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I paradigmi della oclocrazia corrente

di Uriel - 12/03/2007

Fonte: wolfstep

 
 
 
Uno dei motivi per i quali detesto profondamente la politica organizzata e' l'uso sconsiderato dei tecnicismi pelosi.

Facciamo un esempio: la missione in Afghanistan.

Si puo', ovviamente, essere favorevoli o contrari. Io personalmente sono contrario: nella zona c'e' un paese, la Cina, che e' una potenza regionale e ha un posto nel consiglio di sicurezza dell' ONU.

Ora, vorrei capire che cazzo sia un posto nel consiglio di sicurezza dell' ONU, se non un impegno POLITICO nonche' un RUOLO ATTIVO nella gestione delle politiche internazionali.

Invece no, la Cina si comporta come quelle caserme dei carabinieri sotto le quali c'e' lo spacciatore, ma i carabinieri non intervengono mai.

Per come la vedo io, se in Afghanistan si riorganizzano delle fazioni che si propongono di usare armi atomiche/Chimiche/Batteriologiche per colpire gli USA, come Al Qaeda dichiara di voler fare (e come ha fatto in passato), ci si rivolge alla potenza regionale che ha IL DOVERE di intervenire, per la semplice ragione che ha voluto lo status di membro permanente nel consiglio di sicurezza, IL CHE IMPLICA una precisa responsabilita'. NON mi aspetto che al confine con una potenza regionale che ha un seggio nel consiglio di sicurezza ONU salti fuori qualcosa come Al Qaeda.

Viceversa, se la Cina sostiene che di quanto accade fuori dai suoi confini sbatte un cazzo,  e che accetta serenamente di avere il paese di Al Qaeda come confinante, beh, li si cacci dal consiglio di sicurezza e anche dall' ONU, che cazzo ci stanno a fare se il resto del mondo non li riguarda e non assumono responsabilita' che il loro status di potenza regionale impone?

Altrimenti, tantovale che ci mettiamo una statua, al posto del seggio cinese. E' facile protestare contro il grande gendarme USA che mette il becco  a due passi dalla tua porta di casa, CERTO CHE SE LA TUA PORTA DI CASA LA TENEVI PULITA TU, MAGARI GLI USA NON DOVEVANO INTERVENIRE, NEH?

Stabilito che risolvere la questione tocchi alla potenza regionale piu' vicina (e peraltro meno compromessa, altrimenti potrebbero pensarci anche i russi) , torniamo a bomba.

Non ho problemi a discutere con gente la quale sostiene che invece la possente organizzazione militare italiana debba reggere i destini del mondo in Afghanistan.

Quello che mi urta e'  quando arrivano e tirano in ballo i tecnicismi, per dare spessore al discorso. Arrivano e ti dicono "eh, la missione in Afghanistan, ma con quali regole di ingaggio?"

Ecco una bellissima posa all'italiana: della missione in Afghanstan possono parlare tutti, ma se siete davvero fighi parlate un po' delle regole di ingaggio.

Peccato che le regole di ingaggio siano uno dei temi piu' complessi della dottrina militare. Per discutere degnamente delle regole d'ingaggio occorre conoscere nel dettaglio:

  • Armamenti e loro mortalita' statistica.
  • Capacita' tattiche di entrambi gli schieramenti.
  • Mappe del luogo.
  • Tecniche di combattimento del nemico.
  • Teoria della statistica di guerra.

Nelle forze NATO, il cosiddetto ROE e' un documento allegato che viene passato ai comandi locali. Esso contiene , in un formato standard, le cosiddette regole secondo  "le quali si inizieranno le ostilita' nei confronti di un'altra forza combattente incontrata sul terreno".

Esse sono MOLTO piu' complesse, almeno nella stesura del ROE, del semplice "quando puoi sparare"? Perche' il concetto non e' solo "quando puoi sparare", ma "chi e' il bersaglio" , considerazione che coinvolge un'altra "vexata quaestio", ovvero qual'e' lo status giuridico del bersaglio.

