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Greggio alle stelle, mercati in panne e nessuna politica

di Joseph Halevi - 29/06/2008

 
L'economia mondiale è entrata in una situazione in cui l'aumento dei prezzi del greggio e delle derrate alimentari si congiunge alla deflazione finanziaria, alimentandola, e accrescendo l'incertezza riguardo i rendimenti futuri.

Alcune settimane fa Mario Draghi affermò che, sebbene non si potesse ancora parlare di ritorno alla normalità, i segnali provenienti dai mercati dei capitali mostravano che il contagio era stato scongiurato. Le affermazioni del Governatore della Banca d'Italia, nonchè presidente del Financial Stability Forum, dimostrano che lo stato di non conoscenza è tale da prendere ogni dichiarazione di chi ha informazioni da noi inaccessibili con tonnellate di sale. L'impossibilità di scrutare tempi più lunghi rafforza le incertezze. Infatti accanto alla crescita dei prezzi petroliferi è ripresa la caduta delle borse. Le costanti iniezioni di denaro da parte della banche centrali non hanno dissipato le nubi riguardanti la capacità di ricapitalizzazione delle banche e di altri istituti finanziari.
Nella misura in cui aumentano le aspettative inflazionistiche diminuiscono le prospettive riguardo la stabilità delle banche e delle società finanziarie. In particolare si prevedono ulteriori perdite e tagli ai dividendi, cosa che comporta delle perdite nei valori azionari delle società nel settore.
A ciò si aggiunge la valutazione negativa verso molte aziende produttrici di beni durevoli per via della debole domanda proveniente dai consumatori. Già affievolita dalla crisi del mercato del subprime, tale domanda viene ulteriormente colpita dall'aumento dei prezzi. Per questo a Wall Street hanno ceduto anche i titoli del settore automobilistico e dell'elettronica di consumo.

Il panorama è quindi quello di un sommarsi di aspettative pessimistiche sia sul piano finanziario che su quello reale senza poter individuare possibilità di sbloccare la situazione. In altri termini stanno scomparendo gli spazi per attuare delle politiche economiche positive. L'unica effettivamente possibile è quella, non proprio edificante, di sostenere il rischio morale attraverso le continue iniezioni di liquidità internazionale da parte delle banche centrali.

Nessuno oggi perora un rilancio salariale, nemmeno i sindacati, per cui la domanda non potrà che stagnare. In questo contesto bisogna apertamente riconoscere lo stato di agonia in cui si trova la politica economica. Lo spazio è però coperto dalle diverse componenti del capitalismo. In Europa, ad esempio, si sta chiaramente manifestando una strategia tedesca fondata sull'attanagliamento della Ue quale fonte principale del surplus con l'estero.

E in Italia? I discorsi sulla necessità della crescita sono pura demagogia e non hanno alcuna base nella realtà economica e sociale italiana e neanche in quella europea. Nelle condizioni attuali invece di riporre le speranze nella chimera di una rinnovata crescita sarebbe più utile discutere di altre modalità economico-sociali.