Guarda alle donne, non al nucleare
di Massimo Fini - 01/10/2025
Fonte: Massimo Fini
Nel suo discorso all’Onu, Trump ha preso di mira l’Iran per l’esistenza sul suo territorio di siti nucleari. Ora, l’Iran ha firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, accettato le ispezioni dell’Aiea che hanno sempre accertato che l’arricchimento di uranio in questi siti non va oltre il 6%, per arrivare alla Bomba ci vuole un arricchimento al 90%. Israele non ha firmato il Trattato, ha l’Atomica, ma nessuno si è mai sognato di sanzionarlo.
Gli occidentali non hanno mai capito niente del mondo iraniano, questa specie di masso erratico del Medio Oriente, circondato da paesi arabi che gli sono lontanissimi culturalmente e anche linguisticamente. Non ci hanno capito niente perché, come al solito, lo hanno interpretato con i propri canoni. Esempio tragicomico è la vicenda Bakhtiar–Khomeini-Kerenskij-Lenin. Bakthiar era stato l’ultimo primo ministro sotto lo Scia, ma già fortemente critico nei confronti del regime perché si sentiva nell’aria la Rivoluzione khomeinista. L’Unità scrisse: Bakthiar = Kerenskij, Khomeini = Lenin. La sinistra europea credeva infatti che Bakhtiar fosse una preforma di Kerenskij e Khomeini di Lenin, che interpretasse insomma, in salsa islamica, un movimento antioccidentale e soprattutto antiamericano (nel linguaggio di Khomeini gli stati Uniti erano “Il grande Satana”). Khomeini chiarì subito che di “Grande Satana” ce ne erano due: quello americano e quello sovietico. Ci sono due lettere molto interessanti che Khomeini inviò in quel periodo a Gorbaciov e a Papa Wojtyla e pubblicate in Italia dalle Edizioni del Veltro in forma semi-clandestina tanto erano scottanti. A Gorbaciov Khomeini parla solo in termini spirituali, gli dice sostanzialmente: “Se vuole capire veramente qualcosa della religiosità venga qui da noi, all’Università di Qom, ci passi dieci anni e poi, forse, potremo trattare l’argomento in modo serio”. A Wojtyla, invece, parla solo di cose materiali e degli interessi politici ed economici della Chiesa (lo scandalo Ior era di là da venire).
Non si dovrebbe mai dimenticare che l’Iran è in realtà l’antica Persia sulla quale, dopo l’avvento della predicazione di Maometto, si è sovrapposto l’Islam in forma sciita. A quell’epoca Radio Teheran mi intervistava spesso e i giornali iraniani riprendevano testualmente i miei scritti (ma quando citavo Khomeini aggiungevano di forza “che Allah l’abbia sempre in gloria”). Chiesi alla gentile intervistatrice come mai il regime di Khomeini fosse violentemente antitalebano e antiafgano. In fondo, dissi, i vostri due popoli sono nella stessa situazione sotto la pressione violenta degli americani. L’intervistatrice mi fece notare che Afghanistan e Iran, pur essendo confinanti, sono due mondi opposti: i Talebani sono nella maggioranza sunniti, gli iraniani sciiti.
È questa origine dalla Persia che dà agli iraniani una fortissima identità nazionale. Anche i pasdaran, che pur lo avevano abbattuto, avevano rispetto per lo Scia: perché era persiano.
Nel periodo in cui ero a Teheran per intervistare la figlia di Khomeini, Zakra Mustafavì (l’intervista fu poi ripresa da Mino Damato nella sua trasmissione “Alla ricerca dell’Arca”, in prima mondiale con grandi strombazzamenti, ma Damato riuscì a non nominarmi mai) accadde una cosa curiosa. A una trasmissione radiofonica telefonavano ascoltatori e ascoltatrici, era consueto che l’intervistatore chiedesse all’ascoltatrice chi fosse la figura femminile preferita e obbligatorio rispondere Fatimah, la figlia di Maometto. Ma una di queste donne disse: “Fatimah è una figura molto lontana nel tempo, preferisco riconoscermi in Ushin”. Ushin era la protagonista di un serial giapponese che passava in quelle settimane sulle televisioni iraniane. Apriti cielo. Khomeini non aveva né apparecchi tv né radio, solo un letto e un tappeto per pregare e quindi quella trasmissione non l’aveva vista, ma siccome gli zeloti esistono sempre qualcuno andò a riferirgli del fattaccio: condanna a morte della donna, espulsione da ogni media del conduttore e via dicendo. La donna non fu rintracciata, il conduttore si scusò dicendo che aveva capito male e tutto finì lì. Perché la Sharia ha un suo pragmatismo, applicarla alla lettera è impossibile. Esempio: per una coppia adultera, presa sul fatto, è prevista la condanna a morte di lei e cento frustate per lui il che equivale alla morte. Ma ci devono essere dei testimoni oculari. Quello che vuole evitare il Corano non è il fatto in sé, ma lo scandalo che ne deriva. Così, sempre nel periodo in cui ero a Teheran, l’uso di stupefacenti era vietatissimo. Ma nella cucina di ogni casa si fumava a più non posso, marijuana e oppio soprattutto, bastava che non lo si venisse a sapere.
