Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / «Socialismo conservatore»

«Socialismo conservatore»

di Denis Collin - 27/09/2025

«Socialismo conservatore»

Fonte: GRECE Italia

Sebbene sembri un ossimoro, l’espressione «socialismo conservatore» sta riscuotendo un certo successo, al punto che la fondazione Jean Jaurès le ha dedicato un approfondito studio. Sotto l’etichetta di «socialismo conservatore» rientrano sia la socialdemocrazia danese che il partito di Sarah Wagenknecht in Germania. David Goodhart, il saggista diventato famoso per la sua analisi del divario tra gli «anywhere» e gli «somewhere», parla di «populismo decente». Non so se sia possibile trovare punti in comune sostanziali tra queste diverse forme di un socialismo di nuovo tipo. Ma mi sembra utile cercare di trasformarlo in un concetto che possa esserci utile in questi tempi incerti che stiamo attraversando.

 Conservatore, reazionario, fascista: basta con le generalizzazioni e le confusioni

Non è molto bello essere definiti conservatori. Il termine ha una connotazione negativa in francese… I partiti di destra non sono più conservatori, ma partiti della «riforma» e, di fatto, non vogliono conservare granché di ciò che ha reso grande il nostro Paese.

Innanzitutto, diciamo che i conservatori non sono reazionari. I reazionari vogliono tornare indietro. Joseph de Maistre e Louis de Bonald erano reazionari che esaltavano i benefici dell’Ancien Régime. I reazionari di oggi, non molto numerosi, rimpiangono il passato, i tempi in cui le donne dovevano obbedire ai mariti, e questi reazionari si concentrano essenzialmente tra i sostenitori dell’Islam più rigorista, i salafiti e i Fratelli Musulmani o in gruppuscoli di «cattolici tradizionalisti» piuttosto folcloristici.

I fascisti non sono né reazionari né conservatori. I fascisti sono rivoluzionari che vogliono abbattere il vecchio ordine per sostituirlo con un «Nuovo Ordine», un ordine inegualitario, autoritario e che non sia più soggetto né ai «pregiudizi democratici» né ai precetti altruistici del cristianesimo, in particolare quello cattolico. I conservatori e i reazionari amano la pace sociale e una società dai valori stabili, mentre i fascisti sono fanatici sostenitori del movimento. Il fascismo italiano deriva in gran parte dai movimenti rivoluzionari e gli squadristi avevano adottato nel 1919 un programma decisamente più radicale dell’estrema sinistra dei nostri giorni! Durante l’istituzione dell’effimera «Repubblica di Salò», molti dignitari del regime attribuivano la caduta del regime fascista a Roma all’imborghesimento del movimento e cercavano di ricollegarsi alla loro giovinezza aggiungendo, per compiacere i loro protettori nazisti, una buona dose di antisemitismo. Il primo nazismo con le SA di Röhm voleva essere anticapitalista e il regime di Hitler voleva trasformare l’umanità da cima a fondo. Non c’era un briciolo di conservatorismo o di reazione in tutto questo!

Si possono sicuramente trovare tutti i tipi di movimenti e regimi «impuri» che mescolano elementi di conservatorismo reazionario e fascismo: si pensi al Portogallo di Salazar e alla Spagna franchista, che non furono mai, in senso stretto, regimi fascisti – così il franchismo trionfò come dittatura militare sostenuta dalla gerarchia cattolica, ma il movimento fascista della «Falange» di Primo de Rivera fu emarginato e sciolto da Franco.

Va notato che oggi non esiste alcun movimento fascista né in Europa né negli Stati Uniti. Esistono conservatori o reazionari, ma non fascisti. I governi che un tempo venivano definiti fascisti non lo sono mai stati: ricordiamo l’ascesa al potere in Austria dei sostenitori di Jorg Heider… Giorgia Meloni con il suo partito Fratelli d’Italia non è né più fascista né più reazionaria di Macron.

 

I borghesi sono conservatori?