Le stesse regole di ingaggio sono anche le regole di disarmo: chi va disarmato e chi no. Avrete visto, per esempio, che in alcuni luoghi del mondo le persone comuni spesso girano con un fucile sottobraccio anche per fare la spesa.

Allora, che status ha  per il soldato italiano un pastore  Afghano che ha  il suo fucile automatico perche' quando esce con le pecore potrebbe fare brutti incontri?

E il problema non e' "potra' spararmi addosso?" ma anche "se si avvicina per chiedermi se voglio una ricotta devo sparargli?".

C'e' la convinzione che una ROE piu' permissiva "sparare" sia per forza di cose piu' distruttiva nei confronti della popolazione locale. Questo in generale e' falso; bisogna vedere "sparare con che cosa".

Durante la missione in Somalia, c'erano soldati tedeschi. In accordo con la costituzione tedesca, essi erano disarmati sul piano dell'armamento individuale, ad esclusione di una pistola.

Avevano pero', per squadrone, un autoblindo dotato (ai fini di difesa) di una mitragliatrice automatica 20 mm e due mitragliatrici automatiche da 12 mm.

Vi sembra prudente?

A me no, infatti non e' per nulla una condizione che evitera' vittime civili: il 20 mm blindato perfora agevolmente carrozzerie, pareti e tronchi d'albero. Non c'e' riparo alcuno.

Gli effetti sul corpo umano sono devastanti.

I soldati tedeschi, se ingaggiati , si dovevano riparare dietro l'autoblindo che copriva la fuga con il 20 mm ed eventualmente con le 12 mm a tiro piu' rapido.

Compiendo , ovviamente , delle vere e proprie stragi , visto che persino il 12 mm perfora le pareti delle case delle periferie somale. 

Se i soldati tedeschi fossero stati dotati di armi leggere, con l'autorizzazione ad ingaggiare il nemico a distanza, probabilmente sarebbe stato piu' sicuro per i civili: "ingaggiare il nemico" significa anche circondarlo e disarmarlo, se si arrende. Aspettare fino all'ultimo e poi aprire il fuoco con un 20 mm significa semplicemente cercare la strage.

Non sempre, insegnano le statistiche di guerra, una ROE meno "bellicosa" implica un risparmio di vite civili, i recenti scandali sui soldati Olandesi nella ex Jugoslavia lo testimoniano;  essi avevano un ROE che impediva loro di assalire il nemico qualora non assaliti.

Di conseguenza, chi ha massacrato i civili si e' guardato bene dall'assalire gli olandesi, si e' limitato a sfogarsi sui civili. Il mandato era di difendere la popolazione, e' vero, ma le regole di ingaggio vietavano loro di assalire per primi.

Non e' strano ne' impensabile che una forza di tipo  umanitario abbia regole d'ingaggio molto permissive: "spara su chiunque sia armato e si avvicini a meno di 5 km" avrebbe probabilmente aiutato gli abitanti di Srebrenica molto piu' di "spara solo se aggredito".

Nelle statistiche miltari ci sono tomi e tomi di tabelle coi numeri, sulla dipendenza fra vittime civili e tipi di arma usata, fra vittime civili e tipo di terreno, fra vittime civili e ora del giorno, fra vittime civili e il modo di operare del nemico.

il ROE degli olandesi nella e jugoslavia fu deciso dai politici; per ragioni di politica si fece la scelta tecnicamente peggiore, il prezzo lo pagarono gli abitanti del luogo.

Gli olandesi non sono proprio dei mammalucchi, militarmente. Togliersi dalle palle quella feccia mercenaria e proteggere la popolazione non sarebbe stato un problema, per loro.

Gli aerei F16 di cui era stato chiesto l'appoggio avrebbero potuto cambiare la situazione, se soltanto non fossero stati FERMATI dal momento che "non esisteva alcuna battaglia ne' uno scontro a fuoco con i caschi blu" , ovvero SE NON SI FOSSERO SEGUITE REGOLE D'INGAGGIO PACIFISTE.

