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Le mani delle banche su Telecom

di Andrea Angelini - 16/03/2007



Le banche che già avevano imposto Guido Rossi al posto di Marco Tronchetti Provera alla presidenza di Telecom approfittando degli enormi debiti che gravavano sulla filiera di controllo del gruppo telefonico, starebbero studiando la nascita di una cordata per rilevare il gruppo Olimpia (controllato all’80% dalla Pirelli dello stesso Tronchetti e al 20% dai Benetton) che detiene come socio di maggioranza il 18% della stessa Telecom.
Una soluzione che assumerebbe una identità puramente finanziaria e che sarebbe il presupposto per una vendita successiva di Olimpia, e quindi della partecipazione in Telecom, ad un gruppo straniero del settore. Forse la spagnola Telefonica. Le indiscrezioni circolate sui soggetti interessati a questa cordata parlano infatti anche della definizione di un piano industriale e di un partner strategico in grado di subentrare successivamente come nuovo azionista di controllo.
I nomi che circolano sono quelli di Intesa-San Paolo, Capitalia, e Mediobanca, e in seconda battuta di Monte dei Paschi di Siena e Assicurazioni Generali. Tutti metterebbero non indifferenti risorse in comune per sostenere un’operazione dalla quale ovviamente si spera di ricavare un guadagno che compensi dei soldi investiti. Questa operazione avverrebbe attraverso le solite alchimie definite “ingegneria finanziaria” con le quali gli esponenti del capitalismo italiano riescono a trasformare i crediti in debiti e viceversa e scaricarne come sempre il prezzo sulle spalle dei piccoli azionisti. Attualmente il debito di Olimpia ammonta a 2,8 miliardi di euro ed è stato determinato sia dai soldi chiesti in prestito alle banche da Pirelli per rilevare la quota di Telecom sia della rettifica al ribasso a 3 euro del valore delle azioni Telecom in portafoglio iscritte originariamente in bilancio da Olimpia al valore di costo di 4,23 euro e da Pirelli a 4 euro, ma successivamente notevolmente scese in Borsa tanto da toccare oggi i 2,1 euro.
Una rettifica che ha condizionato in negativo anche il bilancio 2006 della Camfin, la società con cui Tronchetti Provera controlla la Pirelli, e ovviamente anche quello della stessa Pirelli. Giunti a questo punto è stato gioco forza per Tronchetti Provera ribadire la propria disponibilità a vendere Olimpia. L’unico problema riguarda adesso il valore da attribuire alle azioni ordinarie Telecom in portafoglio ad Olimpia.
I potenziali acquirenti sono attestati su una cifra complessiva di 3,5 miliardi di euro pari 2,625 euro per azioni ben lontani però dai 3 euro chiesti dal presidente della Pirelli. La soluzione potrebbe trovarsi in un prestito convertibile a tre anni a fronte della garanzia delle azioni Telecom di Olimpia.
La lunga querelle di Telecom sembra quindi avere imboccato la dirittura finale al termine della quale si saprà che fine farà la rete fissa di Telecom che dovrebbe essere scorporata dalla casa madre, chi sarà presumibilmente il nuovo padrone di Tim, la gallina dalle uova d’oro, la società in grado quasi da sola di sostenere i risultati economici e soprattutto finanziari dell’intero gruppo. Tronchetti Provera prima di essere disarcionato dalle banche e sostituito da Guido Rossi voleva vendere Tim per fare cassa e migliorare i conti della sua disastrata catena societaria di controllo (Gpi-Camfin-Pirelli-Olimpia).
I contrasti con Prodi e la maniera in cui è stata gestita la vicenda del piano preparato dal “prodiano” Angelo Rovatti per il riassetto di Telecom ne hanno decretato la fine politica. Quella imprenditoriale era già evidente a chi aveva un minimo di dimestichezza con la matematica e non si lasciava condizionare dalla melassa sparsa dai giornali dei vari salotti buoni pronti ad esaltare le magnifiche e progressive sorte della Telecom e ovviamente delle società azioniste e delle banche creditrici. Ora il gioco è finito ma in pochi ricordano la genesi storica del disastro attuale.
A partire dalla privatizzazione che consegnò Telecom alla cordata degli Agnelli che la controllavano con meno del 7% del capitale. Per proseguire con la Opa lanciata senza soldi liquidi dalla Olivetti di Colaninno che riversò su Telecom un debito immenso rendendone impossibile la gestione. Per finire alla vendita alla Pirelli di Tronchetti Provera anche lui incapace di raddrizzare la barca. Prima dell’Opa di Colaninno, avallata nel 1999 dal governo di Massimo D’Alema, c’erano in Italia due società italiane di telefonia fisso-mobile, e cioè Telecom-Tim e Omnitel-Infostrada (controllata dall’Olivetti e che la società di Ivrea dopo l’Opa su Telecom dovette vendere alla tedesca Mannesmann poi a sua volta comprata dall’inglese Vodafone). Ed una terza la Wind dell’Enel stava per nascere. Adesso le ultime due sono in mano straniera e la prima sta per seguirle. Tutto questo è successo perché la politica ha voluto giocare con un settore strategico e necessario allo sviluppo della nostra economia appoggiando per motivi di bottega ora questo ora quel finanziere, privo sempre di quattrini come i tanto deprecati “furbetti del quartierino”. Parlare di imprenditori nel caso di questi “furboni del quartierone” sarebbe in effetti davvero troppo.
Sconfortato il giudizio del segretario della Uil Luigi Angeletti: “Se anche la Tim dopo Vodafone e Wind diventa straniera non mi fa certo piacere... Quella di Telecom è una sfida che dovrebbe essere raccolta dalle imprese italiane. Però più di tanto non possiamo difendere l’italianità delle aziende altrimenti, come già successo per altre realtà, l’Europa ci bacchetta le mani. Penso anche che il nostro capitalismo debba essere stimolato affinché cresca, anche se non credo che ci sia una specie di maledizione genetica sugli imprenditori italiani rispetto a quelli degli altri paesi europei. Quello che potrebbe fare il governo è concentrarsi sul progetto che vede l'infrastruttura di telecomunicazioni organizzata in modo da poter essere condivisa da tutti gli operatori, secondo la soluzione inglese”.
Nella quale la proprietà della rete resta pubblica.
Almeno questa lasciatecela.