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Energia: una crescita insostenibile

di Franco Marenco, Emilio Martines, Massimo Zucchetti - 19/03/2007

Il modello di sviluppo capitalistico richiede una continua crescita della domanda di energia,

necessaria per il funzionamento delle industrie, per i trasporti, per i servizi, per l'agricoltura e per

fornire i comfort domestici. Ma l'energia non può essere prodotta dal nulla: essa può solo essere

ricavata da un certo numero di fonti, quali i combustibili fossili, le centrali nucleari, e le fonti

rinnovabili. Ciascuna fonte presenta dei punti di forza e dei punti di debolezza, che verranno

brevemente analizzati in questo articolo.

Il dato complessivo che emerge è l'impossibilità di sostenere l'attuale crescita della domanda

energetica, a meno di accettare un drastico impoverimento dell'ambiente (riscaldamento globale,

emissione di inquinanti, deturpazione del paesaggio, scorie tossiche e radioattive, ecc.). Tale

situazione è tanto più critica se si tiene conto delle forti ineguaglianze che esistono a livello

mondiale nell'accesso all'energia, e delle forti tensioni internazionali causate dal progressivo

esaurimento di talune fonti.

Secondo alcuni osservatori, la soluzione del problema energetico verrà trovata grazie agli

sforzi per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, l'introduzione dei veicoli a idrogeno e il risparmio

energetico. Tuttavia, nell'articolo mostreremo che tali sforzi sono del tutto insufficienti se la

comunità mondiale non è in grado di cambiare paradigma, in particolare rinunciando all'obiettivo

della crescita economica continua.

 

1. Introduzione

Siamo abituati a vedere le macchine lavorare per noi, i calcolatori elaborare per noi le informazioni,

e i termosifoni scaldare le nostre case. Ma queste ed altre attività (lavorare, trasportare, scaldare,

illuminare, cuocere, ecc.) non sono possibili senza energia. La disponibilità di energia è

direttamente collegata al tenore di vita, alla ricchezza e al benessere: da essa dipendono non solo le

comodità ma anche ad esempio la durata della vita media di una popolazione, la possibilità di

usufruire di cure mediche, ecc.

Il sistema capitalistico, d'altra parte, ha come fondamento una continua accumulazione del

capitale produttivo, dalla quale deriva una crescita esponenziale dei flussi di denaro, delle merci, e

dei consumi. E la crescita economica non può che accompagnarsi alla crescita della domanda di

energia: a livello mondiale è infatti prevista una crescita della domanda energetica del 70% nei

prossimi trent'anni.(1)

Il prodotto interno lordo ed i consumi energetici sono quindi due variabili intimamente

correlate fra loro. Ma l'energia occorrente alla crescita economica non può essere prodotta dal

nulla.(2) Nell'ambito dell'approfondimento sul tema dell'energia promosso da Giano, ci è sembrato

pertanto opportuno offrire una riflessione sulla compatibilità del sistema della crescita con la

disponibilità di risorse sul nostro pianeta.

2. Risorse energetiche

La maggior parte dell'energia che utilizziamo ci arriva dal Sole: la frazione dell'energia solare che

viene intercettata dalla Terra rappresenta in effetti una quantità enorme,(3) e tuttavia soltanto una

piccolissima frazione di quest'energia può essere utilmente impiegata per le attività umane. In era

preindustriale, l'energia era principalmente fornita dalla legna da ardere (energia termica) e dalla

forza muscolare di uomini ed animali (energia meccanica).(4) Entrambe queste forme di energia

hanno origine nel processo di fotosintesi, che permette alle piante di accumulare l'energia solare, e

agli animali (incluso l'uomo) di trarne vantaggio attraverso la catena alimentare. L'avvento dell'era

industriale è stato invece marcato dalla capacità dell'uomo di sfruttare nuove fonti energetiche.

Oggigiorno, l'energia occorrente per le industrie, per i trasporti, e per le comodità domestiche è

fornita da un certo numero di fonti, appartenenti a tre grandi classi: combustibili fossili,

combustibile nucleare, ed energie alternative.

Combustibili fossili

Nel corso di lenti processi durati centinaia di milioni di anni, una parte molto piccola dell'energia

accumulata dalle piante per fotosintesi si è immagazzinata nel sottosuolo sotto forma di carbone,

petrolio e gas naturale. Per sfruttarli, questi combustibili vengono bruciati (nelle caldaie, nei motori,

nelle centrali elettriche, nelle fornaci): essi rappresentano circa l'80% del fabbisogno energetico a

livello europeo, così ripartito: 41% petrolio, 22% gas naturale e 16% carbone.(5) L'uso di queste

fonti presenta tuttavia una serie di inconvenienti:(6) (a) le riserve di combustibile sono distribuite

disegualmente fra i paesi del mondo; (b) i combustibili vengono consumati ad un tasso di gran

lunga superiore a quello della loro rigenerazione naturale; e (c) il loro uso comporta gravi danni

all'ambiente, fra cui l'emissione di inquinanti e di anidride carbonica.

La distribuzione diseguale delle risorse energetiche determina una situazione squilibrata e

politicamente destabilizzante a livello globale. Le riserve maggiori di petrolio e gas naturale si

trovano infatti in Medio Oriente, Russia, Mar Caspio, Nord Africa e Venezuela (ad esempio il 70%

4

del petrolio mondiale si trova nei paesi aderenti all'OPEC). D'altra parte, i paesi consumatori di

energia, cioè soprattutto i paesi ricchi del Nordamerica e dell'Europa occidentale, considerano a

rischio il proprio stile di vita, minacciato dalle incertezze relative alla sicurezza

dell'approvvigionamento in carburanti e all'instabilità dei relativi prezzi.(7) Secondo la Commissione

Europea, “la dipendenza energetica è il tallone d'Achille dell'economia europea”.(8) La

conseguenza di questo squilibrio è riscontrabile nella contesa geopolitica e nelle `nuove guerre,'

condotte in particolare da parte degli Stati Uniti d'America.(9) La posta in gioco non consiste

soltanto nel dominio sui territori contenenti i giacimenti, bensì anche sulle vie di trasporto dei

combustibili, identificabili con i territori della Turchia, del Caucaso, dei Balcani, e dell'Europa

orientale. Non è quindi casuale che i territori sui quali si sono svolte le `nuove guerre' (Iraq,

Jugoslavia e Afghanistan) coincidano con questi territori, come non è casuale la destabilizzazione di

determinate repubbliche della Federazione Russa (quale la Cecenia).

