Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Taviani, lo strazio armeno

Taviani, lo strazio armeno

di Vincenzo Savignano - 20/03/2007

«Fino a poco fa i sopravvissuti preferivano tacere, piuttosto che subire l'incredulità dei più. Ora la pellicola parla per loro»

Il film più controverso della 57esima Berlinale; una pellicola destinata a fare epoca; un capolavoro sconvolgente. Così la stampa tedesca ha definito La masseria delle allodole, l'ultimo film dei fratelli Vittorio e Paolo Taviani, presentato fuori concorso all'ultimo Festival di Berlino nella sezione Berlinale Special, che esce venerdì 23 marzo in Italia. Descritto come il film più forte, sanguinoso e straziante dei due registi. È possibile trovare delle analogie con La notte di San Lorenzo, considerato da sempre il capolavoro dei Taviani. Come nel film del 1982 sulla fine della seconda guerra mondiale, vissuta da alcune famiglie di un paese della Toscana, nella Masseria delle allodole viene raccontato, attraverso il dolore e la paura dei protagonisti, il terrore sconvolgente della guerra.


Nel 1915, in una piccola città della Turchia la guerra sembra lontana, lontane le persecuzioni contro la minoranza armena. E armena è la famiglia Avakian, che apre la sua bella casa per il funerale del suo patriarca. Anche il colonnello Arkan, rappresentante dell'autorità turca, viene a rendere omaggio. «Grazie di questo gesto di pace», gli mormora Aram, a nome della famiglia.


Dopo molti anni deve tornare dall'Italia il fratello maggiore Assadour, che esercita a Padova la professione di medico: a lui il padre ha lasciato la vecchia "masseria delle allodole", restaurata dal fratello Aram. Un getto di sangue scarlatto su una porta bianca è la premonizione del patriarca poco prima di morire. Poco dopo il funerale inizia l'incubo per la famiglia Avakian e per tutta la comunità armena. La persecuzione degli armeni da parte dell'esercito turco, iniziata nel 1894, con la prima guerra mondiale divenne uno sterminio organizzato: 1.900.000 morti, pochi sopravvissuti dispersi nell'esilio. Nel 1915, al sospetto di amicizia con i russi confinanti si aggiunse un altro movente politico-militare: il partito dei Giovani Turchi scelse l'eliminazione degli armeni per acquisire popolarità e conqu istare il potere della Grande Turchia. I maschi armeni, uomini, bambini e neonati vennero uccisi tutti. Le femmine, donne e bambine, vennero deportate nel deserto, e lì lasciate morire. I beni, le case, i patrimoni vennero sequestrati.


Paolo e Vittorio Taviani, attraverso immagini atroci e toccanti, trasformano una storia vera, raccontata anche nell'omonimo romanzo di Antonia Arslan, in qualcosa di vivo e coinvolgente. Nel film si vede la testa di Aran, mozzata con un colpo di sciabola, cadere nel grembo della moglie. Un bambino nascosto sotto un tavolo tirato fuori per un piede, e infilzato. Un amore impossibile tra un ufficiale turco e una ragazza armena. Poi il momento più sconvolgente del film: nel corso della deportazione, durante la quale le donne si offrono ai soldati turchi per fame, una mamma partorisce un maschio, le concedono di essere lei a ucciderlo; dopo averlo messo sulle spalle in un sacchetto, chiama un'amica, le due donne si stringono dorso a dorso, premono sino a soffocarlo.


La masseria delle allodole ha provocato delle critiche da parte della stampa turca che ha sollevato delle obiezioni di tipo storico poiché, secondo i giornalisti turchi, nel film si parla solo di Turchia quando nel 1915, in realtà, esisteva l'Impero Ottomano in disfacimento. Si temeva anche che il film dei Taviani potesse provocare delle proteste da parte della numerosa comunità turca di Berlino, ma i timori della vigilia fortunatamente si sono rivelati infondati. «Ricordiamo che un film è sempre un impasto di storia e di contesto, di documentazione e di fantasia - hanno spiegato i fratelli Taviani - Al centro della nostra storia c'è un destino di un gruppo di persone liberamente ispirato a un libro, dolorosamente raccontato in prima persona. Con il nostro film non vogliamo offendere i turchi, anzi ci auguriamo che un giorno possa essere proiettato nelle scuole turche».