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Qualche riflessione sul concetto di rivoluzione tradita

di Carlo Gambescia - 12/03/2007

 

A Lev Trotzki dobbiamo un importante concetto politico, quello di “Rivoluzione tradita”. Che semplificando al massimo, e mettendola in termini sociologici, può essere tradotto così: un gruppo di dirigenti, di un certo partito rivoluzionario, una volta impossessatosi del potere, invece di accelerare il processo rivoluzionario, diciamo così, si siede, trasformandosi in oligarchia politica, rinnegando gli ideali della rivoluzione, e dunque tradendola.
Questo schema ha praticamente attraversato il Novecento, ed ha caratterizzato il conflitto politico a sinistra come a destra. A sinistra, in particolare all’interno dei partiti comunisti, ha vivificato il dissenso dei cosiddetti trotzkisti, ma anche di altri gruppi a sinistra del Pci. A destra invece, ha inconsapevolemente caratterizzato, all’interno di quel complesso fenomeno che è il fascismo novecentesco, la lotta politica della cosiddetta sinistra fascista, ma anche di quei gruppi, che in nome di un certa idea di tradizione, eterna, avevano inizialmente creduto nel fascismo, come transeunte reincarnazione storica, di certi valori tradizionali assoluti.
Ovviamente, il trotzkismo viene qui utilizzato, come categoria sociologica, che abbraccia sia la destra e la sinistra. E Trotzki redivivo, sicuramente. non sarebbe d’accordo.
Ora, quattro osservazioni.
In primo luogo, lo schema della rivoluzione tradita, poco si adatta, alle democrazie parlamentari, post-seconda guerra mondiale. Dal momento che introduce elementi fortemente ideologico-affettivi e antisisistemici, all’interno di un sistema politico che ha freddamente accantonato qualsiasi idea di rivoluzione.
In secondo luogo, la distanza tra una destra e sinistra non ideologiche (neutralmente affettive, per dirla con Talcott Parsons) e una destra e sinistra ideologiche (affettive), crea un costante conflitto interno alle diverse aree politiche. Contrasto che diventa, tanto più dirompente quanto più la destra e la sinistra neutralmente affettive, accettano di essere cooptate all’interno del sistema democratico-parlamentare.
In terzo luogo, quanto più cresce il conflitto tra i due schieramenti, tanto più si sviluppa una retorica politica e simbolica tra le parti. I neutralmente affettivi difendono le loro posizioni facendo leva sul realismo politico. Gli affettivi invece giudicano il realismo politico come un paravento dietro il quale nascondere le miserie del sottogoverno e la rinuncia alla trasformazione della società. Di qui l’uso di un linguaggio dove termini come rivoluzionarismo puerile e tradimento ideologico sono piuttosto diffusi.
In quarto luogo, entrambi le parti (i neutralmente affettivi e gli affettivi), si giocano la credibilità su una specie di scommessa con la storia. Per i neutralmente affettivi l’idea di rivoluzione non avrebbe più alcun ruolo storico, di qui la giustificazione, di una politica conservatrice (a destra), e riformista (a sinistra). Per gli affettivi, invece l’idea di rivoluzione in senso fascista (a destra) e comunista (a sinistra) avrebbe ancora senso storico. E qui ovviamente il giudizio di merito, dipende dalla posizione del lettore nei riguardi dell’idea di rivoluzione, e dal suo giudizio sull’evoluzione della situazione politica generale. Per ora, preferiamo non entrare nel merito.
Possiamo solo aggiungere due considerazioni. Che in sostanza si tratta di due atti fede. E che, in effetti, il quadro politico, dopo il 1989, si è rimesso in moto. Difficile però individuare la direzione della sua evoluzione complessiva. Sicuramente, la dialettica riforme-rivoluzione, si muove all'interno di un quadro dove le costanti politiche sono costituite da un processo di riorganizzazione imperiale a guida americana che privilegia il liberismo sul welfare ( e che lascia poco spazio al riformismo di destra come di sinistra). Di qui la possibile ripresa, a destra come a sinistra, dei movimenti legati al mito della rivoluzione tradita. Resta però difficile dire se questi movimenti abbiano attualmente la necessaria compattezza culturale politica e sociale per svolgere un ruolo guida. Il problema è tutto qui.