Il secondo inconveniente, ossia il consumo dei combustibili fossili ad un tasso troppo

elevato, determina una possibilità ancora più allarmante per i paesi ricchi: l'esaurimento delle

riserve. Il mondo è consapevole sin dagli anni Ottanta che il tasso di scoperta di nuove riserve

petrolifere è ormai piccolissimo rispetto al tasso di produzione e consumo, ragion per cui si attende

un forte scossone per il 2010-2015, quando si prevede che il tasso di estrazione del petrolio

comincerà il suo lento ma inesorabile declino.(10) Per il gas naturale, l'analisi è molto simile, e

soltanto per il carbone vi è una relativa tranquillità, dal momento che le riserve mondiali sono

giudicate sufficienti per circa 200 anni.(11)

Infine, come abbiamo detto, vi è una stretta connessione fra energia e inquinamento: la

combustione è infatti associata a tutta una serie di emissioni, quali monossido di carbonio, ossidi di

zolfo ed azoto, idrocarburi, polveri sottili. Lo squilibrio nella distribuzione mondiale dei

combustibili fossili determina altresì gli inconvenienti collegati con il loro trasporto: maree nere,

perdite dagli oleodotti e gasdotti, ecc. Ma l'inconveniente ambientale che viene considerato più

grave è l'emissione in atmosfera di grandi quantitativi di anidride carbonica, considerata il maggiore

responsabile della modifica del clima.(12) La minaccia globale dovuta alle crescenti emissioni di

anidride carbonica ed altri cinque gas ad effetto serra (per la gran parte attribuite alla produzione di

energia) è l'oggetto del Protocollo di Kyoto, sottoscritto dalle nazioni di tutto il mondo nel 1997, e

non ancora entrato in vigore per la mancata ratifica da parte di Stati Uniti e Russia.

Per mancanza di valide tecnologie energetiche in grado di sostituirli, i combustibili fossili

continueranno a dominare la produzione energetica ancora per molto tempo. Si prevede che essi

rappresenteranno il 90% della produzione energetica mondiale del 2030 (con la seguente

suddivisione: 34% petrolio, 28% carbone, e 28% gas naturale).(13) Il rallentamento nell'estrazione

del petrolio sarà compensato dall'ascesa del gas naturale per la produzione di elettricità e calore,

nonché per la propulsione degli autoveicoli. Dal canto suo, l'incremento del consumo di carbone

avverrà per i due terzi in Asia (Cina ed India). In assenza di determinazione e di drastiche politiche

correttive, le emissioni globali di anidride carbonica del 2030 saranno il doppio di quelle del 1990.

Combustibile nucleare

Una fetta consistente dell'energia prodotta in Europa (circa 125 GW, pari ad un terzo dell'energia

elettrica e al 15% del fabbisogno energetico(14)) proviene dalla fissione nucleare. In questo caso non

si tratta di energia solare immagazzinata sotto una qualche forma, bensì di energia accumulatasi nei

nuclei atomici già molto tempo prima della formazione della Terra.

Le speranze che l'uso della fissione nucleare a scopi civili ha fatto sorgere nella seconda

metà del XX secolo sono state molte. Indipendentemente dalla loro dotazione naturale in prodotti

energetici, tutti gli Stati che ne avevano i mezzi si sono impegnati in vasti programmi nucleari

civili. Macchiato dal peccato originale del duplice uso (civile e militare) che caratterizza il ciclo del

combustibile, e che tuttora rappresenta un pericolo, lo sviluppo del settore nucleare, vertiginoso

5

negli anni Settanta ed Ottanta, è inquadrato nell'Unione Europea dal trattato Euratom, dal trattato di

non proliferazione del 1968 (entrato in vigore nel 1970) e dalle norme dell'AIEA (Agenzia

Internazionale per l'Energia Atomica). Questo sviluppo ha subito un evidente rallentamento nel

corso degli ultimi 15 anni.

Per quanto riguarda questo argomento, trarremo la maggior parte delle nostre considerazioni

dal Libro verde.(15) Le preoccupazioni per il riscaldamento climatico hanno modificato la

percezione dei vincoli di approvvigionamento energetico, non solo per l'Europa, e la questione è

particolarmente acuta per il nucleare: esso consente infatti di evitare parte delle emissioni dei gas ad

effetto serra derivanti dal consumo di combustibili fossili. L'energia nucleare permette attualmente

di evitare emissioni di gas a effetto serra corrispondenti ad oltre 300 milioni di tonnellate di anidride

carbonica (ossia circa la metà delle emissioni dovute al parco automobilistico europeo).

