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Olimpiadi, Tibet chiuso per la torcia cinese

di Federico Rampini - 17/06/2008

 

 

 

Per ora la fiaccola olimpica non espugnerà Lhasa. Ieri le autorità sportive cinesi hanno improvvisamente rinviato il passaggio della staffetta nella capitale del Tibet, che era stato programmato per il 18 e 19 giugno. La decisione è una sconfitta per il governo. E’ l’implicita ammissione che neppure l’imponente schieramento di polizia e forze militari può garantire la sicurezza della cerimonia a Lhasa. Dai giorni della rivolta di marzo l’intera regione è isolata. Non vi sono ammessi i giornalisti stranieri e neppure i turisti. Il regime non vuole osservatori mentre procede ad arresti di massa e fa regnare il terrore nei monasteri dove i religiosi sono costretti a seguire sedute di "rieducazione patriottica". Sono passati ormai tre mesi da quando la protesta dei tibetani è stata schiacciata, ma il rinvio della staffetta olimpica indica che la situazione non è ancora sotto controllo. L’arrivo della carovana dei Giochi poteva scatenare nuove proteste. I militanti dell’autonomismo tibetano hanno sempre considerato il passaggio della fiaccola come una simbolica conferma del dominio cinese sulla regione. 

 

Per ora, quindi, la torcia evita Lhasa, anche se gli organizzatori non hanno rinunciato del tutto al Tibet: è possibile che la facciano arrivare in segreto, senza preavviso, per cogliere di sorpresa gli oppositori. Questo strappo all’itinerario programmato non ha precedenti, se si eccettuano i tre giorni di lutto dopo il terremoto nel Sichuan. Ma la prossima tappa è quasi altrettanto rischiosa. La torcia infatti passa nello Xinjiang: è la provincia abitata dagli uiguri di religione islamica, un’ altra minoranza etnica che ha più volte manifestato la sua insofferenza per la prevaricazione dei cinesi di etnia han. Gli uiguri non hanno un leader carismatico come il Dalai Lama e non godono in Occidente della solidarietà che raccolgono i tibetani. Tuttavia questo popolo turcomanno ha alleati oltre confine nell’Asia centrale e il suo movimento indipendentista riceve sostegni dal mondo islamico. Nello Xinjiang il percorso della fiaccola sarà circondato da un eccezionale dispositivo di sicurezza per il timore di attentati.

 

Per giustificare il giro di vite nei controlli di polizia il governo di Pechino agita in maniera sempre più insistente l’allarme terrorismo. Proprio ieri è stato nominato per la prima volta un superpoliziotto antiterrorismo in vista dei Giochi. Yang Huanning, 51 anni, dirigerà la task force che deve prevenire sabotaggi e attacchi da qui alle Olimpiadi. La sua biografia è interessante: Yang ha già diretto operazioni di polizia proprio nelle due "provincie ribelli", il Tibet e lo Xinjiang. E’ stato anche responsabile delle forze cinesi impegnate all’estero nelle operazioni di peace-keeping sotto le bandiere delle Nazioni Unite. Infine si è occupato di "relazioni pubbliche", cioè dell’immagine della Repubblica Popolare nel mondo.

 

La nomina di un commissario straordinario anti-terrorismo rientra nell’escalation della paura a cui il regime fa ricorso dopo la rivolta tibetana. Il governo ha annunciato in tre occasioni negli ultimi mesi di avere sventato i preparativi di attentati terroristici da parte dei separatisti uiguri. In un caso si sarebbe trattato di un fallito dirottamento aereo. In un’ altra occasione la polizia ha citato un complotto per rapire e assassinare atleti, giornalisti e turisti stranieri durante i Giochi di Pechino. Non sono mai state fornite prove dettagliate su queste trame. Di recente perfino contro i tibetani è stata usata l’ accusa di terrorismo. Sedici monaci buddisti sono stati arrestati per avere preparato attentati dinamitardi. E’ chiara l’intenzione del regime di demonizzare tutte le proteste, criminalizzando tibetani e uiguri per giustificare il pugno di ferro usato contro di loro. Le accuse di terrorismo rivolte ai monaci tibetani rafforzano anche la tesi dei leader cinesi secondo cui il pacifismo del Dalai Lama è solo apparente.

 

La stretta repressiva si allarga ormai anche al Sichuan, nelle zone colpite dal terremoto del 12 maggio. Nell’epicentro del sisma ci sono enclave etniche tibetane. Ma in quell’area si vuole soffocare soprattutto la rabbia dei genitori, dopo la strage di bambini uccisi nel crollo di tante scuole costruite in violazione delle norme antisismiche. La tolleranza verso le proteste dei terremotati è durata poco, ora la polizia arresta e intimidisce i familiari delle vittime che protestano.