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Caso Sircana. Per andare oltre i fatti

di Carlo Gambescia - 16/03/2007

 

Davanti al caso Sircana sono possibili tre reazioni. Vediamo quali.
La prima è di tipo moralistico-spengleriano, e dunque di aprioristica condanna, dal momento che il polverone mediatico non si è ancora diradato. L’approccio moralistico, di solito, si conclude con la condanna dell’intera classe politica (con sfumature diverse a seconda dell’appartenenza di chi critica…). E con un giudizio catastrofico circa il futuro delle classi dirigenti italiane, ritenute corrotte e incapaci di governare. Il moralista-spengleriano, in genere, ama annunciare periodicamente, la dissoluzione “del regime”, tra i fulmini e le fiamme di una specie di nuovo giudizio universale. Che però, sembra, non giungere mai.
La seconda è di tipo psicologico-libertario, e dunque di aprioristica assoluzione. Anche in questo caso, seppure più sottilmente, si dà per scontata, la “colpevolezza” di Sircana, pur riconducendo la questione nell’alveo della sua vita privata, e invocando la “sospensione del giudizio”… Ovviamente, la scuola di pensiero psicologico-libertaria, si guarda bene dal giudicare in modo catastrofico l’evoluzione del profilo morale delle classi dirigenti italiane. Inoltre, spesso, utilizza per i politici due pesi e due misure: chiunque rubi va condannato senza alcuna pietà, mentre chiunque mostri inclinazioni sessuali non conformiste non va giudicato, perché si tratta della sua privacy. E di conseguenza, se proprio necessario, piuttosto che al giudice, ci si dovrà rivolgere allo psicologo.
La terza reazione, la meno diffusa, è di tipo realistico. E ci spieghiamo subito: il periodico succedersi di scandali e inchieste giudiziarie senza che poi cambi nulla, indica un fatto preciso: che il sistema di potere è molto forte. E che, in sostanza, è praticamente impermeabile a ogni opera, diciamo così, di “bonifica giudiziaria”. Di conseguenza, la sua fine, a differenza di quel che ritengono i moralisti spengleriani, è piuttosto lontana. Per contro - e a prescindere dal caso Sircana - la visione della scuola di pensiero psicologico-libertaria, che scinde la responsabilità del politico, in due tronconi (il pubblico e il privato), accresce la professionalizzazione della politica. Che per un verso è sicuramente un fatto positivo. Ma per l’altro favorisce l’idea, piuttosto gretta, che un uomo politico debba rispondere ai suoi elettori, solo per gli atti compiuti, diciamo così, tra le ore 8 e 17. Il che significa che la politica finisce per essere vissuta dall’interessato, non come una “missione” ma come un lavoro. Con tutto quel che segue in termini di frustrazioni personali, relazionali e familiari. E conseguenti ricadute negative, delle stesse, sul piano “politico-professionale”. Che il tema, da noi sottolineato non sia di secondaria importanza, è provato, per contrasto, dal desiderio dei politici di apparire, nonostante gli impegni “professionali”, sempre al centro di una ricca e felice vita familiare e relazionale. Favorendone la documentazione, anche fotografica, su riviste dirette al grande pubblico, senza minimamente preoccuparsi della privacy.
Per il realista - e si tratta della nostra posizione - impermeabilità del potere e professionalizzazione della politica vanno di pari passo. L’una si appoggia all’altra. Di qui la loro forza comune.
Perciò il vero problema è quello di come deprofessionalizzare la politica: di come far sì che l’ingresso di “uomini nuovi”, privi di motivazioni grettamente professionali, possa finalmente incidere sulla struttura dei rapporti di potere.
Certo, a prima vista, si tratta di una mission impossibile, soprattutto nella situazione attuale. Tuttavia non bisogna demordere. Dal momento che non scorgiamo alternative all’attesa messianica della fine, auspicata dagli spengleriani, o alle dotte disquisizioni giuridiche sulla privacy dei politici.
Serve un’inversione di rotta.