L'Unione Europea possiede scarse riserve di uranio naturale, il combustibile in uso nelle

centrali atomiche. Le riserve mondiali accertate sono stimate in 2,5 milioni di tonnellate, cioè circa

quarant'anni di consumo al ritmo attuale. Le risorse conosciute addizionali non ancora sfruttate sono

di 850.000 tonnellate (cioè 15 anni di consumo) e si situano soprattutto in Australia, Canada,

Caucaso ed Africa. Una maggiore disponibilità di uranio è possibile a costi superiori, dovendosi in

tal caso ricorrere a riserve “non convenzionali.” Una stima più ottimista delle riserve deriva dal

carattere riciclabile del combustibile esaurito: a differenza delle altre energie primarie, il

combustibile nucleare può essere riciclato dopo irradiazione, riducendo così il fabbisogno di

importazioni. Una volta separati dai residui (4% circa) del primo utilizzo, l'uranio e il plutonio

possono essere nuovamente usati per produrre elettricità (96%): in questo modo è possibile sfruttare

maggiormente l'uranio dal punto di vista dell'energia da esso ottenibile. Occorre ricordare però che

le tecnologie atte a riciclare l'uranio vengono utilizzate anche per la produzione di plutonio a scopi

militari.

La gamma delle scelte sul nucleare compiute dai vari Stati è molto ampia. L'opzione

nucleare rimane aperta in molti Stati dell'Unione europea, come lo è in Giappone, negli Stati Uniti,

in Canada o in altre parti del mondo: vi sono alcune decine di centrali nucleari in costruzione o

progettate, principalmente nei paesi dell'est asiatico. Per contro, molte decine di centrali nucleari

europee verranno smantellate nei prossimi decenni, in quanto su otto Stati nuclearizzati dell'Unione

Europea, cinque hanno adottato o annunciato una moratoria. L'Italia ha rinunciato al nucleare con il

referendum del 1987, la Germania ha annunciato la sua decisione di chiudere i suoi ultimi reattori

nel 2021 e il Belgio nel 2025. La Francia, il Regno Unito e la Finlandia non si sono pronunciate per

una sospensione del nucleare ma molto probabilmente nei prossimi anni non saranno costruiti nuovi

reattori (tranne forse in Finlandia).

La progressiva eliminazione dell'industria nucleare o le moratorie al riguardo decise da

alcuni Stati non incideranno tuttavia a breve termine: ad esempio, sulla capacità di raggiungere gli

obiettivi di Kyoto (nella misura in cui tali decisioni secondo i progetti attuali, avranno effetti

soltanto dopo il 2012). A medio e lungo termine, però, e sulla base delle conoscenze attuali, bisogna

tener presente che l'abbandono totale dell'energia nucleare significherebbe che l'attuale 35% della

produzione di elettricità dell'Unione Europea (il 16% mondiale) dovrebbe provenire dai

combustibili fossili e dalle rinnovabili.

Il futuro di questo settore presuppone una risposta chiara, precisa e trasparente alla questione

del trattamento delle scorie radioattive e del loro trasporto: anche la percezione pubblica del rischio

nucleare è dipendente da ciò. Un sondaggio realizzato nell'ottobre-novembre 2001 per la

Commissione europea (Eurobarometro) mostra che i due terzi degli intervistati ritengono che, se la

gestione dei residui nucleari fosse risolta in maniera soddisfacente per la sicurezza e l'ambiente, il

nucleare potrebbe restare un'opzione aperta per la produzione di elettricità. D'altro lato, la questione

della sicurezza nucleare, ad esempio nel quadro di un'Unione allargata a paesi dell'ex-orbita

sovietica, dove sono tuttora in funzione reattori nucleari obsoleti, resta una delle preoccupazioni

principali.(16) I pericoli potenziali, sanitari e ambientali suscitano l'opposizione di una buona parte

dell'opinione pubblica. Nel 1979 l'incidente di Three Miles Island negli Stati Uniti causò il

6

referendum svedese sul nucleare. L'entrata di gruppi di pressione e di partiti ecologisti nella vita

politica degli Stati dell'Unione Europea e l'incidente di Chernobyl nell'aprile del 1986 (la tragedia

più grave della storia dell'atomo dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki), hanno segnato

una svolta nello sviluppo dell'industria nucleare in Europa e nel mondo.

La ricerca in questo campo rimane in ogni caso di primaria importanza, così come per tutte

le altre fonti energetiche dove si evidenziano problemi e possibilità di miglioramento. In particolare,

la ricerca è soprattutto orientata verso le tecnologie di gestione dei residui radioattivi e verso lo

sviluppo dei reattori di nuova generazione a sicurezza intrinseca. Anche soltanto per l'esistenza in

questo momento, sul nostro pianeta, di 440 reattori nucleari in funzione, è necessario continuare a

mantenere e padroneggiare il know-how su questa tecnologia. Tuttavia, date le sue presenti

oggettive difficoltà appena messe in evidenza (oltre che per il suo carattere di energia comunque

non rinnovabile), l'energia nucleare non appare, allo stato dei fatti, risolutiva.

Quanto alla fusione termonucleare controllata, da molti indicata come la soluzione possibile

e definitiva del problema dell'energia, bisogna ricordare che difficilmente le ricerche potranno

fornire soluzioni pratiche nel breve e medio termine. Il problema maggiore di questo filone è la

necessità di ricorrere a progetti di ricerca di grandissime dimensioni, dovuta alle condizioni estreme

alle quali è necessario portare e mantenere il combustibile. Ciò fa sì che il cosiddetto `next step,' un

esperimento chiamato ITER che per primo dovrebbe essere in grado di produrre più energia di

quanta ne richieda il suo funzionamento, attrarrà una parte molto consistente del totale dei

finanziamenti a livello mondiale. La sola costruzione del reattore richiederà circa otto anni, ed è

prevedibile che lo sfruttamento commerciale di questa fonte di energia non sarà possibile prima di

40-50 anni.