Ma le regole di ingaggio erano "buoniste", erano stati mandati li' come "forza umanitaria" e come tale era stato vietato loro di sparare; ovviamente la feccia mercenaria ha evitato di sparare sui soldati e si e' limitata a sterminare civili.

E cosi', la popolazione olandese, pacifista e civile, si e' lavata la coscienza inviando dei soldati con delle regole di ingaggio "deboli", "umanitarie", perche' ai pacifisti non piace il soldato che spara. con il risultato di essere corresponsabili di una strage della quale oggi si indignano, dando la colpa ad un generale che ha obedito a delle regole di ingaggio VOLUTE DAI PACIFISTI: "sparare solo se assaliti ed impossibilitati a ritirarsi; viceversa non sparare e/o ritirarsi".

Disastri tipici nel caso in cui il sentimentalismo della politica oclocratica pretende di gestire questioni riservate ai tecnici.

C'e' qualcuno che, prima di me, ha descritto assai bene questo fenomeno tipico delle democrazie. Mi permetto di parafrasarlo, per indicare il fenomeno che porta ad orrori come quello di cui parlo, dopo la mia firma.


Per ora, dico solo una cosa: andare in afghanistan o meno e' un problema politico. il ROE, cioe' le regole di ingaggio, sono questioni tecniche dei generali.

E il fatto che vogliate spararvi delle pose non vi autorizza a ficcare le mani, per interposta persona dei vostri cosiddetti "rappresentanti", in cose che non sono per i profani.


I paradigmi della oclocrazia corrente li potrei riassumere cosi', parafrasando "panurgo":

1) Il cittadino è onnisciente. Nonostante i fiumi di retorica da cui siamo inondati, la democrazia non è un valore in sé, bensì semplicemente un metodo mediante il quale un corpo sociale sceglie i propri valori, la proprie leggi, il proprio governo. Potrebbe sceglierli in mille altri modi; in regime democratico, il corpo sociale attua tale scelta attribuendo al cittadino la possibilità di esprimere il proprio volere in una determinata occasione (le elezioni) e con un determinato sistema (il voto). Ogni cittadino è chiamato a votare e col voto ogni cittadino esprime implicitamente una valutazione, un giudizio, sul governo esistente o su quello che auspicherebbe. Ed ecco che si nota qui il primo postulato dello spirito democratico: il cittadino è onnisciente, il cittadino ha conoscenze sterminate. Poiché infatti l'operato del governo, e della legge in generale, copre pressoché ogni aspetto dell'esistenza umana, poiché il governo avrà una politica estera, una politica della scuola, una politica economica, una politica della famiglia, una politica dello sport, una politica ambientale, ecc., il cittadino - chiamato a valutare su questi ambiti il suo governo - si suppone che sia pressoché onnisciente, che sappia esprimere un'opinione (e si può immaginare quanto fondata!) su una serie di fatti che va dalla guerra in Iraq all'inquinamento elettromagnetico, dai Parmalat bond agli asili nido, dai rapporti con la Russia alle politiche per incentivare l'occupazione. Si chiede insomma al cittadino comune di saperne di più di quanto ne sapevano i grandi statisti del glorioso passato europeo: in fondo Richelieu era un gran volpone in politica estera, ma in politica interna ed economica forse non era poi questo genio, forse Colbert era un mago dell'economia ma in politca estera si trovava un po' spaesato; il cittadino moderno no, il cittadino moderno, lui, sa tutto, ma proprio tutto di tutto. Quanto questo aspetto dello spirito della democrazia sia in totale opposizione alla specializzazione crescente in ogni lavoro scientifico degno di tal nome, è superfluo notarlo.
Quello che voglio invece notare è un'altra cosa. Al cittadino hanno insegnato (e per primi glielo hanno insegnato quei tuttologi, quei sommi maestri dell'orbe universo che sono i giornalisti) che lui sa tutto: è facile allora che la convinzione di sapere tutto penetri in profondità nella sua mente, che lui si convinca di poter dare lezioni di storia agli storici e di scienza agli scienziati. Se io so tutto, ovunque la mia mente volga il suo occhio, troverò qualche vecchia idea da correggere, qualche nuova scoperta da fare, troverò qualcosa da innovare, da cambiare, da modificare; io so tutto, se non in atto certo perlomeno in potenza, e quindi ogni disciplina mi è aperta, in ogni disciplina posso dire la mia alla pari di chi in essa abbia trascorso una vita di ricerche.

