Il fascino discreto delle "bubbane". Alcune osservazioni generali sulle teorie cospirative
di Carlo Gambescia - 05/09/2008
La prendiamo da lontano. I lettori sicuramente ricorderanno che Prodi, un paio di anni fa, in un’ intervista al Pais dichiarò, più o meno, che contro di lui era in atto un complotto di chissà quali forze occulte dell'economia… Quanto a Berlusconi, oggi di nuovo al governo, periodicamente, ritira fuori la storia delle trame rosse contro di lui… Ma anche in Francia, a cicli alterni, si torna a parlare parla di complotto lepenista, fascista e nazista. In Spagna, la Chiesa è sospettata di chissà quali trame anti-Zapatero. Mentre i cattolici spagnoli, reputano il Premier socialista una marionetta nelle mani della massoneria “eterna”. Anche negli Stati Uniti non si scherza: Bush vede complotti ovunque. Per contro, i suoi avversari, di estrema destra come di estrema sinistra, non esitano a definirlo un complice segreto di misteriosi gruppi semiti, volti alla conquista del mondo. Va poi ricordato il rumore politico-editoriale sollevato, a suo tempo, dal Codice da Vinci: il libro e il film hanno suscitato, trasversalmente, nei diversi schieramenti (pro e contro il mystic-thriller di Brown), teorie complottiste, una più tendenziosa, e diciamolo pure, demenziale, dell’altra.
Come mai una società ufficialmente democratica, illuminata e razionale, come quella occidentale, ricorre alla teoria cospirativa come normale strumento comunicativo? In parole povere, quanto di più irrazionale, almeno in apparenza, si possa pescare nel buco nero della psiche collettiva… Insomma, perché si crede nelle famigerate "bubbane", per dirla con il comico Natalino Balasso?
Le spiegazioni possono essere tre, e in certo senso complementari.
In primo luogo, l’idea cospirativa, in quanto compiuta o totale (nel senso che la sua vaghezza la rende inconfutabile) colpisce l’immaginazione collettiva perché indica il nemico ( i comunisti, i fascisti, i massoni, eccetera). E’ un esempio classico di idea-forza. Che accresce la coesione intorno alla persona (o al gruppo sociale) vittima del presunto complotto. E per contro rafforza pure la compattezza di coloro che ne siano eventualmente ritenuti autori. La teoria cospirativa è conflittuale per eccellenza: unisce e divide a un tempo. E’ un’ arma, spesso micidiale, come mostra la sanguinosa storia del Novecento.
In secondo luogo, l’idea di complotto, ha una funzione socialmente esplicativa: rende chiaro quel che a prima vista appare incomprensibile e rassicura, scoprendo le eventuali colpe. Basti ricordare che le interpretazioni complottistiche della rivoluzione francese, furono dovute al fatto che molti monarchici continuarono per anni a ritenere inaudito il crollo improvviso di un antico regno europeo: non credevano ai loro occhi. Cosicché l’attribuzione della caduta alle trame massoniche svolse una funzione esplicativa e, tutto sommato, di rassicurazione emotiva e politica nei riguardi del mondo aristocratico. Che poteva auto-assolversi e così puntare sul suo riscatto sociale e storico. Si tratta di un approccio ricorrente che si ritrova anche in altre rivoluzioni.
In terzo luogo, l’evocazione del complotto ha un “sottofondo” animistico, diremmo antropologico. L’uomo, soprattutto quello collettivo, ha un “bisogno”, quasi fisiologico, di credere che dietro ogni fenomeno sociale vi sia un principio superiore che spiega, giustifica e protegge. L’idea che un re sia tale, per ragioni di diritto divino, fa il paio con quella che un complotto sia tale, per ragioni di “provvidenzialismo” sociale. Il punto è che sia l’esistenza del diritto divino sia di un grande vecchio, appagano lo stesso bisogno antropologico di veder confermata l’idea che dietro gli eventi sociali vi sia sempre qualcuno che imprime una direzione. Insomma, che il nostro mondo (grande o piccolo che sia, dalle capanne africane ai grattacieli newyorkesi) abbia comunque senso compiuto: un ordine.