Occorre poi ricordare che anche il reattore a fusione nucleare, basandosi su una reazione fra

deuterio e trizio (un materiale radioattivo) e comportando la produzione di neutroni veloci, sarà un

reattore nucleare a tutti gli effetti, dal punto di vista concettuale, anche se con ovvie differenze

rispetto ai reattori a fissione. In particolare, vi saranno anche qui problemi di sicurezza radiologica e

di produzione di scorie radioattive. La maggioranza degli studi lasciano però prevedere che i

reattori a fusione produrranno scorie con radiotossicità e tempi di dimezzamento molto inferiori

rispetto alle scorie ad elevata attività degli attuali reattori a fissione. Questi rifiuti richiederebbero

infatti tempi dell'ordine del secolo prima che la loro radioattività decada a livelli trascurabili, tempi

che sono da confrontare con i tempi geologici dei rifiuti delle centrali a fissione. I meccanismi insiti

nel modo di ottenimento della reazione di fusione nucleare garantirebbero inoltre per questi reattori

caratteristiche di sicurezza molto maggiori (sicurezza passiva) di quelle ottenibili tuttora con la

fissione, a distanza di cinquant'anni dal primo reattore nucleare di potenza.(17)

Energie alternative

Vanno sotto questo nome tutta una serie di fonti energetiche: idroelettrica, eolica, solare,

geotermica, da biomasse, ecc. Buona parte deriva direttamente o indirettamente dal Sole:(18) nel

caso del solare, la radiazione viene convertita direttamente in elettricità (solare fotovoltaico) o

calore (solare termico); nel caso dell'idroelettrico e dell'eolico vengono sfruttati rispettivamente il

ciclo dell'acqua ed i venti, entrambi attivati dal riscaldamento solare della superficie terrestre; nel

caso delle biomasse viene fatto uso dell'energia solare immagazzinata per fotosintesi dalle piante.

Queste fonti energetiche prendono talvolta l'appellativo di fonti rinnovabili: esso deriva dal

fatto che, a differenza dei combustibili fossili e nucleari, non viene sfruttata energia accumulatasi in

un lontano passato, per cui in linea di massima il fatto di utilizzarla non ne consuma le riserve. A

causa dei costi elevati e delle difficoltà tecnologiche, le energie alternative hanno tuttavia difficoltà

a decollare. La parte del leone la fa il settore idroelettrico (circa la metà della produzione energetica

rinnovabile in Europa); per tale settore bisogna tuttavia rimarcare le scarse potenzialità di

7

espansione dovute alle condivisibili resistenze delle popolazioni locali alla costruzione di nuove

dighe.

Risultano viceversa notevoli i progressi registrati dall'energia eolica nel corso dell'ultimo

decennio. Grazie a continui miglioramenti nell'efficienza e nella taglia delle turbine, la potenza

installata nel mondo è cresciuta dal 1995 a oggi allo stupefacente ritmo del 30% l'anno,

raddoppiandosi in media ogni due anni e mezzo. In questa rapida crescita alcuni paesi europei

hanno giocato un ruolo preponderante, in particolare la Danimarca, la Germania e la Spagna, grazie

a oculate politiche di incentivazione. In particolare la Danimarca, che ad oggi produce per via eolica

quasi il 20% dei propri consumi totali di elettricità, è diventata il maggior produttore mondiale di

turbine, creando un'industria che oggi dà lavoro a 20.000 persone. Comunque, siamo ancora lontani

dal poter contare su questa tecnologia per soddisfare gli attuali consumi: le turbine eoliche installate

nel mondo producono infatti una quantità di elettricità circa pari a quella prodotta da 10 grandi

centrali termoelettriche (basate sui combustibili fossili) da 1 GW ciascuna. Questo dato può essere

confrontato con i consumi elettrici mondiali, che sono di circa 1700 GW (ricordiamo inoltre che

l'elettricità costituisce solo una parte dei consumi energetici totali). Per il futuro, è prevedibile che la

rapida crescita dell'eolico possa continuare ancora per qualche anno; è lecito però chiedersi per

quanto ancora l'attuale ritmo di crescita possa essere mantenuto. Molto dipenderà dalla

competitività economica di questa forma di energia, che è ancora lontana dal raggiungere quella

delle centrali termoelettriche.

Per quanto riguarda la tecnologia fotovoltaica, che consente di produrre energia elettrica

attingendo direttamente alla radiazione solare, essa è ancora ben lontana da una applicabilità su

larga scala. Nonostante esistano in commercio pannelli fotovoltaici con adeguate caratteristiche di

efficienza e durevolezza, l'ostacolo principale viene ad essere quello economico, in quanto il

chilowattora fotovoltaico ha oggi un costo molte volte superiore a quello termoelettrico; non è

escluso tuttavia che tale costo possa progressivamente ridursi. A questo ostacolo di natura

economica va aggiunto l'aspetto del bilancio dell'energia necessaria per la produzione dei pannelli e

delle strutture accessorie. La questione è abbastanza controversa, ma secondo alcuni autori

occorrono molti anni di funzionamento solo perché il pannello possa `ripagare' l'energia consumata

nella sua costruzione (e nel suo smaltimento alla fine del ciclo di vita), per cui il rendimento

effettivo risulta sostanzialmente più basso di quello nominale.(19) A questo si potrà forse

parzialmente ovviare in futuro tramite l'introduzione di nuove tecnologie di produzione. Va infine

citato che, in ogni caso, la tecnologia fotovoltaica soffre della necessità di elevate superfici da

ricoprire di pannelli, a causa della bassa efficienza degli stessi e della limitata intensità della

radiazione solare. Alle nostre latitudini, se immaginassimo di coprire i tetti delle case con impianti

da 25 mq ciascuno, occorrerebbero 2 milioni di tetti per produrre una quantità di energia

equivalente a quella fornita da una grande centrale termoelettrica da 1 GW.(20)

Un'altra fonte di energia è rappresentata dalle biomasse, ossia la legna e i residui agricoli e

forestali (da ardere per produrre calore o elettricità) e le nuove colture finalizzate all'alimentazione

dei motori: si sente sempre di più parlare dei biocarburanti, ossia biodiesel e alcool (ricavabili ad

esempio dall'olio di colza, dalla barbabietola, ecc.). Nei fatti, tali carburanti rimangono ben poco

diffusi: attualmente, essi rappresentano appena lo 0,15% rispetto ai carburanti prodotti dal petrolio.

