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La rivoluzione del filo di paglia

di Ignazio Lippolis - 15/03/2007

L'interviata che Masanobu Fukuoka rilasciò durante la sua visita in Italia alla Fondazione Bhole Baba di Cisternino (Br)....

Che differenza c’è fra la fede religiosa, l’ideologia, il rigore scientifico o quello morale? Probabilmente nessuna: tutto rientra nella forma che ogni individuo mette nelle sue azioni.
Per Masanobu Fukuoka l’agricoltura non è la mano pesante dell’uomo che vuol cavare il massimo dalla terra. Anzi la terra stessa coincide con il cammino dell’uomo. Quello fatto di equilibrio naturale, biologico, in una parola, quello che oggi viene chiamato sviluppo sostenibile. Lui è un precursore, la sostenibilità l’ha praticata, sperimentata ed è diventata filosofia, modo di vivere.
Combatte l’aridità e la desertificazione spargendo semidi essenze che potrebbero adattarsi ad una determinata zona, protetti da una capsula di argilla per difenderli da insetti, roditori e uccelli. Poi lascia fare alla natura. Quello che germoglierà sarà il meglio per quell’area geografica. Così sta ricostruendo la vegetazione in aree desertiche in India, nel nord della Grecia, su 10 mila ettari attorno al lago Vegoritis, e anche in una zona sperimentale a Cisternino, in provincia di Brindisi.
Il problema della desertificazione è cruciale per la nostra generazione e per le prossime, sotto il profilo dell’alimentazione e dell’assottigliamento delle superfici vivibili. Si profilano apocalittici scenari, complici un pluridecennale supersfruttamento agricolo e i conseguenti cambiamenti climatici.
“Quando ero nel deserto degli Stati Uniti - dice Fukuoka - ho percepito che la pioggia non cade dal cielo ma sorge dal suolo. I deserti non si formano perché non c’è la pioggia, al contrario, la pioggia non cade perché la vegetazione è scomparsa”.
Ha dedicato cinquant’anni della sua vita all’agricoltura naturale e quindici per combattere la desertificazione. “Anche se tutto ciò può sembrare l’illusione di un contadino che ha tentato invano di tornare alla natura e al fianco di Dio, desidero ugualmente diventare colui che pianta questo seme. Niente mi renderebbe più felice che conoscere altre persone che la pensano allo stesso modo”.
E i suoi semi stanno già germogliando. Qua e là vi sono piccole comunità di persone che hanno sposato un altro ritmo di vita, un altro tempo, rifuggendo i bisogni fittizi imposti dalla società. Anche a Cisternino è stata costituita una fondazione, si chiama Bhole Baba, ha messo a disposizione i suoi terreni che gli stessi fondatori coltivano e in questi giorni ospitano Fukuoka presentandolo e facendolo parlare con intere scolaresche. La trasferta pugliese si è poi conlusa in una giornata all’Istituto agronomico mediterraneo di Valenzano, con la presentazione del direttore Cosimo Lacirignola. Qui l’abbiamo incontrato.
Aveva custodito gelosamente un grappolo di semi di riso, una pianta che riesce a produrre fino a 350 chicchi. La mostra con orgoglio e con timore. E’ quello che ha prodotto il suo sistema che lascia fare alla natura e che fa gola alle multinazionali della produzione agricola, in barba alla biodiversità e all’interesse degli agricoltori: “a loro sta a cuore solo la produzione”, dice. Ha avuto pressioni per cedere i semi ma non ci pensa nemmeno: “l’ingegneria genetica ne farebbe degli ibridi, li distruggerebbe e decreterebbe la scomparsa degli agricoltori”.

Signor Fukuoka, lei vuole curare la terra ferita. Fino ad ora quali risultati ha ottenuto sul campo?
Buoni in Somalia, Etiopia e Tanzania. Si è riusciti a creare anche piccoli orti e, in alcuni casi, dopo sei mesi sono spuntate piante di papaia e banane. Ma esiste un deserto peggiore, fatto di pietre, che si trova in Grecia e in Italia. Qui è ancora più difficile. Abbiamo iniziato l’anno scorso in Grecia una semina su 10 mila ettari, cui hanno partecipato tremila persone venute da tutti i paesi d’Europa.

Secondo lei quanto tempo passa tra l’inizio di un processo di rinverdimento e la nascita di piante superiori?
In media cinque anni, ma dipende anche dalla quantità dei semi che si inseriscono in ogni pallina d’argilla.

Che rapporto produttivo c’è fra le colture con il suo metodo e quello basato su un’agricoltura aiutata dalla chimica o dall’ingegneria genetica?
La qualità dei prodotti naturali è di gran lunga superiore a quella che si produce con l’aiuto della chimica. Su mille metri quadrati possiamo avere la produzione di una tonnellata di riso di ottima qualità.

I tempi della natura non sono quelli degli uomini. Oggi c’è bisogno di maggiori risorse alimentari ed è sorto il problema dei cambiamenti climatici, pensa che facendo a meno degli interventi pesanti in agricoltura possiamo fronteggiare altrettanto rapidamente queste emergenze?
Con l’aiuto della chimica sembra che l’uomo viva meglio, ma in realtà è sempre più dipendente da essa. La sua stessa vita, senza il sostegno dei prodotti chimici sarebbe più a rischio. La mia pianta di riso può crescere senza trattori e senza fertilizzanti e rappresenta il limite massimo raggiungibile. Ristabilendo l’equilibrio con l’ambiente si può sfamare anche il doppio dell’attuale popolazione mondiale. La ragione? Con il mio metodo si può produrre il doppio rispetto ai sistemi basati su concimi e antiparassitari. Se non interrompiamo la spirale della chimica la vita, fra 20 anni, sarà in serio pericolo. E l’Italia è a rischio: siete stati i primi a creare una grande civiltà in occidente, ma rischiate di essere i primi a cadere.

Nel suo metodo quanto c’è di scientifico e quanto di filosofico o spirituale?
Tutte le scienze umane si basano sulla separazione dell’uomo dalla natura. I problemi iniziano da questa separazione. Il tentativo è di cercare di unire quello che è stato separato. Si dovrebbe cominciare a parlare di una civiltà della natura.

Fino ad ora la cultura dominante ha distrutto le altre, basti pensare ai nativi americani, agli indios, agli aborigeni. Popolazioni che vivevano in armonia con l’ambiente. Possiamo avere motivi di speranza per il futuro?
Qui in Puglia ho scoperto un fungo o una muffa che vive sulle pietre, non conoscevo questa forma di vita e ancora non l’ho studiata bene. Fino ad ora pensavo che le foglie e le piante innescassero il meccanismo della ripresa delle piogge, invece mi pare che anche le pietre potrebbero essere un veicolo. Lo studio, la ricerca nell’ambiente, sono la grande speranza.

Pubblicato su AAM Terra Nuova, aprile 1999.