Il coraggio delle donne. Ho avuto modo di apprezzarlo più volte. A Teheran si pubblicava un settimanale, Donna di Giorno, le cui giornaliste erano tutte donne. Si occupava di moda, di abiti, gioielli, ma anche del sociale. Quando entrai in redazione mi fece un po’ strano vedere tutte queste donne con regolare chador. Feci qualche domanda alla direttrice, la deliziosa Talebeh, cui sotto il velo spuntava un ricciolo biondo. “Vedi – mi disse – noi non ce l’abbiamo con Khomeini ma col fatto che, i mariti, i fratelli e insomma tutti i membri maschi della famiglia si comportano, soprattutto nelle campagne, da padri padroni. E questo non ci sta bene”.
Nel decennale della Rivoluzione si fece una festa sul lungo viale che attraversa tutta Teheran, da est a ovest, e che si chiama, paradossalmente, “Viale della Libertà”. In questa occasione è usanza che le ragazze offrano prodotti locali, soprattutto pistacchi che hanno grande importanza nell’economia iraniana. Davanti a me c’erano tre splendide ragazze. Attaccai discorso con una, sono il classico maschio latino e in certe occasioni sono disposto anche ad affrontare la fucilazione. Il mio insider, Hussein, figlio del proprietario del Bazar mi disse: “Cosa fai, sei pazzo? Non vedi che c’è il pasdaran che ti sta guardando da dieci minuti?”. Chiesi alla ragazza se la cosa fosse pericolosa per lei e per me. Rispose: “Non è usuale, ma non ti preoccupare”.
Ero in una farmacia di Teheran, tenuta da un ebreo, che era disposto a rinnegare anche se stesso pur di salvare la pelle. Con noi c’era anche il capo del Bazar. Gli scaffali erano semivuoti, sia l’ebreo che il capo del Bazar dicevano le meglio cose di Khomeini. “Ma non vedi – gli dissi – che fuori le strade sono piene di poster dove c’è scritto ‘morte all’ebreo!’?”. A un certo punto sento alle mie spalle una voce femminile che dice: “Chi è Khomeini?” (in farsi chi è si dice come da noi). L’ebreo era finito sotto i banchi e il capo del Bazar, Hussein, pure. Chiesi a Hussein: “Ma è vero quello che dice la vecchia?”. “Tutto vero, rispose, ma io non posso espormi”.
A Khomeini succedette Rafsanjani che ha creato la Rafsanjani Pistachio Company. Era cominciata l’era capitalista anche in Iran. Come ci riferisce la nostra Elena Basile, citando l’intervista all’antropologo Emmanuel Todd (Il Fatto, 24.09) oggi le università iraniane sono affollate, si è creata una classe media fatta di ingegneri, di tecnici, di medici. Alla lunga, seppur attraverso vari passaggi, la Rivoluzione khomeinista ha lavorato bene. All’epoca dello Scia c’era una sottilissima striscia di borghesia colta che potevi trovare a Parigi, a Londra, soprattutto ragazze, bellissime. Conosceva, questa borghesia, non solo i nostri maggiori, Dante, Petrarca, Boccaccio, ma anche gli scrittori italiani che andavano allora per la maggiore, come Moravia e Calvino. Noi della cultura iraniana conosciamo pochissimo, a parte, forse, Omar Kayyam e Avicenna, non Farabi, Sohravardi e molti altri. Ma è altrettanto chiaro che questa classe media colta, diventata di massa, non può più accettare leggi tipo Sharia. Da qui la violenza e repressione del regime contro le donne. Che è il vero problema dell’Iran oggi. Non le sue centrali atomiche.