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Quella bandiera europea dietro le spalle del bandito (Bush)

di Giulietto Chiesa - 11/08/2008


Piero Gobetti scrisse che “quando la verità sta tutta da una parte ogni
atteggiamento salomonico è altamente tendenzioso”. Osservando la
tragedia dell'Ossetia del Sud trovo che questo aforisma vi si adatti
alla perfezione. Si cercherà, domani, di trovare spiegazioni
“salomoniche” per giustificare il massacro della popolazione civile di
una piccola comunità schiacciata dal peso della storia, come un vaso di
coccio in mezzo a vasi di ferro.

Vi sarà sicuramente qualche sepolcro imbiancato che cercherà di
distribuire uniformemente le colpe tra chi ha aggredito e chi è stato
aggredito, tra chi ha usato gli aerei e gli elicottericontro una città
di 70 mila abitanti, e chi aveva in mano solo fucili e mitragliatrici
per difendersi.

Ci sarà domani chi spiegherà che gli osseti del sud hanno provocato e
sono stati respinti. E poi, sull'onda della contr'offensiva, quasi per
forza di cose, igeorgiani sono andati a occupare ciò che, in fondo, era
loro di diritto, avendoosato gli ossetini dichiarare e applicare l'idea
del rifiuto di tornare sotto ilcontrollo di chi li massacrò la prima
volta nel 1992.

Ci sarà, posso prevedere con assoluta certezza ogni parola di questi
mascalzoni bugiardi, chi affermerà che tutta la colpa è di Mosca, che –
non contenta dell'amicizia tra Tbilisi e Washington- voleva punire il
povero presidente Saakashvili impedendogli di entrare in possesso dei
territori di Abkhazia (il prossimo obiettivo) e di Ossetia del Sud. E
così via mescolando le carte e contando sul fatto che il grande pubblico
sa a malapena, sempre che lo sappia, dove stia la Georgia, e, meno che
mai l'Ossetia del Sud.

Ma le cose non stanno affatto così, anche se il pericolo che questo
conflitto siallarghi è grande, tremendo, e chi scherza col fuoco sa che
sta facendo rischiare ai suoi cittadini molto di più di quanto essi
stessi pensino.

Giocatorid'azzardo, irresponsabili, che puntano tutte le carte sul
disastro e il sangue. Chiunque dovrebbe essere in grado di capire che
una piccola comunità, con meno di 100 mila persone, disperse in duecento
villaggi e una capitale, Tzkhinvali, che è più piccola di Pavia, non
possono avere alcun interesse ad attaccare un nemico – questa è l'unica
parola possibile alla luce di quanto staaccadendo – che è 50 volte
superiore in uomini e armi, che ha l'aviazione (e l'ha usata ieri e
oggi, mentre scrivo, con assoluta ferocia, bombardando anchel'unica
strada  che collega l'Ossetia del Sud con l'Ossetia del Nord, in
territorio russo, per impedire che i civili possano rifugiarsi
dall'altra parte dellafrontiera), che non ha ostacoli di fronte a sé.
Chiunque potrebbe capire che l'Ossetia del Sud non ha rivendicazioni
territoriali e non ha quindi in mente alcuna espansione al di fuori del
suo microscopico territorio.

Chiunque potrebbe capire – qui ci vuole un minimo di sforzo
intellettuale, quanto basta per liberarsi di qualche schema mentale
inveterato – che nemmeno la Russia può avere alcun interesse a inasprire
la situazione. Certo Mosca è interessata allo status quo, con l'Ossetia
del Sud indipendente di fatto, ma senza essere costretta a riconoscerne
lo status, per evitare difficoltàinternazionali. Ma chi ha la testa sul
collo dovrebbe riconoscere che è megliouna tregua difficile che una
guerra aperta; che è meglio negoziare, anche per anni, che uccidere a
sangue freddo civili, bambini, donne.

Io sono stato a Tzkhinvali, la primavera scorsa, e adesso mi piange il
cuore a pensare a quelle vie dall'asfalto sgangherato, buie la sera, a
quelle case senza intonaco, dal riscaldamento saltuario, a quelle scuole
ancora diroccate,ma piene di gente normale, di giovani orgogliosi che
non vogliono diventare georgiani perché sono cresciuti in guerra con la
Georgia e della Georgia hanno conosciuto solo la violenza dei tiri
sporadici sui terri delle loro case. Mi chiedo: e poi? Che ne sarà di
quei giovani? Come si può pensare di tenerli a forza in un paese che non
ameranno mai, di cui non potranno mai sentirsi cittadini? Se ne
andranno, ovviamente, dopo avere contato i loro morti, a migliaia, in
Ossetia del Nord, in Russia, di cui quasi tutti sono cittadini a
tuttigli effetti, con il passaporto in tasca.

