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Terra di lavoro: il degrado ambientale dei monti Tifatini

di Lello Ragni - 17/03/2007



Il meridione d’Italia è caratterizzato da un pessimo rapporto tra attività economica ed ambiente, ed alcune sue province sono tra le peggiori per qualità della vita. Caserta è tra queste, proprio per l’assenza di una pianificazione territoriale e di una seria politica di tutela ambientale. Per anni lo sfruttamento delle risorse naturali è avvenuto in modo indiscriminato, con forme di illegalità diffusa che hanno favorito la crescita di organizzazioni criminali. Una panoramica delle cave insediate sui monti Tifatini mostra come l’illegalità modifichi il paesaggio ed incida sulle caratteristiche morfologiche del territorio. Contigui ai luoghi di estrazione sorgono stabilimenti di trasformazione del materiale estratto, impianti ad alto impatto ambientale che in alcuni casi sorgono a ridosso dei centri abitati o comunque in posizioni che favoriscono la dispersione di polveri e fumi verso la città e le sue frazioni.
Il comprensorio orografico dei monti Tifatini, si estende per 14.800 ettari. La natura dei monti è essenzialmente calcarea. La flora varia dal cespugliato alla macchia alta, dal boschetto misto e dai prati polifiti fino agli orti ed ai vigneti. La fauna fluviale comprende il granchio di fiume, la salamandrina degli occhiali ed il tritone italico. Il sistema montuoso tocca 9 comuni di cui 8 collocati nella provincia di Caserta ed uno, Limatola, sito nella provincia di Benevento. Un immenso paesaggio compreso tra due siti micaelici di grande importanza: la basilica paleocristiana di Sant’Angelo in Formis ed il santuario di San Michele presso Maddaloni. Intorno a Caserta la corona dei Tifatini abbraccia ben 22 frazioni, che comprendono luoghi di grande interesse culturale, come il Belvedere di San Leucio, l’eremo di San Vitaliano, il santuario di Santa Lucia e soprattutto il borgo medievale di Casertavecchia, origine storica della civitas casertana, considerato monumento storico nazionale e patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
Tutta l’area è oggetto di valutazione della UE per essere inserita in un piano di conservazione ambientale con il codice IT8010016 denominato appunto Monte Tifata. Questa particolare condizione porrebbe la catena sotto la protezione degli organismi comunitari, con l’obbligo sancito dalla direttiva comunitaria 92/43, dell’astensione da qualsiasi attività che possa causare il degrado del sito in questione. In linea di principio potrebbe anche intervenire la Commissione UE per violazione della legislazione comunitaria, adottando tutte le misure necessarie, tra cui le procedure previste in caso di infrazione dall’art.26 del trattato CEE. Ma di fatto non è mai intervenuta. L’inerzia degli enti locali - regione provincia, comune - viene ripetutamente denunciata dalle associazioni ambientaliste.
Da una indagine condotta sul territorio, risultano presenti circa 30 cave, tra tufacee e calcaree. Delle ultime ben 6 sono ancora attive. Il fronte delle cave ha una superficie nuda superiore a 1.000.000 mq, ma il ritmo di estrazione lascia intravedere l’asportazione di imponenti cubature. L’attività estrattiva viene effettuata in dispregio agli obblighi sanciti dalle concessioni sia per quanto riguarda la coltivazione a gradoni, sia per l’entità del materiale estratto, sia per la conservazione dell’humus per il ripristino ambientale. Il controllo dell’attività estrattiva, affidato al Genio Civile, è praticamente inesistente. Il danno ambientale - derivante dall’eventuale prosieguo dell’attività di cava fino alla completa cancellazione di parte di alture che ricadono nel comune di Caserta - può essere stimato nell’ordine dei 3.650 milioni di euro (oltre 7.000 miliardi del vecchio conio).
Uno studio del CIRA, commissionato dalla Provincia di Caserta, ha calcolato che la produzione delle cave sui Monti Tifatini ammonta al 55% dell’intera produzione provinciale. Basti pensare che 10 cave producono 3.800 tonnellate all’anno di materiale. Una quantità enorme per un territorio oramai esausto e che presenta tutti i sintomi della devastazione. L’azione abrasiva e corrosiva delle polveri, combinata alle piogge acide, ha provocato la degradazione di un vasto patrimonio mobiliare ed immobiliare che presenta un pregevole valore storico: casali, palazzi nobiliari, architettura religiosa. Il flusso dei veicoli tocca strade storiche delle frazioni, della periferia e del centro stesso, creando disagio per scuole, case, chiese.
In tutto il territorio dei Monti Tifatini esistono i presupposti per dichiarare lo stato di emergenza ambientale con tutto quello che ne consegue dal punto di vista giuridico-amministrativo. Ciò per le seguenti ragioni:
-c’è un continuo rischio di dissesto idrogeologico per smottamenti, frane ed escavazioni sotterranee;
-le emissioni di grandi quantità di fumi e polveri calcaree e cementizie, diffuse nell’aria in dispregio della legge 203/88, alterano le caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del territorio;
-il vento, quando spira con intensità, contribuisce alla diffusione di agenti fortemente patogeni nell’ambiente, con pesante danno all’igiene urbana e contravvenendo alle direttive comunitarie in materia di quantità di polveri sottili PM10;
-nelle frazioni di Caserta più vicine alle cave è stata rilevata, anche dall’OMS, l’accentuarsi delle malattie respiratorie, dermatologiche e tumorali, specie tra i bambini e gli anziani, oltreché un aumento dei di casi di silicosi e delle forme leucemiche dell’infanzia;
-i centri abitati, che sorgono in prossimità delle cave, sono fortemente esposti, oltreché alle emissioni di polveri cementizie e di gas, anche ad inquinamento acustico causato da rumori superiori alla soglia ammessa dalla legge e dalle direttive comunitarie, oltreché alle esplosioni di mine che procurano anche danni alle abitazioni private;
-il transito dei mezzi di trasporto pesanti, effettuato in totale dispregio delle limitazioni imposte dal codice della strada, ha degradato il sistema viario delle frazioni, con presenza diffusa di polveri e residui calcinosi dispersi dai veicoli che viaggiano sprovvisti delle coperture obbligatorie per il carico che trasportano. Tutte le iniziative di promozione e valorizzazione del territorio ostano con un paesaggio che ha assunto tratti apocalittici e che, logicamente, fa da sfondo negativo ai monumenti. Il degrado ambientale impedisce, almeno in linea di principio, anche la costruzione del secondo policlinico dell’Università Federico II a Caserta nell’ex area St.Gobain. Infatti non avrebbe alcun senso andarsi a curare in una città in cui l’area è irrespirabile e ci si ammala sempre più di tumori alla vie respiratorie. Eppure un tempo su monti Tifatini, sgorgavano acque medicinali e querce secolari, cosa che oggi appare inimmaginabile. Alle accuse ed alle preoccupazioni degli ecologisti e dei cittadini, i politicanti locali rispondono che non bisogna trasformare la natura in un museo. A chi la pensa in questo modo, auguriamo di poter sperimentare la rivolta della natura contro se stessi.