Il motivo va ricercato nel loro costo elevato e nella scarsa efficienza della conversione dell'energia

solare per il tramite della fotosintesi

Purtroppo, nel complesso le fonti rinnovabili sono destinate a restare una piccola frazione

del fabbisogno energetico: dal 6% attuale, è prevista una crescita sino al 9% nel 2010.(21) Sarebbero

necessari grossi sforzi politico-economici per aumentarne la quota, ma malgrado l'obiettivo fissato

dalla Comunità Europea di raggiungere il 12% del fabbisogno tali sforzi non sono tuttora visibili.

Va anche detto che l'appellativo di `alternative' non rende queste fonti prive di impatto ambientale.

L'effetto più visibile si esplica nei confronti del territorio (grandi superfici adibite a pannelli solari o

a parchi eolici, radicali modifiche del territorio ad opera delle dighe, ecc.).(22) Per quanto riguarda i

biocarburanti, a rischio è anche la biodiversità, che potrebbe essere minacciata dall'agricoltura

8

intensiva delle colture energetiche, senza dire che potrebbe derivarne un'immorale sottrazione di

territorio coltivabile alla produzione alimentare.(23)

Un mito ricorrente è quello secondo il quale un ipotetico passaggio alle fonti alternative

determinerebbe il decentramento della produzione di energia.(24) Tale affermazione è in verità molto

ottimista: è vero infatti che è tecnicamente possibile la produzione di piccole quantità di energia in

impianti eolici e solari domestici; ma vi sono ancora numerose incognite da tenere in conto. Se la

produzione e la distribuzione di energia saranno decentrate o no, ciò dipenderà dalle possibilità di

ottimizzazione della produzione, dalle soluzioni che saranno trovate per l'accumulazione

dell'energia prodotta, dalla convenienza economica, e soprattutto dalla volontà politica.

Le false fonti: elettricità ed idrogeno

Una parola va detta riguardo l'elettricità e l'idrogeno, da molti propagandati come forme di energia

pulita, e quindi risolutive dei gravi mali ambientali del Pianeta nonché dei problemi collegati allo

scarseggiamento dei combustibili fossili.(25) Si tratta tuttavia di false fonti energetiche: entrambe

queste forme di energia, in effetti, non sono presenti sulla Terra in forme addomesticabili, e

rientrano pertanto nella categoria dei vettori.(26) Ciò significa che, per essere utilizzate, esse

debbono essere prodotte a partire da una o più fonti primarie, il che comporta comunque il consumo

di una quantità superiore di energia rispetto ad un impiego diretto.(27) A seconda della fonte primaria

impiegata (di tipo fossile, nucleare o rinnovabile), inoltre, ne potrà conseguire emissione di anidride

carbonica, scorie radioattive, inquinamento, ecc.

Il vantaggio dell'elettricità e dell'idrogeno risiede nella possibilità di centralizzarne sia la

produzione che l'inquinamento, liberandone le città ed i luoghi dove avviene l'uso finale

dell'energia. Quando rappresenterà una tecnologia matura, l'idrogeno permetterà inoltre, meglio

dell'elettricità, di immagazzinare l'energia, e di trasportarla su grandi distanze oppure a bordo dei

veicoli privati. È proprio dall'applicazione ai veicoli che traspare infatti una delle grandi novità che

verranno con l'idrogeno: esso consentirà di alimentare le automobili sulla base di energia prodotta

dal carbone e dal nucleare, cosa che in pratica non è oggi possibile.(28)

Ad ogni modo, in nessun caso si può affermare che l'elettricità e l'idrogeno sono fonti pulite

di energia, per due semplici motivi: (a) non sono fonti di energia; e (b) la loro produzione da fonti

primarie non è generalmente un processo `pulito.' Di per sé, queste forme di energia non sono `né

sporche né pulite' ed esse non vanno valutate isolatamente, bensì in quanto anelli di una più vasta

catena di produzione e consumo.(29)

Il risparmio energetico

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, nessuna delle fonti energetiche disponibili può essere

considerata risolutiva. Talune fonti, come i combustibili fossili e nucleari, sono esauribili e

rischiano di lasciare una pesante eredità ambientale alle future generazioni. Le altre fonti non sono

ancora giunte ad uno stadio di maturità che ne consenta lo sfruttamento ai ritmi imposti dal nostro

attuale stile di vita. In altre parole, la nostra società sta vivendo al di sopra delle proprie possibilità.

Mossi da questa costatazione, alcuni autori considerano che è necessario ricorrere ad una

risorsa aggiuntiva: il risparmio energetico.(30) Solo risparmiando, essi ci dicono, potremo continuare

a disporre dell'energia occorrente per mantenere il nostro stile di vita; e ciò potrebbe anche

costituire un primo passo verso l'adozione di uno stile di vita più sobrio. Secondo l'autorevole

parere della Commissione di Bruxelles, ad esempio, “se delle misure importanti di restrizione della

domanda (energetica) non saranno prese, l'Unione Europea non potrà lottare contro i cambiamenti

climatici e neanche rispettare gli impegni di Kyoto”.(31) La soluzione proposta dalla Commissione

Europea è quella della stimolazione dell'innovazione tecnologica, finalizzata ad una maggiore

9

efficienza dei sistemi di produzione di energia e destinata ad accrescere la competitività

dell'economia.