E' questo il modo di sciogliere il nodo georgiano? Lo chiederei, se
potessi, al signor Solana, che dovrebbe svolgere il ruolo di
rappresentanza dell'Europa inquesta vicenda. Che l'Europa, invece di
aiutare a risolvere, non ha fatto altroche incancrenire, ripetendo a
Tbilisi la giaculatoria che la Georgia ha diritto alla propria integrità
territoriale, e dunque ha diritto a riprendersi Ossetia del Sud e
Abkhazia. Certo – gli si è detto con untuosa ipocrisia – che non doveva
farlo con la forza. Ma, sotto sotto, gli si è fatto capire che, se
l'avesse fatto, alla fin dei conti, si sarebbe chiuso un occhio. E'
accaduto. Saakashvili non ha nemmeno cercato di nascondere la mano
armata con cui colpiva. Non ha nemmeno fatto finta. Ha detto alla
televisione che voleva “ristabilire l'ordine” nella repubblica ribelle.
Un “ordine” che non esistevadal 1992, cioè da 16 anni. Perché adesso?
Qual era l'urgenza? Forse che Tbilisi era minacciata di invasione da
parte degli ossetini?

La risposta è una sola. Saakashvili ha agito perché si è sentito coperto
da Washington, in prima istanza, essendo quella capitale la capitale
coloniale della attuale Georgia “indipendente”. E, in seconda istanza si
è sentito coperto da Bruxelles. Queste cose non si improvvisano, come
dovrebbe capire il prossimo commentatore di uno dei qualunque
telegiornali e giornali italiani.Col che si è messo al servizio della
strategia che tende a tenere la Russia sotto pressione: in Georgia, in
Ucraina, in Bielorussia, in Moldova, in Armenia, in Azerbajgian, nei
paesi baltici. Insomma lungo tutti i suoi confini europei. Saakashvili
ha un suo tornaconto: alzare la tensione per costringere l'Europa a
venire in suo sostegno, contro la Russia; ottenere il lasciapassare per
un ingresso immediato nella Nato e, subito dopo, secondo lo schema
dell'allargamento europeo e dell'estensione dell'influenza americana
sull'Europa, l'ingresso in Europa.

Secondo piccione: chi muove Saakashvili conta anche sul fatto che questo
atteggiamento dell'Europa finirà per metterla in rotta di collisione con
la Russia. Perfetto! Con l'ingresso della Georgia nella Nato e in Europa
gli StatiUniti avranno un altro voto a loro favore in tutti i successivi
sviluppi economici, energetici e militari che potrebbero vedere gli
interessi europei collidere conquelli americani.

Javier Solana ha la capacità di sviluppare questo elementare
ragionamento? Ovviamente ce l'ha. Solo che non vuole e non può perchè ha
dietro di sé, alle sue spalle, governi che non osano mettere in
discussione la strategia statunitense, o che la condividono.

Cosa farà ora la Russia è difficile dirlo. Certo è che, con la presa di
Tzkhinvali, le forze russe d'interposizione, che sono su quei confini
interni alla Georgia,dovranno ritirarsi. Il colpo all'Ossetia del Sud
diventa cos' un colpo diretto allaRussia. Che, questo è certo, non è più
quella del 2000, al calare di Boris Eltsin e delle sue braghe.

L'emblema di questa tragedia, che è una nuova vergogna per l'Europa, è
stato il fatto che Saakashvili ha annunciato l'attacco, dalla sua
televisione, avendo dietro le spalle, ben visibile, la bandiera
goergiana e quella blu a stelle gialle europea. Peggiore sfregio non
poteva concepire, perchè la Georgia non è l'Europa, non ancora. E meno
che mai dovrebbe esserlo dopo questo attacco che offende - o dovrebbe
offendere - tutti coloro che credono nel diritto all'autodeterminazione
dei popoli. Che è sacrosanto per chi se lo guadagna, molto meno con chi
usa quella bandiera per vendere subito dopo l'indipendenza a chi l'ha
sostenuta dietro le quinte.

Qual è la differenza con il Kosovo? Una sola: la Serbia era un prossimo
suddito riottoso e doveva essere punita. La Georgia è invece un vassallo
fedele e doveva essere premiata.

L'Ossetia del Sud questo diritto se lo è guadagnato. E non c'è spazio
per alcun atteggiamento salomonico, perchè la ragione sta tutta da una
sola parte, e io sto da quella stessa parte.