Ora, può sembrare esagerato, ricorrere a un’analisi così complicata, per spiegare il teatrino politico italiano, europeo e americano. Ma si rifletta un momento: una forza di governo (o di opposizione) di qualunque colore sia, dichiarando, a cicli alterni, di essere vittima di un complotto comunista, fascista, eccetera, dà una riposta al bisogno animistico, non solo dell’elettore ma dell’uomo che vi è sotto, affamato come ogni altro essere umano di significati "compiuti", e non importa se immaginari come l'idea di una cospirazione universale.
Il che significa che l’uomo di oggi, ritenuto presuntivamente razionale, ha radici antiche e ritorte nell'irrazionalità, difficili da recidere. Tradotto: le "bubbane", magari nei particolari, mutano nel tempo , ma l'uomo meno...
Come mai una società ufficialmente democratica, illuminata e razionale, come quella occidentale, ricorre alla teoria cospirativa come normale strumento comunicativo? In parole povere, quanto di più irrazionale, almeno in apparenza, si possa pescare nel buco nero della psiche collettiva… Insomma, perché si crede nelle famigerate "bubbane", per dirla con il comico Natalino Balasso?
Le spiegazioni possono essere tre, e in certo senso complementari.
In primo luogo, l’idea cospirativa, in quanto compiuta o totale (nel senso che la sua vaghezza la rende inconfutabile) colpisce l’immaginazione collettiva perché indica il nemico ( i comunisti, i fascisti, i massoni, eccetera). E’ un esempio classico di idea-forza. Che accresce la coesione intorno alla persona (o al gruppo sociale) vittima del presunto complotto. E per contro rafforza pure la compattezza di coloro che ne siano eventualmente ritenuti autori. La teoria cospirativa è conflittuale per eccellenza: unisce e divide a un tempo. E’ un’ arma, spesso micidiale, come mostra la sanguinosa storia del Novecento.
In secondo luogo, l’idea di complotto, ha una funzione socialmente esplicativa: rende chiaro quel che a prima vista appare incomprensibile e rassicura, scoprendo le eventuali colpe. Basti ricordare che le interpretazioni complottistiche della rivoluzione francese, furono dovute al fatto che molti monarchici continuarono per anni a ritenere inaudito il crollo improvviso di un antico regno europeo: non credevano ai loro occhi. Cosicché l’attribuzione della caduta alle trame massoniche svolse una funzione esplicativa e, tutto sommato, di rassicurazione emotiva e politica nei riguardi del mondo aristocratico. Che poteva auto-assolversi e così puntare sul suo riscatto sociale e storico. Si tratta di un approccio ricorrente che si ritrova anche in altre rivoluzioni.
In terzo luogo, l’evocazione del complotto ha un “sottofondo” animistico, diremmo antropologico. L’uomo, soprattutto quello collettivo, ha un “bisogno”, quasi fisiologico, di credere che dietro ogni fenomeno sociale vi sia un principio superiore che spiega, giustifica e protegge. L’idea che un re sia tale, per ragioni di diritto divino, fa il paio con quella che un complotto sia tale, per ragioni di “provvidenzialismo” sociale. Il punto è che sia l’esistenza del diritto divino sia di un grande vecchio, appagano lo stesso bisogno antropologico di veder confermata l’idea che dietro gli eventi sociali vi sia sempre qualcuno che imprime una direzione. Insomma, che il nostro mondo (grande o piccolo che sia, dalle capanne africane ai grattacieli newyorkesi) abbia comunque senso compiuto: un ordine.
Ora, può sembrare esagerato, ricorrere a un’analisi così complicata, per spiegare il teatrino politico italiano, europeo e americano. Ma si rifletta un momento: una forza di governo (o di opposizione) di qualunque colore sia, dichiarando, a cicli alterni, di essere vittima di un complotto comunista, fascista, eccetera, dà una riposta al bisogno animistico, non solo dell’elettore ma dell’uomo che vi è sotto, affamato come ogni altro essere umano di significati "compiuti", e non importa se immaginari come l'idea di una cospirazione universale.
Il che significa che l’uomo di oggi, ritenuto presuntivamente razionale, ha radici antiche e ritorte nell'irrazionalità, difficili da recidere. Tradotto: le "bubbane", magari nei particolari, mutano nel tempo , ma l'uomo meno...