Le misure possibili per l'aumento delle efficienze energetiche sono molteplici. Esse vanno

dalla costruzione di impianti di cogenerazione di energia elettrica e calore, alla modernizzazione

delle industrie, l'isolamento termico degli edifici, il miglioramento del rendimento dei motori, e così

via. Fra le misure possibili, vanno annoverate anche quella dell'incentivazione del trasporto

pubblico e quella del trasporto per mare o ferrovia delle merci. Vanno pure menzionate iniziative di

tipo simbolico, quali sono le campagne contro la “posizione di attesa” (stand-by) delle TV e dei

computer. Nel complesso, si valuta la possibilità di raggiungere un risparmio energetico per niente

trascurabile, sino al 40% del fabbisogno totale.(32) Per raggiungere questo obiettivo, gli strumenti

suggeriti sono di tipo piuttosto tradizionale, e vanno dall'introduzione di incentivi e misure fiscali

all'emanazione di norme tecniche e ad un'appropriata etichettatura degli elettrodomestici.

3. Energia e crescita

I paesi industrializzati consumano la stragrande maggioranza dell'energia prodotta sulla Terra, il che

crea tutta una serie di squilibri.(33) Quanto avviene ad esempio nel settore dei trasporti (al quale

corrispondono i due terzi del consumo di petrolio) simboleggia bene la situazione: contro le 6 auto

ogni 10 abitanti dei paesi appartenenti all'OCSE, per i paesi in via di sviluppo se ne registrano

appena due ogni cento. Miliardi di persone hanno una disponibilità di energia pro-capite appena

sufficiente per la sopravvivenza, se non addirittura insufficiente, e provengono da paesi che hanno

ben poche speranze di sviluppo nel futuro prossimo. I paesi in via di sviluppo hanno un consumo

energetico pro capite molto inferiore al nostro, ma come è naturale essi aspirano a raggiungere il

nostro grado di benessere, cosa che sarebbe possibile soltanto incrementando spaventosamente la

produzione energetica globale.(34) Si stima che nel 2020 la crescita dei bisogni potrà essere

imputabile ai paesi in via di sviluppo per il 90%.

Intanto, malgrado il tenore di vita già sufficientemente elevato, nei paesi industrializzati si

continua a registrare una fortissima crescita del consumo energetico, che non potrà che continuare

ad allargare il divario. Per quanto riguarda il parco veicoli, ad esempio, esso è cresciuto nella sola

Unione Europea di ben 57 milioni di veicoli in 13 anni,(35) pari ad un aumento percentuale del 43%,

ovvero una crescita media annua del 2,8%. A questo ritmo, l'entità del parco veicoli dovrebbe

raddoppiare nel breve tempo di 25 anni!(36) Sempre rimanendo nel campo dei trasporti, l'esplosione

del traffico aereo è anch'essa impressionante: dal 1980 viene infatti registrato all'interno dell'Unione

Europea un tasso di crescita annuo del 7,4%, tale da determinare il raddoppio del numero di

passeggeri-chilometro ogni dieci anni.(37)

A crescere smisuratamente non è soltanto la domanda di energia, ovviamente: crescono i

consumi, crescono i beni in circolazione, crescono i servizi, ed il tutto è pilotato dalla crescita del

prodotto interno lordo (PIL): da qui al 2030, ad esempio, ne è previsto un aumento del 90%

nell'Unione Europea (pari ad una crescita media del 2% annuo). Nonostante alcune crisi e battute di

arresto, questa straordinaria crescita economica non è mai stata veramente messa in discussione dal

dopoguerra ad oggi. Secondo l'attuale Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, ad esempio, “la

crescita è la chiave del progresso ambientale, in quanto fornisce le risorse che consentono di

investire nelle tecnologie appropriate: è la soluzione, non il problema”.(38)

Possiamo quindi dire che il modello capitalistico propugna un'economia in crescita

illimitata, accompagnata necessariamente da una comparabile crescita della domanda di energia.

Per quanto riguarda la crescita della produzione di elettricità nell'Unione Europea, ad esempio, essa

arriva al tasso del 3% annuo, ed è tale da far prevedere un tempo di raddoppio della produzione di

appena 23 anni. Tale situazione appare ancora più iniqua se si tiene conto delle profonde

10

disuguaglianze fra i ricchi paesi del Nord e la miseria del Sud: tali disuguaglianze sono necessarie

affinché i paesi ricchi possano continuare a mantenere il proprio primato.

“Senza un rallentamento della crescita dei consumi (di energia) nei settori principali di

espansione, ossia i trasporti, le abitazioni private ed il terziario, la dipendenza energetica

dell'Unione continuerà a crescere” ci dice la Commissione di Bruxelles.(39) Ma di fronte alla

prospettiva della crescita economica perenne, risulta poco credibile l'ambizione di adattare il

mercato dell'energia alle esigenze dell'ambiente senza ripercussioni profonde sul modello di

sviluppo. Non può considerarsi sufficiente il fatto di agire sulla domanda, di propugnare il

risparmio, e di tentare di ridurre l'intensità energetica (ossia il rapporto fra energia consumata e

PIL). Tali misure (pure auspicabili) possono portare solo a risultati del tutto temporanei: il

miglioramento del rendimento energetico verrebbe di gran lunga superato dall'effetto della crescita.

Ad esempio, ben poco risolutivo sul lungo termine potrebbe essere il risparmio energetico (il cui

potenziale massimo è, secondo la Commissione Europea, del 40% circa, il che comunque non è

poco) di fronte ad una crescita economica per la quale nei paesi industrializzati è prevedibile il

raddoppio del PIL ogni trenta o quarant'anni; senza tenere conto della crescita molto più sostenuta

di taluni paesi in via di sviluppo densamente popolati quali la Cina e l'India. “Indubbiamente

l'efficienza ecologica è notevolmente migliorata” ci ammonisce Serge Latouche su Le Monde

Diplomatique “ma poiché la corsa forsennata alla crescita non si ferma, il degrado globale del

pianeta continua ad aggravarsi”.(40)

L'aumento continuo dei beni in circolazione e la messa in commercio di nuovi prodotti

(ancorché ecologici e maggiormente efficienti) potrà solo determinare un aumento del consumo di

energia, e non una sua diminuzione come viene da molti profetizzato. Bisogna avere il coraggio di

far notare che l'introduzione di talune novità, quale ad esempio l'auto a benzina verde, è una mera

forma di autoriproduzione del modello della crescita economica perenne. Autoriproduzione

mascherata da ambientalismo, ma in verità destinata semplicemente a mantenere alta la domanda.

