione che il tempo implichi la serie A. Per dimostrarne l’irrealtà, basterà provare che questa serie è intrinsecamente contraddittoria e non può esistere. Inizia così il secondo momento della sua riflessione, in cui è contenuto il noto paradosso. Il filosofo osserva che i termini della serie A si presentano come caratteristiche di eventi tra loro incompatibili: un evento passato non può essere presente o futuro; un evento presente non può essere passato o futuro; un evento futuro non può essere passato o presente. «Eppure», osserva McTaggart, «ciascun evento le possiede tutte. Se M è passato, è stato presente e futuro. Se è futuro, sarà presente e passato. Se è presente, è stato futuro e sarà passato. Tutti e tre i termini incompatibili sono predicabili di ciascun evento, cosa ovviamente incoerente con il loro essere incompatibili» (pp. 133-134). L’obiezione a questa considerazione sembra banale. È vero che gli eventi posseggono tutte e tre le determinazioni A, ma ciò avviene in tempi diversi. Al contrario, l’incompatibilità è limitata al solo possesso di quelle determinazioni nello stesso tempo: un evento, infatti, non può essere contemporaneamente passato, presente e futuro. McTaggart ha, però, un’originale risposta per questa obiezione, ed è qui il cuore del suo argomento. Egli rileva che per esibire il modo non contraddittorio in cui gli eventi assumono le tre determinazioni temporali, si è costretti a ricorrere nuovamente al tempo nella forma di un’altra serie A. Noi diciamo, infatti, che se un evento è presente, è stato futuro e sarà passato; se un evento è passato, è stato presente e futuro; se un evento è futuro, sarà presente e passato. Poiché «è stato, è e sarà» equivalgono a «passato, presente e futuro», McTaggart scrive: «Ne consegue che la serie A deve essere presupposta per rendere ragione della serie A. E questo è chiaramente un circolo vizioso» (p. 134). Il paradosso può assumere anche la forma di un regresso infinito, poiché anche la serie A del secondo livello, per dimostrarsi non contraddittoria, deve fare ricorso ad una serie A di terzo livello e così via all’infinito. Se dunque la serie A si rivela contraddittoria, e se è vero che il tempo implica la serie A, allora anche il tempo è contraddittorio; e poiché per l’idealista McTaggart nessuna cosa contraddittoria può essere reale, allora il tempo è irreale.

L’argomento di McTaggart (qui presentato in maniera semplificata: il saggio è molto più articolato) ha attraverso come un fiume carsico la filosofia novecentesca. Quasi ignorato all’epoca della sua pubblicazione (ma non sfuggì a Bertrand Russell), è scomparso per alcuni decenni dal dibattito filosofico, per poi ricomparire con forza nella seconda metà del Novecento, divenendo sempre più un passaggio obbligato degli studi sul tema. Non c’è quasi saggio sul tempo scritto negli ultimi anni (prevalentemente di area analitica, laddove è in corso un’ampia discussione sul tema) che non faccia esplicito riferimento al saggio di McTaggart. La sua distinzione tra serie temporali è divenuta canonica, e il rimando al suo paradosso è superato in letteratura soltanto dalla citazione dell’agostiniano «Quid est ergo tempus? Si nemo ex me quaerat, scio; si quaerenti explicare velim, nescio» (Conf., XI.14). È interessante notare che questo riferimento dominante non ha veri eredi: sebbene tutti i filosofi del tempo ripartano dall’argomento di McTaggart, nessuno ha, però, mai accettato il paradosso nella sua interezza. Vi sono, ad esempio, i cosiddetti teorici A (sostenitori della teoria dinamica o tensionale del tempo) che accettano la premessa dell’implicazione tra tempo e serie A, con la serie B considerata solo un tempo derivato (o al limite coesistente con la A), ma rifiutano la conclusione distruttiva del tempo, proponendo soluzioni del paradosso, che mostrino l’inconsistenza della contraddizione. All’opposto, i teorici B (sostenitori della teoria statica o atensionale del tempo, fino a pochi anni fa la maggioranza indiscussa dei filosofi del tempo) condividono la conclusione dell’argomento e difendono il paradosso, ma lo ritengono circoscritto alla sola serie A, e non al tempo in generale. Per questo, rifiutano l’assunto secondo cui la serie B implicherebbe la serie A. Il tempo reale sarebbe, invece, organizzato secondo le relazioni B, e la suddivisione in passato, presente e futuro sarebbe totalmente illusoria (come sembrerebbe confermare anche la fisica novecentesca). Altri studiosi, più radicalmente, hanno rifiutato i presupposti stessi del paradosso, e cioè l’idea che il tempo implichi il mutamento, la tesi per cui tutto ciò che è contraddittorio è irreale e la modalità surrettiziamente atemporale con cui sono immaginati gli eventi.