2) Il voto è sintesi. Alle elezioni il cittadino è chiamato a dare una valutazione "tuttologa" sul governo passato e su quello che lui auspica. Vediamo ora come sia chiamato a dare questa valutazione. Lo strumento della democrazia è il voto, un singolo voto che il cittadino attribuisce al partito o allo schieramento di sua preferenza. Pensiamoci, si potrebbe votare in mille altri modi; si potrebbe ad esempio chiedere ai cittadini di esprimere delle "pagelle", di dire "a Tizio attribuisco 7 voti su 10, a Caio attribuisco 2 voti su 10, a Sempronio attribuisco 0 voti"; lo strumento della democrazia è invece un voto unico, mediante il quale il cittadino sintetizza tutto il proprio giudizio sullo sconfinato campo della politica. Si tratta a mio parere di una sintesi impressionante: tutta quell'enorme serie di conoscenze di cui il cittadino si suppone in possesso, tutta quell'enorme serie di valutazioni che si suppone il cittadino compia, deve essere compressa, condensata, sintetizzata nella semplice nuda espressione di un unico voto. E tale sforzo di sintesi comporta che ogni percezione degli aspetti fini delle questioni, ogni lettura in filigrana degli eventi, debbano essere impietosamente sfrondate. Il voto è un impoverimento delle questioni; si trova idealmente al polo opposto rispetto allo spirito analitico che la cultura deve possedere, rispetto alla quieta paziente tenace analisi dei fatti; certo, le sintesi possenti sono uno degli aspetti più attraenti della scienza e della cultura, ma queste sintesi non sono mai gratuite, dietro di esse c'è sempre una meticolosa opera di analisi, di scomposizione, giù giù fino ad arrivare al banale number-crunching della fisica o alle tediose cronologie della storiografia. Le sintesi gratuite sono infondate, le sintesi gratuite sono la fuffa a cui ci ha abituato il sistema del voto unico. Superfluo dire che, nei loro giudizi trancianti e nelle loro sbandierate certezze sono fuffa anche tutta la pseudostoria e la pseudoscienza.

3) La democrazia non tollera i privilegi. Il metodo democratico non ammette privilegi, ma a ciascun cittadino senza distinzione attribuisce uno ed un solo voto; certo, il potere esiste in democrazia e non potrebbe non esistere, ma nell'urna non ci sono privilegiati, vige la più assoluta e rigorosa uguaglianza. Ogni voto ha lo stesso peso, lo stesso valore di ogni altro voto. L'estensione di questo concetto di uguaglianza, fondativo dello spirito democratico, all'ambito della cultura ha effetti devastanti. Se i privilegi non sono tollerati in democrazia, se non sono tollerate classi o caste, non lo devono essere neppure nel campo della cultura; se tutti siamo uguali, rigorosamente uguali, tutti dovremo avere la stessa voce in capitolo in materia di cultura, tutti avremo diritto (parola dall'aspetto alquanto arrogante) di dire la nostra, di essere ascoltati, di scrivere, di parlare. Il pensionato INPS in materia di mitologia indiana avrà la stessa voce in capitolo del docente di sanscrito: l'abbattimento dei privilegi, anche dei privilegi dello spirito, è il reale demone che anima questo miserabile giacobinismo. Ecco allora tutto il fiorire di queste leggende metropolitane, sia nel campo della storia (Virishna, il protocristianesimo) sia nel campo della scienza. Di solito il processo mentale che sta dietro tali fenomeni è semplice: la storia e la scienza sono difficili, sono discipline che richiedono una vita di studi, e quindi - implicitamente e naturalmente - la formazione di una casta di persone che, avendo operato questa scelta di vita, siano i professionisti della cultura. Ma l'uomo democratico non può tollerare ciò, non può tollerare la loro presenza, non può tollerare che loro ne sappiano più di lui, che loro non siano uguali a lui. Ecco allora che l'uomo democratico, mediante i due fattori descritti sopra (onniscienza e sintesi) si crea una sua storia, una sua scienza, belle belle, facili facili; storia e scienza fatte a suo uso e consumo, fatte di leggende metropolitane, di miti senza fondamento, di clamorose antiscientifiche bugie. Ma va bene, va bene così: l'importante è non dover ammettere che loro ne sappiano più di lui.