I borghesi e i loro partiti sono generalmente considerati conservatori, nel senso che vogliono mantenere l’ordine esistente che garantisce la loro posizione sociale. Tutti i progressi sociali sembrano loro abominevoli. Va inoltre notato che, se c’è una cosa che non cambia nel corso dei secoli, è il discorso dei datori di lavoro. Ogni rivendicazione dei lavoratori è un crimine contro l’economia. Nel libro I de Il Capitale di Marx si legge: «Vediamo così, ad esempio, all’inizio del 1863, 26 aziende proprietarie di vaste vetrerie nello Staffordshire, tra cui J. Wedgwood e figli, chiedere in un memorandum “l’intervento autoritario dello Stato”». Essi sostengono che la concorrenza con altri capitalisti «non permette loro di limitare da soli l’orario di lavoro dei bambini, ecc. Pur deplorando gli abusi sopra citati, sarebbe tuttavia impossibile impedirli con un accordo tra i produttori… Tutto sommato, siamo convinti che sia necessaria una legge coercitiva». (Children’s Emp. Comm.Rep. 1, 1863, p. 322). Si potrebbero citare decine di esempi simili e confrontarli con le lamentele dei datori di lavoro di oggi.

I borghesi, tuttavia, non sono conservatori per principio. Sono pronti allo stesso tempo alla rivoluzione permanente. Come osservavano Marx ed Engels già nel Manifesto del Partito Comunista (1848): «La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria. Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo “pagamento in contanti”. Ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell’esaltazione devota, dell’entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d’illusioni religiose e politiche. La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l’uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi. La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro».

Il conservatorismo borghese si riassume in realtà in un’unica ossessione: la conservazione del capitale, che non richiede casseforti o risparmi, ma un accumulo illimitato. Ecco perché il borghese puritano è pronto a diventare un libertino sfrenato se c’è da guadagnare. A meno che non sia il contrario: uno dei magnati dei media ha iniziato la sua fortuna proprio con il «Minitel rose».

Per certi versi, le furie «trans» del nostro tempo non sono motivate solo dall’immediata attrazione di un buon affare. Esse consentono anche di promuovere un nuovo genere di umanità, un’umanità composta da individui tutti simili e tutti sostituibili, sia come produttori che come consumatori. La formattazione delle menti è affidata a Internet, ai social network e ad altri strumenti che riempiono le tasche dei re della «tech».

 

Rivoluzione e conservatorismo

Il modo di produzione capitalistico produce la propria negazione nel proletariato. Marx avanza questa idea che diventa uno dei principi del marxismo. Purtroppo la questione è più complessa di quanto sembri. Essere sfruttati non rende rivoluzionari, altrimenti la storia avrebbe conosciuto solo rivoluzioni di sfruttati, schiavi antichi, servi e contadini del Medioevo, ecc. Le classi dominate, per definizione, sono dominate e non possiedono i mezzi per rovesciare le classi dominanti. Marx finisce per capirlo e mostra che è il capitale stesso ad abolirsi nel proprio movimento, rendendo completamente parassitaria la classe capitalista e creando un «intelletto collettivo» che unisce tutti i dipendenti, dal lavoratore non qualificato al direttore di fabbrica. L’espropriazione degli espropriatori è il movimento immanente del capitale! Si potrebbe dire che Marx si «sbagliava» su questo punto, ma non del tutto. Fu solo fuorviato dal suo ardente ottimismo, anche in età avanzata.

Gli operai non hanno rovesciato il capitale in un colpo solo, hanno cercato di fare qualcosa di più modesto: minarlo dall’interno imponendo la limitazione della giornata lavorativa, la regolamentazione del lavoro minorile e infine il suo divieto, costringendo le repubbliche borghesi (come in Francia o in Italia) a proclamarsi «repubbliche sociali», garantendo il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto alla pensione e i contratti collettivi per impedire che i lavoratori entrassero in concorrenza tra loro per vendere la propria forza lavoro.

Ma il capitale non può accettare a lungo termine questa situazione che segna la sua condanna a morte. Da qui deriva l’incessante guerriglia tra capitalisti e proletari, una guerriglia che inizia sempre con la «difesa dei diritti acquisiti». Gli operai non vogliono «fare la rivoluzione», vogliono semplicemente vivere dignitosamente e conservare i propri diritti. Ed è così che iniziano tutte le rivoluzioni. Non a partire da un progetto, non a partire da fantasie radicali, ma perché non se ne può più!

