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Chi vuole la guerra

di Carlo Lucchesi - 30/03/2024

Chi vuole la guerra

Fonte: sinistrainrete

Il completo asservimento alla causa degli USA della quasi totalità dei media del nostro paese e, per quanto si può conoscere, dell’intero Occidente, pone questioni delle quali chi non intende soggiacere insieme a loro dovrebbe discutere a fondo e tentare di risolverle. Parto da quella apparentemente meno importante, vale a dire le forme della manipolazione informativa. Queste si sono fatte sempre più sporche. Nella carta stampata, sapendo che il lettore scorre rapidamente i titoli e seleziona così i pochissimi pezzi da leggere, è proprio al titolo che è affidato il compito di veicolare il messaggio truffaldino tanto che il testo sottostante può anche dire cose diverse o non parlare affatto di quello che il titolo aveva annunciato. I “secondo voci raccolte…” (di chi? e chi le ha raccolte?), oppure “come racconta…” (e si cita un presunto testimone sconosciuto al mondo), o ancora le interviste a persone che hanno palesemente in odio la Russia e non vedono l’ora di attribuirle tutti i mali del mondo, presenti e futuri, le inchieste come collage di pezzi di agenzia ritagliati a misura per rendere credibile il palesemente falso, la classificazione di “buono” per chi sta con l’Occidente, qualunque misfatto compia, e di “cattivo” per chi non sta con l’Occidente, ed è cattivo sempre e comunque e nutre le peggiori intenzioni immaginabili anche se non ha mai profferito parola che possa renderle minimamente verosimili: tutto questo è stato ed è il pane quotidiano del nostro giornalismo accanto alla sistematica denigrazione di chiunque abbia l’ardire di provare a ragionare su ciò che sta accadendo. Ovviamente, una volta che i fatti dimostrino via via la falsità della narrazione (dalla malattia di Putin allo sfascio della Russia fino alla trionfale controffensiva ucraina passando attraverso decine di anticipazioni fasulle), non seguono né smentite, né correzioni di rotta. Anzi, per ogni bolla che scoppia se ne soffia un’altra magari più grande.
Altrettanto avviene nei talk show televisivi con l’aggravante che qui il pubblico è mediamente meno dotato di strumenti critici del lettore di giornali, e quindi più soggetto al potere della propaganda. Dall’inizio della guerra in Ucraina la tecnica usata è stata questa in modo programmatico e sistematico, per quel poco che è cambiata è stato solo per diventare ancor più falsa e manichea.
Ma negli ultimi mesi se il “metodo” di informare non è mutato è però significativamente cambiato il suo contenuto. L’obiettivo non è più solo quello di confermare la disumanità o la follia del nemico, ma è soprattutto quello di convincere che la guerra dell’Occidente contro quel nemico è l’unica strada possibile. Che la Russia potesse e volesse invadere altri paesi europei lo si è detto sin dal primo momento, incuranti del ridicolo che una simile affermazione rovescia su chi la profferisce. Ma per questo disprezzo del ridicolo non c’è da stupirsi visto che molti di loro hanno creduto che una boccettina contenente un liquido ignoto e mostrata all’ONU dal Segretario di Stato USA fosse la prova che l’Iraq possedeva le armi di distruzioni di massa e che quindi era doveroso andare a distruggerlo. Una piccola menzogna da 500.000 morti ma senza che nessuno dei tanti paesi democratici dell’Occidente reclamasse sanzioni per chicchessia. Fino a poco fa, però, l’allarme sul pericolo di nuove invasioni serviva a convincere tutti che l’unica possibilità di evitarle era aiutare in ogni modo l’Ucraina a vincere la guerra contro la Russia. Ora siamo in presenza di un salto di qualità spaventoso. Consapevoli che l’Ucraina non riuscirà nell’impresa, è l’Europa che deve preparare la guerra contro la Russia ed è a questa guerra che i popoli dell’Europa debbono predisporsi. Di conseguenza l’obiettivo prioritario dell’informazione è diventato quello di diffondere il convincimento che ciò è inevitabile e perciò ci dobbiamo appunto abituare all’idea di una Grande Guerra, e sarà una guerra grande e giusta. Il senso di questa nuova fase della campagna informativa è inequivocabile perché se è vero che le guerre le dichiarano coloro che guidano i governi, è altrettanto vero che lo fanno solo se e quando la loro decisione è accettata, o almeno passivamente subita, dai governati. E per creare un ambiente che sia quanto meno neutro l’informazione è incaricata di svolgere un ruolo decisivo.