Fintanto che ci si limita al `modesto' obiettivo di Kyoto (riduzione delle emissioni di

anidride carbonica del 5% nei paesi industrializzati), è possibile che esso rimanga compatibile con il

modello di sviluppo capitalistico. Ma se questa riduzione deve essere un primo passo verso una

drastica diminuzione del consumo di energia dei paesi sviluppati, al fine di consentire ai paesi meno

sviluppati di crescere anch'essi e alle generazioni future di mantenere un certo grado di benessere, il

modello capitalistico risulta del tutto incompatibile. E tanto meno sembra possibile mantenere

l'attuale stile di vita grazie alle sole energie alternative ed al risparmio energetico (come tendono a

credere molti ecologisti). La limitatezza delle risorse e dell'ambiente smentisce quindi il mito del

capitalismo in grado di soddisfare universalmente i bisogni del genere umano con le sole `forze del

mercato'.(41) “La società della crescita non è auspicabile per almeno tre motivi: perché incrementa

le disuguaglianze e le ingiustizie; perché dispensa un benessere largamente illusorio, e perché non

offre un tipo di vita conviviale neppure ai benestanti: è un'antisocietà malata della propria

ricchezza”.(42)

È la folle rincorsa economica che viene registrata oggi la vera responsabile del crescente

consumo di energia, con le connesse conseguenze sull'ambiente. Occorre quindi “rimettere in

discussione il dominio dell'economia su tutti gli altri ambiti della vita, nella teoria come nella

pratica, ma soprattutto nelle nostre menti”.(43) La fede nel progresso tecnologico non sarà

sufficiente a far comparire dal nulla le risorse energetiche ed ambientali che occorrerebbero per

mantenere il ritmo. Lo sviluppo nel campo delle fonti rinnovabili, nonché le politiche di risparmio e

di uso differenziato delle diverse fonti sono misure necessarie ma che da sole possono avere effetti

molto limitati: se ci sta a cuore il futuro del pianeta diventa invece improcrastinabile uno sforzo

collettivo verso l'elaborazione di un nuovo concetto dello sviluppo, che non sia basato sulla crescita.

Il principio cardine dovrebbe essere il diritto di tutti gli abitanti del mondo a raggiungere un livello

minimo di agiatezza, e non il diritto ad accrescere smisuratamente l'agiatezza di alcuni nella

disuguaglianza.

11

“La decrescita è una necessità, non un ideale in sé”.(44) L'insostenibilità diventa di giorno in

giorno più evidente, e ci sta portando ad uno stato di conflittualità internazionale permanente per

appropriarsi delle sempre più scarse risorse energetiche: la partita si sta giocando a suon di

manovre, pressioni economiche, embarghi, e guerre. Ma le guerre servono solo a stabilire chi si

impossesserà delle risorse residue, e non certo ad evitare la crisi del sistema. Se ben governata, la

prevista carenza di combustibili fossili potrebbe invece risultare in un miglioramento della vita sulla

Terra; purtroppo, però, di un approccio in tal senso ancora non si vede traccia.

La disponibilità di quantità di energia sufficienti al soddisfacimento dei bisogni di base è un

diritto dei popoli. Gli incrementi forsennati dei livelli di consumo non sono invece ammissibili,

nella misura in cui il loro impatto sull'ambiente e sugli ecosistemi è sempre più distruttivo, ed i

relativi benefici non vengono ripartiti in modo equo. Se si aprissero gli occhi sul fatto che le

necessità prioritarie del mondo odierno non sono la crescita, le nuove tecnologie ed il risparmio

energetico, bensì la redistribuzione, l'umanità potrebbe davvero compiere passi da gigante!

Note:

(1) Pari ad una crescita media annua dell'1,8%: un tasso che, se mantenuto costante nel corso del tempo, porterebbe al

raddoppio della domanda ogni 40 anni. Secondo le previsioni, metà della crescita della domanda energetica avrà

origine nei paesi in via di sviluppo. Cfr. Commissione Europea, World energy, technology and climate policy

outlook 2030 (WETO), Lussemburgo, 2003.

(2) Si tratta di un principio scientifico basilare, noto come principio di conservazione dell'energia (o anche primo

principio della termodinamica).

(3) Circa 170 milioni di GW pari a 130 milioni di Mtep/anno. Questa cifra è di oltre 10.000 volte superiore al

fabbisogno mondiale di energia primaria (GW sta per gigawatt, Mtep sta per milioni di tonnellate equivalenti di

petrolio; 1 GW = 1 miliardo di watt, 1 Mtep = 10.000 miliardi di chilocalorie).

(4) Con limitati contributi provenienti dallo sfruttamento della forza dell'acqua e del vento per mezzo di mulini, navi a

vela, ecc.

(5) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento

energetico, COM(2000) 769 definitivo, Lussemburgo, 2001.

(6) Cfr. A. Di Fazio, “Le connessioni fra la guerra dei Balcani e la crisi energetica prossima ventura”, in Aa.vv.,

Imbrogli di guerra, Odradek, Roma, 1999.

(7) Soltanto per il carbone il relativo mercato viene considerato sufficientemente stabile e concorrenziale. Malgrado il

forte declino dell'attività estrattiva nell'Unione Europea, l'uso di questa risorsa (ormai d'importazione) viene

considerato `strategico', soprattutto per quanto riguarda la produzione di elettricità.

