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Tra Europa liquida e democrazia verticale

di Simone Olla - 11/08/2008

 

Non seguo la cronaca politica, non riesco a farmeli piacere questi inconsapevoli epigoni di Jean Bodin. Non mi faccio aprire da un quotidiano, né mi faccio accendere dalla televisione: l’uomo-massa in salsa postmoderna è parlato, ha smesso di pensar-si, quindi di parlare. L’informazione? Non esiste: taluni credono di essere informati sui fatti e invece sono informati dai fatti. E se mi occupo di cronaca oggi, se torno nel quotidiano parlottare, è per via di quei geldròni post litteram che si abborracciano a cianciare di democrazia senza manco immaginarsi il labirinto greco.
La democrazia rappresentativa è un totalitarismo con voto concesso: periodicamente i governanti italiani concedono al popolo (sovrano?) di recarsi alle urne per legittimare lo svuotamento di democrazia in atto. (E loro vanno. E loro ci credono.) Chi ha votato alle ultime elezioni parlamentari è complice di questa democrazia a tasso variabile, che approva la Costituzione europea in un crescendo di applausi e unanimità: da destra a sinistra passando per il Presidente della Repubblica si assiste all’Inno alla gioia in eurovisione, un canto che i sudditi devono apprendere sui media, e subito celebrare ché l’Europa viene prima di tutto, anche prima della partecipazione popolare. L’Europa che vuole l’America in fondo è questa: un non-luogo politico incapace di fornire visioni altre e unitarie nel dibattito sui nostri tempi, un argine economico alla Russia delle riserve naturali, una provincia dell’impero che accolga silente le manovre americane nel mondo, una loggia di burocrati travestiti da politici. L’Europa che vuole l’America è quella dei parlamentari italiani che silenziano la sovranità popolare spellandosi le mani dopo l’approvazione del Trattato di Lisbona. L’Europa che vuole l’America gli europei la devono subire.

L’impianto teorico che ha mosso i primi vagiti unionisti era esclusivamente economicista, e rivelandosi come una patina di gestione normalizzante ha «favorito la deriva liberale delle istituzioni, nonché – sostiene Alain de Benoist – la lettura essenzialmente economica delle politiche pubbliche [fatte] a Bruxelles.» Le genti d’Europa e le loro culture non erano contemplate, ieri come oggi. Ecco il peccato originale di questa Europa: «Lungi dal preparare l’avvento di un’Europa politica, l’ipertrofia dell’economia ha rapidamente comportato la spoliticizzazione, la cancellazione dei vecchi sistemi di rappresentanza, la consacrazione del potere degli esperti, nonché la messa in atto di strategie tecnocratiche che obbediscono non tanto a logiche economiche quanto a imperativi di razionalità funzionale.»[1]
Il deficit politico si risolve conseguentemente con il deficit democratico delle istituzioni europee: «ancora oggi, la Commissione europea sfugge praticamente a ogni controllo; il Consiglio dei ministri, prodotto dei governi europei, non deve rendere conto a nessuno; la scelta della Banca centrale non deve essere confermata dal Parlamento e la nomina dei membri della Corte di giustizia dell’Unione è di competenza esclusiva dei governi. Quanto al Parlamento europeo, eletto a suffragio universale dal 1979, si è da lungo tempo trasformato in una babilonia.»[2]
L’Europa si sta modellando sullo stesso errore di sovranità nazionale che ha edificato lo stato nazionale moderno[3]: le concessioni dall’alto mostrano quotidianamente il fianco alle spinte di rivendicazione che giungono dal basso. Amplificare – in chiave europea – la concezione verticale della rappresentanza politica, va nella direzione opposta della partecipazione popolare che fonda una qualunque entità politica. La dimensione orizzontale della rappresentatività è quella che ancora puoi toccare, che puoi discutere, alla quale sei chiamato a partecipare; è la dimensione del quartiere, del piccolo comune. Da quella dimensione è necessario muovere la critica alla democrazia verticale: è l’allargamento della dimensione orizzontale della partecipazione democratica che dobbiamo auspicare, non la sua continua contrazione a favore di un potere sovraordinato: la partecipazione politica non risolve la vita, ma se non altro incoraggia una partecipazione totale alla vita stessa.

L’Europa sarà politica solamente pensandosi Europa dal basso, e conseguentemente in termini altri rispetto all’America. Oggi in Italia, i due schieramenti al potere – il partito unico DestraSinistra – non hanno alcuna intenzione di incoraggiare la partecipazione dal basso, né di pensarsi indipendenti dall’America per costruire un’Europa politica. La destra e la sinistra italiana rappresentate in Parlamento vogliono l’Europa del Trattato di Lisbona, un’Europa liquida. Ma agli italiani non hanno chiesto nulla. Anche questa è democrazia? Se nel 2009 sarete chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento europeo diranno che sì, questa è democrazia rappresentativa, scegliere chi ha già scelto per voi. Un totalitarismo con voto concesso. Appunto.

NOTE
[1] Alain de Benoist, L’Europa tra delusione e speranza, in Diorama letterario n°287, pag. 2.
[2] Ibidem, pag. 2.
[3] Cfr. Alain de Benoist, Cos’è la sovranità in Le sfide della postmodernità, Arianna editrice, Casalecchio (BO) 2003.