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Capote e D'Orrico: le affinità elettive

di Claudio Bressan - 23/03/2007

     
 

Ieri, passando in libreria, sono stato tentato di acquistare Colazione da Truman, di Lawrence Grobel, edito da Minimum Fax. 226 pagine a 11,50 euro sono un acquisto relativamente conveniente, e così pensavo che avrei potuto farmi un'idea sull'opera di uno scrittore oggi di moda ma del quale so pochissimo: Truman Capote. Un po' come quando, vent'anni fa, mi procuravo quelle formidabili guide alla lettura della Mursia, vuoi per approfondire degli autori che mi erano interessati per un libro che avevo letto, vuoi per andare oltre il sentito dire.
Alla fine ho desistito, perché i soldi sono sempre pochi e il tempo anche, e nella vita uno dovrebbe leggere solo cose di cui vale la pena. Tuttavia a farmi desistere del tutto dall'acquisto ci ha pensato il lungimirante Antonio D'Orrico con il suo articolo promozionale ed enfatico, uscito oggi [22 Marzo 2007, NdR] sul Magazine del Corriere. Probabilmente il Nostro pensava di fare cosa buona intitolando la sua fatica “Truman Capote Show”, associando poi questo titolo alla celebre trasmissione di Maurizio Costanzo, e forse ha funzionato con molti suoi fans, invece a me è montato il pregiudizio e la mia lettura ne è stata condizionata. D'Orrico tiene a farci sapere, come la maggior parte dei critici che hanno visto il film su Capote, che Truman “era uno scrittore”, il che ci dice poco, poiché qui ci viene presentato uno che non scrive ma parla. Sì... parla, parla, parla, parla, parla... e probabilmente questo piace molto a D'Orrico e meno a me, visto che come molti grandi scrittori Capote quando parla dice perlopiù delle cazzate che di solito nei libri ben si riservano dallo scrivere (non so Capote, visto che non l'ho letto).
Una volta, nei libretti della Mursia, l'adagio era: grande scrittore, nonostante... Insomma, si ribadiva che una roba è l'opera, l'altra lo scrittore. Grande Céline, nonostante fosse antisemita; grande Handke, nonostante Salman Rushdie lo abbia definito un imbecille per alcune sue posizioni filoserbe; grande Faulkner, nonostante nelle interviste (che detestava) raccontasse delle balle colossali. Insomma, un conto è l'opera, soprattutto quando si parla di creazione letteraria, un altro è lo scrittore. Bene. D'Orrico, che è un anticipatore, capovolge questa convenzione e introduce un nuovo paradigma: grande Capote a prescindere, anche quando fa l'isterico, manifesta narcisismo (questione di affinità con l'articolista) e si dilunga in puttanate di cui a me, e spero ad altri, non frega niente. Quindi, come al Maurizio Costanzo Show, eccoci informati sul perché Marilyn Monroe lasciò Joe Di Maggio: non le bastava che segnasse dei buoni punti con la mazza. Questa frase è considerata a D'Orrico “il ritratto più bello scritto su Marilyn”. Che questa sapesse o no recitare non è importante. D'Orrico ci tiene a precisare che Capote sapeva imitare Jacqueline Kennedy – Onassis a colloquio con il presidente John Fitzgerald. Della serie chissenefrega, ma contento lui... (intendo D'Orrico, naturalmente).
Il meglio lo abbiamo sugli scrittori e gli artisti. Come al bar, Capote si sente originale a dire che Dylan non sa cantare: grazie per aver risolto un quesito su cui fior di saggisti si sono scervellati. Di Faulkner tiene a segnalarci che gli piacevano le ninfette quattordicenni, e questo gli ha impedito di avere amici, compreso Capote (conoscendo le tendenze di Capote, questa voglia di fraternizzare con l'autore di “Assalonne Assalonne” può suonare sibillina, e forse un pezzo d'uomo del Sud come Faulkner non ci teneva un granché alla compagnia di Capote), mentre di come scrivesse gli importava di meno. Poi ecco scattare una strana Affinità Elettiva tra D'Orrico e Capote, per cui il Nostro non se la prende troppo se lo scrittore americano gli attacca due miti: Saul Bellow e Philip Roth, naturalmente purché sia lui, lo “scrittore” a farlo e non altri. Insomma, se io dico che Roth mi annoia sono un ignorante punibile, per cui D'Orrico non recensirà mai un mio libro o lo stroncherà; se invece Capote dice che “Roth è abbastanza divertente in un salotto ma... lasciamo perdere”, allora è tutto ok! Eh... tra Grandi si supera qualsiasi divergenza...
Da questo articolo ho avuto l'impressione che D'Orrico sia uno dai facili entusiasmi, e forse questo modo di scrivere, tanto somigliante al “dire”, non piacerebbe un granché allo scrittore Capote. Da parte mia, questo libro sarà pure scritto dal “Mozart delle interviste”, ma la vita è breve e la pazienza poca, per cui lascio D'Orrico ai suoi innocenti entusiasmi.