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Florenskij, scienziato in nome di Dio

di Marcello Veneziani - 09/12/2023

Florenskij, scienziato in nome di Dio

Fonte: Marcello Veneziani

Nel giorno dell’Immacolata, il più grande fisico e metafisico del Novecento veniva fucilato per ordine di Stalin. Lasciava moglie, cinque figli e una teoria infinita di opere, ricerche, studi ed esperimenti. Veniva ucciso in un giorno a lui particolarmente caro, dedicato alla Madonna che lui definiva “deipara”, perché aveva messo al mondo il figlio di Dio. Correva l’anno 1937 e Florenskij era internato ormai da anni nel gulag nelle isole Solovki, tra lavori forzati e torture; lo avevano risparmiato perché volevano sfruttare fino in fondo il suo genio e le sue ricerche. Ma poi il fanatismo totalitario ebbe il sopravvento sul cinismo, e dopo averlo spremuto,  decisero di farlo fuori. Aveva allora 56 anni, la stessa età in cui morì il suo amatissimo Dante Alighieri. 
Ingegnere e teologo, scienziato e presbitero ortodosso, matematico e mistico, studioso di chimica e di icone sacre, divideva la sua vita tra la Chiesa e il laboratorio, quando non poteva essere in famiglia. Padre Pavel fu forse la figura più fulgida del Novecento, in cui l’intelligenza splendeva insieme con la fede. Cercò la metafisica nella vita, ma una “metafisica concreta”, realista, come lui la definì. Florenskij scommise la sua vita e il suo pensiero sulla verità scientifica e metafisica. La mente eroica di cui parlava Vico si incarna alla perfezione nel filosofo, scienziato e mistico russo. 
Il suo capolavoro è La colonna e il fondamento della verità, pubblicato nel 1914 e uscito la prima volta in Italia da Rusconi nel 1974 grazie a Elémire Zolla e Alfredo Cattabiani e solo nel 1990 in Russia, dopo la caduta del Muro. Lucido e rigoroso è il suo argomentare scientifico e filosofico, matematico e teologico; la vastità della sua cultura unita a una fede assoluta in Dio, nel dogma trinitario, e una totale devozione alla Madonna. “Il destino della grandezza – scrisse-  è la sofferenza, causata dal mondo esterno e dalla sofferenza interiore”. 
Nato in Caucaso il 1882 in una famiglia laica, di cultura positivista, approdò poi alla fede in Cristo e in Dio, quando discese in lui lo Spirito Santo, come amava dire, conservando tuttavia “la carnalità del pensiero” e l’attitudine alla matematica e alla fisica. Florenskij visse tra antinomie fortemente marcate, a cominciare dalla prima: “La verità è irraggiungibile – non si può vivere senza la verità”. “Io non so se la Verità esista o meno, ma con tutto il mio essere sento che non posso farne a meno… per me è tutto: ragione, bene, forza, vita, felicità. Forse non esiste ma io l’amo più di tutto ciò che esiste… Metto nelle mani della verità il mio destino”. 
L’opera di Florenskij è percorsa dal pensiero simbolico (“Per tutta la vita ho pensato a una sola cosa…il simbolo”), dal valore magico della parola, della bellezza e della liturgia e dal valore sacro della memoria, che è la presenza nel tempo dell’eternità. A cominciare dalla memoria dell’infanzia, che per Pavel ha il duplice prodigio di percepire integralmente la realtà e di penetrare nella favola profonda del mondo, come per il nostro Vico. Il segreto della genialità, sosteneva, sta proprio nel saper custodire la disposizione d’animo dell’infanzia, la sua risorsa mitopoietica.
Florenskij fu letto in Italia da Augusto Del Noce e da Sergio Quinzio, da Italo Mancini, Cristina Campo e poi da Massimo Cacciari; le sue opere tradotte e curate da Natalino Valentini.
Come è possibile la ricerca scientifica se si è abbagliati dalla Verità divina e dal dogma trinitario, obietta il comune senso laico. Si può essere ingegneri, elettrificare la Russia e insieme sostenere che non c’è scampo tra“la ricerca della Trinità o la morte nella pazzia”? Studiare la Natura al microscopio e insieme credere al Mistero della Natività? Forse si nasconde nel genio un lampeggiare di pura follia, come pensava Dostoevskij di Cristo… Per Florenskij il pensiero di Dio può potenziare la vita e la scienza anziché mortificarli. Il mistero suscita in lui la passione della ricerca scientifica perché spinge oltre i confini del risaputo. Florenskij non si accontentava delle regolarità delle leggi naturali, ricercava l’eccezione, l’inspiegabile, il miracolo: la sua vocazione alla mistica diventava così la molla per l’indagine scientifica, la scoperta e il calcolo matematico. L’amore per il soprannaturale lo spingeva a non fermarsi all’evidenza, alle leggi ripetitive della natura ma a cercare, tramite l’eccezione, l’irruzione del noumeno nel fenomeno. Il Disegno Divino lo educò “a trepidare di fronte ai fenomeni” e alla ricerca incessante. La fede nel Mistero apriva in lui la curiosità dell’intelligenza anziché precluderla.
L’amore per il soprannaturale si univa allo stupore commosso per la grandezza cosmica e il mistero della natura. “Quando avete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi – scrive ai suoi figli nel Testamento, ripubblicato in quello splendido libro che è Non dimenticatemi – quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all’aria aperta e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete”. Straordinarie le sue lezioni di vita, cultura, spiritualità e umanità nelle lettere ai suoi figli raccolte in quel testo edito in Italia da Mondadori. Dal gulag incoraggiava e spronava i suoi figli, infondeva fiducia nella vita. Struggente la nostalgia dei suoi cari, nel carcere più volte al giorno dice di immaginare e accarezzare ciascuno di loro nella sua mente. Toccante il dialogo con l’angelo nella solitudine della cella: “Solo, veglio nella mia cella e mi sembra di essere morto da tempo… queste pagine sono il mio solo legame con la vita”. E poi la ferma convinzione che al mondo niente si perde, né del bene né del male. Di tutto resta traccia.
Di  Florenskij invece non restarono neanche le spoglie. Nel luglio del 1997 furono ritrovate le fosse comuni di prigionieri delle isole Solovki dov’era detenuto. In una delle sue ultime lettere dal gulag, Florenskij scriveva: “La vita vola via come un sogno e spesso non riesci a far nulla prima che ti sfugga l’istante nella sua pienezza. Per questo è fondamentale apprendere l’arte del vivere, tra tutte la più ardua ed essenziale”. La metafisica come pane spirituale, la testimonianza come vino e sangue divino.