Voglio notare per inciso che la più antica delle democrazie, la polis di Atene, già conosceva questi abissi di volgarità che sono connaturati allo spirito stesso della democrazia: il famoso episodio dell'ostracismo di Aristide, che qui non descrivo perché lo racconto nel blog seguente, ne è un esempio lampante.
Ma la polis ateniese non conosceva ancora l'ultima delle caratteristiche della democrazia, peculiare alle nostre contemporanee democrazie di massa:

4) La rivoluzione come hobby. Fin qui abbiamo analizzato come l'uomo democratico, tra i tanti hobby che potrebbe scegliersi, anziché dedicarsi alla distillazione della grappa o alla coltivazione delle petunie, abbia deciso di dedicarsi alla storia. E fin qui nulla di riprovevole. Abbiamo anche analizzato come lo spirito democratico lo spinga a voler dare lezioni ai professionisti della storia elaborando una pseudostoria a suo uso e consumo ed atteggiandosi quindi a "storico" o a "ricercatore". E questo è già molto più riprovevole. Assolutamente deprecabile, poi, è lo scopo che l'uomo democratico si prefigge nelle sue ricerche, nella continua elaborazione di nuove quanto infondate leggende metropolitane. Nonostante l'apparenza di potere democratico nella cui illusione si culla, l'uomo contemporaneo, in quanto infinitesimale frazione di un'enorme massa umana, si trova in condizioni di assoluta impotenza: nell'ancien régime poteva almeno decidere se e quando piantare un albero nella strada di fronte a casa, nella moderna democrazia non è libero neppure di prendere ed attuare questa banalissima decisione. La condizione di impotenza dell'uomo contemporaneo mi pare così evidente che non ci spendo altre parole. Vale la pena però analizzarne gli effetti sul nostro storico dilettante: perché ha elaborato tutta la sua pseudostoria, perché mai lo ha fatto? Semplice. Per giocare a fare il rivoluzionario, per illudersi che nella sua pseudostoria covino le scintille di una rivoluzione che le sue scoperte faranno scoppiare; il nostro storico ha messo così tanto ardore, così tanto impeto nella costruzione delirante dei suoi miti perché, a differenza della distillazione della grappa e della coltivazione delle petunie, in quei miti si immagina nelle vesti di rivoluzionario, come il portatore di verità sconvolgenti. Costretto all'impotenza, alla banalità e all'uniformità, spera di redimersi mediante la rivoluzione che scaturirà dalle sue teorie. E loro saranno abbattuti, e loro moriranno, e loro saranno schiacciati. Questa volta loro non sono più gli scienziati o gli storici di cui al punto 3), questa volta loro sono proprio i potenti, i potenti occulti, i misteriosi burattinai che tengono le fila di tutto; quelli, in definitiva, a cui il nostro storico dilettante attribuisce inconsapevolmente le responsabilità per la sua vita abortita. E scopriamo che in fondo storici e scienziati, nella sua visione del mondo, sono solo servi dei burattinai, servi di coloro che vogliono soffocare la verità per mantenere il potere. Per distruggere loro il nostro storico dilettante ha passato notti intere a navigare in internet, per distruggere loro ha inventato la storia che un alieno sia sbarcato a Roswell e sia conservato al sicuro dalla CIA, per distruggere loro ha inventato di sana pianta e dal nulla uno pseudoeroe indiano la cui vita somiglia a quella di Cristo.

E così nel tenace odio impotente del nostro pseudotecnico cittadino la democrazia di massa celebra il suo supremo trionfo, e la civilta' umana celebra il suo supremo fallimento.