Quindi gli operai diventano rivoluzionari solo per conservatorismo. E questo conservatorismo include i diritti sociali acquisiti (stipendi, pensioni, previdenza sociale), la possibilità di crescere i propri figli in modo dignitoso, ma anche il fatto di sentirsi «a casa» da qualche parte, al sicuro. L’anarchico borghese Brassens  poteva schernire «gli sciocchi felici che sono nati da qualche parte». Solo i ricchi che sono ovunque a casa loro possono permettersi questo disprezzo. I proletari non hanno patria: è quello che vogliono i capitalisti sostenitori del nomadismo. Ma i proletari che non hanno nulla tengono alla loro patria, alla loro regione, alla loro città e alla loro strada o al loro quartiere. Il FN/RN, che aveva capito questo, aveva fatto di «siamo a casa nostra» il suo slogan, slogan ovviamente vilipeso dalla bella gente, coloro che sono sempre e ovunque a casa loro – come quel signor Glucksmann che ammetteva di sentirsi più a casa a New York che in Piccardia.

 

Populismo decente

La «globalizzazione» è, per gli operai, gli impiegati, gli abitanti delle province industriali, una gigantesca operazione di liquidazione. Il braccio armato di questa «globalizzazione» non è altro che l’Unione Europea, quelle istituzioni create per sottomettere l’Europa al dominio americano e per ridurre al minimo le vecchie nazioni. Le fabbriche hanno chiuso, gli operai sono stati messi da parte e, per finire, politici disgustosi e i loro scagnozzi rappresentanti delle classi parassitarie li hanno definiti «boomer privilegiati». Come non capire che vedono nella nazione e nei confini la loro ultima protezione?

I quartieri che un tempo erano quartieri operai non lo sono più. Per molti sono diventati zone di illegalità controllate dai narcos. I sostenitori dell’accoglienza benevola si guardano bene dal vivere in questi quartieri, ma parlano con tono condiscendente del «senso di insicurezza». I loro figli eviteranno accuratamente di frequentare le stesse scuole della feccia. Del resto, gli immigrati integrati (e sono molti) fanno lo stesso non appena possibile.

Gli operai non odiano gli immigrati in quanto tali. Spesso sono essi stessi discendenti di immigrati polacchi, italiani, marocchini, algerini nelle regioni operaie, oggi devastate, e nei bacini minerari chiusi o trasformati in musei. Ma sanno per esperienza che l’immigrazione è un’arma padronale contro i salari, la famosa riserva industriale di cui parlava Marx (vedi Il Capitale, Libro I, cap. XXIII). Si aspettano anche che i nuovi arrivati siano «come loro», condividano i pasti, l’aperitivo, ecc. Le persone benestanti definiscono tutto questo «populismo» e «estrema destra».

Questo populismo, tuttavia, non è altro che la volontà di rimanere qualcosa, di non essere trascinati nel grande vortice della globalizzazione che ha distrutto le industrie e gettato le persone nella disoccupazione. Questo populismo è quello che rifiuta le conseguenze devastanti dell’integrazione nell’Unione Europea. Questo populismo è quello della decenza comune: si vive del proprio lavoro, non si è dei teppisti e si cerca di conservare le nostre tradizioni di convivialità, quel famoso «vivere insieme» di cui si vantano gli intellettuali mezzo decererati.

Gli operai (in senso lato) non seguono più la sinistra perché questa sarebbe insufficientemente radicale (come pensano tutti coloro che si considerano a sinistra del PS), ma semplicemente perché non li ascolta più e li disprezza, e questo vale tanto per LFI, PCF, Ruffin-Autain-Corbières e tutti gli altri quanto per il PS. Sono sordi perché non vogliono sentire ciò che gli operai, gli impiegati, la gente comune gridano loro a gran voce ormai da decenni. E poiché la loro sordità sembra irreparabile, la loro sconfitta è assicurata.

Se in questo Paese esistesse un partito dei lavoratori, un vero «partito operaio», e sindacati seri, essi prenderebbero sul serio le rivendicazioni relative all’immigrazione, alla sicurezza, alla protezione della nazione, al rifiuto della «creolizzazione», ovvero del degrado sociale e morale. E ascoltare con attenzione queste rivendicazioni è l’unico modo per fermare l’offensiva del capitale contro le classi popolari. In questo senso, il socialismo per i tempi sarà conservatore!

 

Denis Collin, Socialisme conservateur, venerdì 26 settembre 2025.

La Sociale: https://la-sociale.online/spip.php?article1302

Traduzione a cura di Piero della Roccella Sorelli.