Se i nostri “informatori” fossero davvero “liberi” o avessero appena un briciolo di autonomia di pensiero dovrebbero porsi alcuni banali interrogativi. Questa guerra coinvolgerebbe direttamente anche gli USA? In questo caso sarebbe certamente una guerra con l’uso delle armi nucleari e, dato il loro numero e l’impossibilità di intercettare tutti i vettori, sarebbe la fine dell’umanità o qualcosa di molto prossimo. Se fosse combattuta dall’Europa senza l’intervento diretto degli USA, potrebbe essere una guerra solo convenzionale? Teoricamente sì, praticamente no, perché chiunque si vedesse sul punto di perderla, certamente lo farebbe la Russia visto che ne andrebbe della sua esistenza, ricorrerebbe alle armi nucleari col risultato che i contendenti si annienterebbero l’un l’altro, anche se, considerata la disparità di potenza, la Russia forse avrebbe qualche chance in più di sopravvivere. E quale sarebbe il vantaggio per l’Europa? Quello di essersi suicidata a favore degli USA? Domande appunto banali, ma perché i nostri “informatori” non se le pongono? La risposta non è semplice. Che siano pagati per fare ciò che fanno è improbabile e se fosse vero lo sarebbe certamente per un piccolo numero. Conta il fatto indiscutibile che si sono votati a questa causa, quanto ognuno di loro ci creda effettivamente ha poco valore. Certamente della loro onestà intellettuale è lecito dubitare. Lasciano a dir poco sconcertati, ma sono una inequivocabile cartina di tornasole, il doppiopesismo, basti vedere la condanna senza appello della Russia e l’assoluzione di Israele, l’esaltazione dei valori dell’Occidente e l’oblio della sua terribile storia segnata da un elenco interminabile di aberrazioni e sopraffazioni, la rinuncia programmatica a cercare le ragioni reali degli avvenimenti ricondotti sempre all’antinomia “noi siamo il bene, voi siete il male”, e tanto altro ancora.
Alla fine della storia ciò che resta in tutta evidenza sul campo è che l’Europa è diventata una colonia degli USA, che i suoi governi hanno convenuto che lo fosse, che i media si sono messi al loro servizio, di fatto al servizio degli USA e perciò al servizio del complesso industriale militare che di quel paese decide le scelte fondamentali, che l’opinione pubblica europea deve essere guidata a considerare la guerra con la Russia come il risvolto necessario della superiorità morale dell’Occidente.
Come è potuto accadere tutto questo? Fino a pochi anni or sono, l’Europa era considerata, e così considerava se stessa, una delle tre grandi entità economico-politiche del mondo, accanto agli USA e alla Cina. Al suo interno la Germania esercitava una sicura leadership. Se è politicamente comprensibile che gli USA, preoccupati di conservare una posizione dominante in vista di una diversa regolazione dei loro rapporti con la Cina che non esclude neppure il conflitto militare, avessero interesse a smantellare la Russia e a colonizzare l’Europa, come si può spiegare il cedimento dell’Europa, e quello della Germania costretta a tacere persino quando le distruggono un preziosissimo canale di approvvigionamento energetico? Mettiamo per un momento da parte il personale politico al governo nei principali paesi. Al di là nel caso specifico della loro modesta statura, sappiamo quanto possano essere condizionati dalla pressione esercitata dall’alleato di gran lunga più forte. Ma i centri di potere economici e finanziari del vecchio continente perché non hanno opposto alcuna resistenza? E quali possono essere stati gli argomenti, o probabilmente i ricatti, con i quali gli USA hanno potuto affermare un dominio mai così schiacciante? Sono domande forse destinate a restare senza risposta anche se è proprio da questa che dovrebbe partire una reazione veramente efficace.