(8) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento

energetico, op. cit.

(9) Cfr. Aa.vv., Contro le nuove guerre, Odradek, Roma, 2000.

(10) Cfr. C.B. Hatfield, “Oil Back on the Global Agenda,” Nature 387, p. 121, 1997; C.J. Campbell and J.H. Laherrère,

“The End of Cheap Oil,” Scientific American 3, p. 78, 1998; A. Di Fazio, “Le connessioni fra la guerra dei Balcani

e la crisi energetica prossima ventura,” op. cit.; A. Coghlan, “Too little oil for global warming,” NewScientist.Com,

5 ottobre 2003, http://www.newscientist.com/news/news.jsp?id=ns99994216; The coming global oil crisis website,

http://www.oilcrisis.com/ ; The association for the study of peak oil&gas, http://www.peakoil.net/.

(11) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento

energetico, op. cit.

(12) Cfr. J.T. Houghton, Y. Ding, D.J. Griggs, M. Noguer, P.J. van der Linden, X. Dai, K. Maskell and C.A. Johnson,

Climate Change 2001: The scientific basis. Contribution of Working Group I to the Third Assessment Report of the

Intergovernmental Panel on Climate Change, Cambridge University Press, 2001; A. Di Fazio, “Le connessioni fra

la guerra dei Balcani e la crisi energetica prossima ventura”, op. cit.; e S. Spiller e M. Zucchetti, “L'evoluzione

futura del clima nel mondo e in Italia,” articolo in questo fascicolo.

(13) Cfr. Commissione Europea, World energy, technology and climate policy outlook 2030 (WETO), op. cit.

(14) Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento

energetico, op. cit.

(15) Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza dell'approvvigionamento energetico,

op. cit.

12

(16) Un reattore a fissione ha tutto il combustibile nucleare pre-caricato, e nel suo nocciolo (il luogo dove avviene la

reazione nucleare) ve ne sono diverse decine di tonnellate: esso contiene non solo uranio, ma anche plutonio e

prodotti di fissione radioattivi come lo iodio 131 e il cesio 137. In caso di certi incidenti - ed in assenza

dell'intervento attivo dei sistemi di sicurezza - il nocciolo di un reattore a fissione può divenire `sopracritico,' cioè

`fondere' a causa della eccessiva potenza prodotta fuori controllo, rilasciando nei peggiori casi la sua radiotossicità

all'esterno (si vedano gli incidenti di Three Miles Island e di Chernobyl, diversi fra loro ma entrambi classificabili

come incidenti di sopracriticità).

(17) In un reattore a fusione, in maniera non dissimile concettualmente da una caldaia, il combustibile viene

continuamente iniettato nella camera di reazione, ed in essa la densità del combustibile è molto bassa. In caso di

malfunzionamento, si ha un'immediata interruzione del flusso di combustibile, ed inoltre diversi altri fattori

rendono impossibile il proseguimento della reazione di fusione nucleare. Pertanto, per i reattori a fusione non sono

concepibili incidenti simili a quelli di `sopracriticità,' i più temibili (come abbiamo visto nella nota 16). Ciò non

esclude comunque la possibilità di altri tipi di incidente.

(18) Fanno eccezione alcune fonti di energia di origine non solare: calore proveniente dal centro della terra (fonte

geotermica), energia gravitazionale del sistema Terra-Luna (energia delle maree).

(19) Cfr. A. Di Fazio, “Le grandi crisi ambientali globali: un sistema in agonia, il rischio di guerra,” in Aa.vv., Contro le

nuove guerre, Odradek, Roma, 2000.

(20) Per confronto, si ricordi che il programma di incentivazione del fotovoltaico avviato qualche anno fa dal governo

italiano, e attualmente in corso di realizzazione, è denominato “10.000 tetti fotovoltaici.”

(21) Dati riferiti all'Unione Europea. Cfr. Commissione Europea, Libro verde: Verso una strategia europea di sicurezza

dell'approvvigionamento energetico, op. cit., e Commissione Europea, World energy, technology and climate

policy outlook 2030 (WETO), op. cit.

(22) Numerose critiche sono state mosse nei confronti dei grandi impianti idroelettrici, i quali possono generare notevoli

problemi quali: lo spostamento forzato di popolazioni, la perdita di terreni coltivabili, la distruzione degli

ecosistemi, e l'alterazione del ciclo dell'acqua (con talvolta la nascita di tensioni fra paesi che affacciano sullo

stesso bacino idrico). Pesa anche la minaccia di gravi incidenti, quale è stata ad esempio la tracimazione della diga

del Vajont nel 1963.

(23) Si stima che in caso di sostituzione dell'8% dei carburanti per autotrazione usati in Europa con biocarburanti, il

10% della superficie agricola dovrebbe essere riservata a tale scopo. Cfr. Commissione Europea, Comunicazione

della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle

regioni sui carburanti alternativi per il trasporto stradale e su una serie di misure per promuovere l'uso dei

biocarburanti, COM(2001) 547 definitivo, Bruxelles, 2001.

(24) Cfr. J. Rifkin, Economia all'idrogeno. La creazione del worldwide energy web e la redistribuzione del potere sulla

terra, Mondadori, 2002.

(25) Cfr. V. Naso e F. Orecchini, “Idrogeno, carta da giocare,” Il Manifesto, 16 marzo 2003; V. Naso, “Idrogeno energia

del Sud. È possibile sostituire il petrolio?”, Carta, 10 aprile 2003; V. Naso, “Metti l'idrogeno nel motore,” Il

Manifesto, 14 maggio 2003; Edo Ronchi, In difesa dell'idrogeno, http://www.tuttoambiente.it/comm/idrogeno.html.

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