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Malinconia

di Marisa Volpi - 19/03/2007

La «tristitia» moderna è cosa diversa dall’accidia: con la crisi delle certezze ideologiche e politiche, mentre alcuni trovano uno sbocco riempiendo la loro vita con la presenza di Dio, altri vivono la ricerca dell’assoluto come esperienza della malattia interiore che trova un balsamo nell’arte

Vorrei subito ricordare un quadro di Zurbaràn del 1630, del Cleveland Museum of Art, esposto nel 2006 a Parigi e a Berlino nella mostra Mélancolie. Il quadro riscatta la malinconia dall'identificazione con malesseri quali la follia, l'accidia, il male, l'umore saturnino. Il dipinto è La casa di Nazareth: a sinistra della tela Gesù medita sulla corona di spine, a destra la Madre ha l'attitudine tipica nei secoli della Malinconia: un braccio sostiene un volto pensoso e triste. Meditano ambedue sul destino della Passione. Ma qui i libri, le nature morte, le colombe, i fiori, il buio, la luce, tutto è investito dal tema sacro che scaccia l'accidia e i demoni medievali e impone una sosta quasi liturgica, prima del pensiero romantico e positivista dei secoli futuri. È un quadro sublime.
In un'analoga direzione va il disegno di Leonardo Studio di vecchio, 1513, Londra Windsor Castle. Secondo il critico Jean Clair, anche il vecchio di Leonardo volge le spalle ai reperti della saggezza medievale così evidenti nell'incisione di Dürer, prefigurando invece un Faust che ci ridia la sete di assoluto e l'energia per assecondarla.
Liberato per il bene e per il male, dalle utopie politiche lo stato d'animo - la cultura - del mondo contemporaneo sembra avere due poli significativi: la fede dove il pensiero mondano si riempie della presenza di Dio, e la malinconia intesa nella sua molteplice valenza di tristezza, depressione, preludio e ispirazione di ogni arte e di ogni pensiero. Ed è a questa riconosciuta malinconia che, dopo i colpi della rivoluzione francese e l'indebolirsi delle ideologie, si accompagnano di nuovo coscientemente la vita e la ricerca artistica.
Nel 1830 Maurice de Guérin già scriveva: «Viviamo interiormente troppo poco, quasi nulla. Che è avvenuto di quell'occhio spirituale che Dio ci ha dato per vegliare senza posa sulla nostra anima?…».
E Victor Hugo: «Voi vi prendete il capo tra le mani, cercate di vedere e di sapere. Siete la finestra dell'ignoto…L'uomo che non medita vive nella cecità, quello che medita vive nell'oscurità. Abbiamo solo la scelta del nero…».
E Baudelaire torna in varie occasioni a misurare quanto l'arte, la poesia e tutto ciò che vi attiene sia collegato a stati d'animo profondamente malinconici: «In certi stati d'animo - dice - quasi soprannaturali, la profondità della vita si rivela nello spettacolo che abbiamo sotto gli occhi, per quanto usuale possa essere. Esso ne diviene il Simbolo». Riempiti da questo bisogno di senso, i malinconici sono costretti a contemplare o a fare arte, a cercare una voce per l'inquietudine e l'esaltazione, o a lavorare con lucida freddezza per dominare la violenza dei sentimenti.
Arte, musica, poesia e pensiero sono collegati con questa tristitia che aleggia nell'opera stessa, e che l'ispira mentre trasfigura la realtà nella forma.
Nell'ultimo decennio sono usciti molti libri e saggi sulla malinconia: cito tra tutti il recentissimo George Steiner, Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero, dove si legge all'inizio una frase di Schelling sul «velo di tristezza che si stende su tutta la natura e la profonda, insopprimibile malinconia di ogni vita».
In Italia, com'è noto, un artista ha concentrato nella fantasia delle immagini la rappresentazione stessa della malinconia, mi riferisco alle Piazze d'Italia di De Chirico e al suo stesso racconto di come ne ebbe la prima visione in Piazza Santa Croce a Firenze nel 1910, e come la strana impressione di vederla la prima volta ispirasse il quadro, rivelato all'occhio dello spirito.
Nell'opera di de Chirico domina l'enigma dell'assenza, sparisce il racconto, e continua ad aleggiare un'acme di pensiero negativo. Ancora, dopo un secolo, non sappiamo tradurre questa malinconia dell'enigma e gli assemblages dei suoi dipinti rimangono statici, linguaggio incontaminato dalla parafrasi.