Tuttavia, una volta preso atto che è stato programmato e avviato un processo che può portare quanto meno per l’Europa a una guerra senza ritorno, che gli USA ne hanno le leve di comando e che l’informazione nell’Occidente è quasi interamente piegata a creare il clima necessario perché i popoli di questa parte del mondo accettino il rischio estremo, cosa si può fare per impedirlo? A oggi gli analisti sostengono che la maggioranza delle popolazioni non è affatto rassegnata alla inevitabilità della guerra. Ma i sondaggi non dicono tutto. Quanti sono coscienti che, come minimo, la si è messa davvero nel conto e che è in quella direzione che si sta lavorando? Perché se non c’è questa percezione, rispetto alla domanda “sei favorevole a una conclusione negoziale della guerra in Ucraina o pensi che l’Ucraina debba comunque vincerla?”, è quasi scontato che la prima opzione sia maggioritaria perché è la più ragionevole e, nonostante le menzogne che si leggono o si ascoltano, la ragione per adesso continua ad avere il sopravvento. E poi si preferisce pensare che chi governa in Europa faccia sì la voce grossa, sia deciso a rifornire di armi l’Ucraina, ma non voglia spingersi oltre. E’ questa distanza fisica e psicologica dalla guerra che spiega anche l’inadeguatezza del movimento per la pace, il suo apparire soltanto in rare manifestazioni senza che vi sia alcuna continuità di iniziativa e senza una incalzante mobilitazione.
Questa situazione di stallo apparente va spezzata perché da un lato il tempo gioca a favore di chi semina quotidianamente il veleno della guerra necessaria e giusta, dall’altro il pericolo del cosiddetto incidente che taglia tragicamente la testa al toro è sempre dietro l’angolo. A mio modesto parere c’è una sola strada da percorrere. Tutte le forze di rappresentanza collettiva, partiti, sindacati, associazioni, comunità, e tutte le persone che per intima personale convinzione in qualunque modo maturata non vogliono la guerra devono rovesciare il tavolo. Storicamente, e anche nelle guerre che si stanno combattendo nella nostra epoca, il nazionalismo è stato una componente essenziale per identificare il nemico e per sostenere il ricorso alle armi. Gli interessi nazionali debbono adesso diventare la bandiera e l’obiettivo di chi non vuole la guerra. Insisto su “chi non vuole la guerra” perché quando si è lontani dal conflitto questa area indistinta di gruppi e di persone sembra avere una valenza inferiore rispetto a quella di “chi vuole la pace”. Volere la pace è una aspirazione sacrosanta la cui realizzazione però non è nelle concrete possibilità di chi la nutre, tanto che anche chi la invoca sente al riguardo la sua totale inadeguatezza. Non volere la guerra è qualcosa di più grande perché impedisce di dividersi su quale dovrebbe essere la pace giusta, e soprattutto perché responsabilizza interamente l’individuo, non assegna deleghe, unisce alla speranza un’azione, un comportamento. Assumere gli interessi nazionali attorno al rifiuto della guerra significa molte altre cose. Innanzi tutto ribadire che siamo sempre e comunque a favore della vita contro la morte e che lo restiamo anche se altri, fossero pure nostri alleati, dovessero preferire la guerra. In secondo luogo significa che per volere la vita si intende la migliore vita possibile e dunque è criminale smantellare la sanità, impoverire la scuola, far dilagare la povertà, e così via, per ingigantire la spesa militare cioè per foraggiare coloro che le guerre se le inventano pur di accrescere senza limiti ricchezza e potere. Fa parte degli interessi nazionali anche dire la verità e chiamare le cose con il loro nome dovunque ne sia data la possibilità e creando tutte le occasioni immaginabili per farlo. Allora chi non vuole la guerra deve cambiare linguaggio. Non serve più usare il fioretto della buone maniere, affidarsi soltanto alla ragione, spiegare che ogni effetto ha a monte una sua causa, parlare della Nato come se fosse altra cosa dagli USA che la controllano e la usano come loro esclusiva proprietà, confidare che alla fine il buon senso non può che prevalere perché la guerra, quella che ci potrebbe riguardare, è troppo brutta per essere vera. Occorre dire esplicitamente e a voce molto alta, occorre scriverlo nei volantini, nei manifesti, sugli striscioni delle manifestazioni, che chi continua a ripetere che la Russia è pronta a invadere altri paesi mente vergognosamente sapendo di mentire, che la nostra sottomissione agli interessi USA equivale a tradire l’Italia e, per chi ancora ci crede, l’Europa, significa preparare il Paese alla rovina e centinaia di migliaia di giovani alla morte e che è proprio di questo che sono responsabili quelli che ci governano, le forze politiche che tentennano, e i media che a questo esito ci accompagnano per mano. Dentro i partiti che ancora non hanno deciso di consegnarsi al vero nemico, che è chi prepara la guerra, nei sindacati, nell’associazionismo, nel movimento per la pace, nelle parrocchie, ovunque ognuno possa prendere parola, è di questo che occorre discutere ed è questo che occorre fare. Per quanto l’espressione sia abusata, prima che sia troppo tardi.