Il libro che qui recensiamo riproduce opportunamente sia la prima, sia la seconda versione del saggio, assieme ad altri due articoli di McTaggart, mai tradotti in italiano, che consentono di contestualizzare le idee sul tempo del filosofo all’interno del suo sistema di pensiero: Il rapporto tra Tempo ed Eternità (1907) e Misticismo (1909). Luigi Cimmino, che ha curato il testo, nell’ampia introduzione dal titolo McTaggart e la filosofia del tempo, rende conto degli sviluppi filosofici più recenti del dibattito filosofico sul tempo a partire dal paradosso di McTaggart, aggiungendo altresì una breve presentazione della fenomenologia del tempo di Husserl. Un’aggiunta intelligente dal punto di vista teorico, ma forse ingiustificata in un testo dagli obiettivi così circoscritti. Del resto, tutta l’introduzione appare a tratti eccessivamente disimpegnata. Un maggiore precisione e una minore rapidità nel trattare gli argomenti, così come un più attento inquadramento storico delle idee di McTaggart, avrebbe giovato maggiormente alla ricostruzione del dibattito, alla comprensione dell’importanza del contributo teorico del filosofo, e in un’ultima analisi, alla diffusione di questa feconda linea di ricerca nel panorama filosofico italiano. (Da questo punto di vista pionieristiche sono state le pubblicazioni di Mauro Dorato, Vincenzo Fano, Elisa Paganini e Claudio Tugnoli.) Ciò non toglie che la pubblicazione di un libro interamente dedicato alle tesi di McTaggart sul tempo da parte di un importante editore, costituisca senza dubbio un piccolo evento, che va salutato con favore.

torna all'inizioIndice

McTaggart e la filosofia del tempo
Invito alla lettura
Bibliografia
L’irrealtà del tempo
Il rapporto fra Tempo ed Eternità
Misticismo
Appendice: da
La natura dell’esistenza

torna all'inizioL'autore

J.M.E. McTaggart (Londra 1866-1925) insegnò Filosofia morale a Cambridge e fu un importante esponente del neoidealismo inglese. Tra le sue opere Studi di dialettica hegeliana (1896), Alcuni dogmi della religione (1906), La natura dell’esistenza (1921-1927).


torna all'inizioIl curatore

L. Cimmino (Roma 1953) insegna Gnoseologia all’Università di Perugia. Ha pubblicato vari studi su Wittgenstein, sulla questione del libero arbitrio e su altri argomenti di epistemologia.

torna all'inizioLinks

Cenni biografici e testi di alcune opere di McTaggart:
http://people.stfx.ca/wsweet/mctaggart.html

Il testo del saggio The Unreality of Time su Wikisource:
http://en.wikisource.org/wiki/The_Unreality_of_Time

Il sito di Quentin Smith, uno dei più noti teorici A:
http://www.qsmithwmu.com/philosophy_of_time.htm

La pagina personale di Nathan Oaklander, uno dei più noti teorici B:
http://spruce.flint.umich.edu/~lno